lunedì 14 marzo 2011

In memoria di Niccolò Giani.


“Non basta essere convinti della bellezza di un’Idea e della giustezza della sua causa se in essa non ci si compenetra al punto che questa convinzione diventi forza agente per la realizzazione di tali principi”. Queste parole racchiudono l’animo ferreo di un fascista senza macchie come Niccolò Giani. Secondo Giani se venisse meno il pensiero o l’azione, non ci sarebbe più mistica, ma, di volta in volta, misticismo religioso o ascetismo o pragmatismo politico. Quest’anno ricorre il settantesimo anno dalla morte dell’ideatore della Scuola di Mistica Fascista, appunto, Niccolò Giani. Egli fu un audace giornalista, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Milano e contestualmente ai GUF, i gruppi universitari fascisti, in seguito divenne professore di storia e dottrina del fascismo all’università di Pavia. Come giornalista collaborò con varie testate tra cui “Tempo” di Mussolini, con la rivista “Dottrina Fascista” (organo ufficiale della scuola di mistica fascista) e con il quotidiano “Cronaca Prealpina”, di cui più tardi divenne direttore. Nel 1930 fondò a Milano la Scuola di Mistica fascista “Sandro Italico Mussolini”. La Scuola nacque per volontà dello stesso Giani e di un gruppo di giovani studenti del Guf di Milano e fu inaugurata con un articolo intitolato “Libro e Moschetto” nel quale Giani volle dimostrare che il Fascismo è pensiero ed azione. Concetti complementari, ove l’uno non può esistere senza l’altro e che, a differenza delle dottrine razionalistiche del tempo, quali che esse fossero: liberalismo, socialismo, democrazia o comunismo, “la civiltà spirituale del fascismo esprimeva nella mistica la concezione volontaristica ed eroica” e per tal motivo si contrapponeva ad esse rappresentando un elemento rigeneratore per i popoli. Niccolò Giani, coerentemente con quanto predicava, partecipò nel 1935-36 come volontario alla guerra d’Etiopia. “Noi oggi partiamo orgogliosi di poