Riceviamo e pubblichiamo l'articolo dell'Associzione Culturale Zenit di Roma e ricordiamo che è uscito il nuovo numero de "Il Martello", scaricabile su: assculturalezenit.spaces.live.com
I motivi per disapprovare l’entrata in vigore ormai imminente del Trattato di Lisbona sono molteplici, per racchiuderli in una sintetica forma dialettica ci basta definire il Trattato un significativo passo in avanti verso quel Nuovo Ordine Mondiale che intende spazzar via anche il poco che è rimasto di un pluralismo culturale dei popoli per sostituirlo con una indistinguibile massa universale di utenti, amorfi e privi di capacità critica. Il fine è a noi dunque terribilmente noto. I mezzi utilizzati per giungervi non fanno altro che avvalorare questa nostra convinzione. Sarà quindi nostra cura occuparci brevemente proprio di questi ultimi, ponendo l’accento sul ruolo svolto dai media per veicolare il consenso dell’opinione pubblica verso il Trattato, sottacendo sul suo contenuto ed esercitando una campagna pressante dai toni terroristici all’indirizzo dei cittadini irlandesi, dal cui voto del mese scorso è dipesa la sopravvivenza di questa legge europea. E’ innanzitutto necessaria una premessa cronologica di carattere politico-giuridico sul Trattato: lo scopo dell’Unione Europea di accentrare i poteri amministrativi entro la propria egida, al fine realizzare i suoi piani mondialisti, passa attraverso una fondamentale condizione, quella di limitare ulteriormente le sovranità nazionali e sopprimere ogni sussulto d’orgoglio, ogni velleità identitaria dei popoli europei. Siamo agli inizi del millennio e per il raggiungimento di tale scopo non è evidentemente sufficiente l’attuale struttura politica dell’UE, già di per sé invasiva rispetto alle giurisdizioni nazionali, ma è necessario contemplare una sorta di Costituzione, un vero e proprio testo unico (ramificato in un groviglio cervellotico di emendamenti), osservato da tutti gli Stati membri, che regola la materia giuridica ed economica d’ognuno a beneficio di un’unica istituzione con sedi a Strasburgo ed a Bruxelles, un super-governo sovranazionale. Spinti da questi propositi, i governanti dell’UE si danno appuntamento nel 2001 nella cittadina belga di Laeken, lido da cui deve partire l’iter burocratico per l’entrata in vigore della Costituzione Europea. Il processo di ratifica sembra fluire agevolmente attraverso i parlamenti degli Stati membri, ma si arena irrimediabilmente non appena viene chiesta l’approvazione popolare: nel 2005 Francia ed Olanda, fedeli a quanto previsto dalle loro leggi nazionali, debbono sottoporre la ratifica del testo al voto dei cittadini che, in modo netto, vi si oppongono. Il progetto mondialista subisce così un arresto deciso ma non definitivo. Il 13 dicembre 2007 si riuniscono in un modo più o meno segreto a Lisbona i capi di governo europei (strategicamente, senza che la notizia venga enfatizzata dai loro lustrini della carta stampata e delle TV) e decidono di riproporre la Costituzione sotto nuove spoglie; nasce il Trattato di Lisbona. L’intenzione viene esplicitata mesi dopo, ma clamorosamente sottaciuta o quasi dalla libera informazione nostrana, dall’allora Ministro dell’Interno italiano Amato: “Fu deciso che il documento fosse illeggibile, poiché così non sarebbe stato costituzionale (evitando in tal modo i referendum, nda)… Fosse invece stato comprensibile, vi sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum, perché avrebbe significato che c’era qualcosa di nuovo (rispetto alla Costituzione bocciata nel 2005, nda)”. A Lisbona non viene quindi fatto altro che escogitare un sotterfugio per sottrarre la Costituzione ad una nuova bocciatura referendaria. Stavolta il nuovo percorso di ratifica non deve conoscere alcun ostacolo reale e concreto e così sembra essere inizialmente: le uniche inoffensive barricate sono in Italia i proclami della Lega Nord che si rivelano fatui al momento del voto in parlamento, visto che il Trattato viene ratificato dall’unanimità dei votanti. Ma ciò che in Italia è fatuo, si rivela solido laddove i politici, temprati da una cultura radicata e da una storia recente che li ha abituati a dover tenere in alta considerazione le istanze del popolo, sembrano mantenere un ruolo di espressione comunitaria: in Irlanda. E’ da una verifica parlamentare in quel di Dublino che matura la scelta di sottoporre il Trattato ad un referendum che si tiene nel giugno del 2008 e vede affermarsi la vittoria del no al Trattato. Lo sproporzionato rapporto di forze a favore del Sì in campagna elettorale non è valso al cospetto dell’irish fighting. Ancora una volta gli indomiti gaelici, coerenti alla secolare storia che li ha visti combattere strenuamente e spesso vincere contro ogni previsione l’imperialismo britannico, hanno assunto le vesti di Davide contro Golia, soprattutto grazie alle mobilitazioni della popolazione agricola, la meno contagiata dagli effetti del consumismo e del melting pot dublinesi. Impaccio e delusione sono i primi sentimenti che percuotono le stanze dei bottoni, così distanti (e non solo geograficamente…) dalle verdi campagne d’Irlanda dove monta un euroscetticismo che s’è manifestato con l’atto d’ostracismoal progetto mondialista di Lisbona. Ma del resto i potenti dell’UE hanno già stabilito la propria volontà di andare avanti, nonostante tutto e tutti, nonostante quattro milioni di cocciuti irlandesi (ben presto tacciati - implicitamente e non - d’esser degli ottusi e dei retrogradi che non sanno guardare al futuro); un democratico processo non s’ha da fare e vengono schierati i mezzi pesanti per aver ragione di cotanta ostinazione gaelica. In barba ad ogni retorica che vorrebbe il popolo sovrano, un nuovo referendum viene indetto di lì ad un anno, la data esatta è il 3 ottobre del 2009, e tutto viene curato nei minimi dettagli affinchè il risultato del giugno 2008 venga ribaltato. E’ di nuovo attraverso la bocca di un nostro connazionale, il Presidente della Repubblica Napolitano, che vogliamo presentare il clima che inaugura questo nuovo periodo pre-elezioni in Irlanda: “È l'ora di una scelta coraggiosa da parte di quanti vogliono dare coerente sviluppo alla costruzione europea, lasciandone fuori chi minaccia di bloccarli. Non si può pensare che la decisione di poco più della metà degli elettori di un Paese che rappresenta meno dell'1% della popolazione dell'Unione possa arrestare l'indispensabile, e oramai non più procrastinabile, processo di riforma”. Che dura arringa! Alla faccia dei toni pacati che tanto va sbandierando, caro Presidente! Ebbene, queste parole di Napolitano sono soltanto l’eco di una campagna intimidatoria che, servendosi delle collettive preoccupazioni legate al periodo di crisi globale, agisce come fiato sul collo dei cittadini irlandesi. Eventi apocalittici per il paese vengono prefigurati qualora un altro no dovesse essere la risposta al Trattato di Lisbona. Strane notizie che vedono protagonista l’Irlanda iniziano a circolare ad arte, in modo scadenzato, sugli organi di stampa europei e contribuiscono a creare tra gli irlandesi la sindrome da isolamento, la fobia di ritrovarsi soli ed indifesi di fronte alle avversità che i crudeli destini sembranovoler riservare alla loro verde terra. Nel dicembre del 2008 - proprio nel mese di Natale, festività particolarmente sentita nella cattolica Irlanda e proficua dal punto di vista della vendita di carni che riempiono riccamente le tavole fino a Capodanno – una bufera mediatica sconvolge l’Irlanda. “Carne irlandese alla diossina” sono i terrorifici titoli dei giornali europei. Più serenamente, un controllo su alcuni capi di bestiame d’allevamenti irlandesi ha evidenziato la presenza di questo contagioso composto organico. Ora, il fatto che vi siano alcuni capi di bestiame infetti è nell’ordine naturale delle cose in qualunque allevamento del mondo; tutto sta nella risonanza che si vuol dare alla notizia per farne un caso eccezionale e stroncare il mercato di esportazione, dando un colpo all’economia irlandese ed inducendo la popolazione ad una riflessione dalle ovvie ripercussioni sul voto al referendum: se l’UE fosse stata più presente in Irlanda, maggiori e più qualificati controlli avrebbero scongiurato questo flagello che ha colpito il nostro mercato? Ed ancora, nel maggio del 2009 un nuovo capitolo del tormentone preti pedofili irrompe nella cattolica Irlanda, stavolta senza un motivo scatenante ma semplicemente per rivangare vecchie litanie: i sacerdoti in Irlanda sono degli orchi ed è dunque consigliabile, non solo che le madri tengano i loro figli lontani dalle parrocchie, ma anche che i contenuti delle prediche di questi signori vengano ridimensionati rispetto al ruolo che storicamente ricoprono in un paese così fiero della sua cattolicità. Ora, che esistano preti pedofili in Irlanda è indubbio, che essi siano esseri spregevoli al pari di tutti coloro che abusano dei bambini a prescindere dall’abito che indossano lo è altrettanto, ma è indubbio anche che i casi di preti pedofili si registrano ad ogni latitudine. Pure in questo caso, tutto risiede nella risonanza che si vuol dare alla notizia al fine di contribuire a suscitare quell’effetto di sindrome da isolamento: se fossimo più coinvolti in quel laico processo culturale che investe il resto d’Europa, verrebbe meno quel bieco tentativo di nascondere i propri lati oscuri da parte della despotica Chiesa? Guarda caso, proprio la Comunità Episcopale Irlandese cambia posizione politica e, abbandonando le originarie perplessità relative all’introduzione della pena di morte applicata subdolamente nel Trattato, si schiera espressamente a favore dello stesso. Che si sia sentita minacciata dalle campagne mediatiche mossegli contro ed abbia optato per salire sul carrozzone dei potenti per non esserne investita? A proposito di cambi di bandiera, è singolare il caso di Michael O’Leary, direttore generale della famosa compagnia aerea irlandese a basso costo Ryanair, che nell’arco di pochi mesi non solo cambia schieramento approdando nell’alveo già nutrito di multinazionali e personaggi pubblici irlandesi assoldati al fronte del Sì, ma lo fa sposando la nuova battaglia con enorme veemenza. Dà vita ad una campagna elettorale in pieno stile commerciale aggressivo, servendosi del forte strumento rappresentato dalla propria azienda: prezzi dei biglietti stracciati ai cittadini irlandesi per incentivare il voto favorevole, coinvolgimento coatto dei propri dipendenti, oltre ad una spesa di 200.000 euro in pubblicità sui giornali ed in internet. Tutto questo è Ryanair, la tanto vituperata Mediaset in confronto sembra essere roba da principianti… Il messaggio di O’Leary si unisce a quello dei suoi colleghi industriali, delle banche, dell’alta finanza, dei politici allineati ai diktat europei: cari irlandesi, se stavolta non votate sì al trattato, potete scordarvi tanti privilegi, per esempio quello di potervi avvalere di una compagnia aerea flessibile dai prezzi concorrenziali come Ryanair; ma soprattutto dimenticatevi quegli aiuti economici dell’UE che, nonostante la crisi e la recessione, hanno permesso all’economia di non crollare. Ebbene, una campagna terroristica che ha sortito gli effetti che tutti, nelle stanze dei bottoni, auspicavano: il 3 ottobre scorso il 67% dei votanti si è detto favorevole al Trattato, che è dunque stato ratificato anche in Irlanda. A questo punto non manca che la ratifica della Repubblica Ceca. Sembra di nuovo che il processo stia incespicando, ma è nulla più di un gioco delle parti tanto comune in politica. Il Presidente ceco Klaus, agitando il pericolo di bloccare il processo, sta solo tentando di ottenere più garanzie possibili dall’UE, consapevole del ruolo chiave recitato dal suo paese in questa fase. D’altronde il processo di ratifica di questo importante e preoccupante tassello mondialista ci ha insegnato che quando a decidere sul suo conto sono i politicanti, così esperti nell’inerpicarsi tra le logiche del compromesso, non v’è da dubitare affatto sul parere favorevole; al contrario, quando un popolo è chiamato ad esprimersi liberamente ed il suo voto si rivela contrario a quanto prospettato dai vertici del potere economico e politico, si corre ai ripari. Con la vessazione, con il ricatto, con la minaccia, col terrorismo mediatico ordito per mezzo della stessa stampa che si arroga il diritto di lamentare scarsa libertà d’informazione. La democrazia ammantataci è soltanto retorica, un oppio psicologico che talvolta però, dietro un fumo narcotizzante, lascia trapelare la sua reale identità da gangster. Gangster che ora l’UE - con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona - si appresta ad imitare sul serio, copiandone la struttura politica nella quale essi hanno creato fortune: Stati Uniti, sì… ma d’Europa.
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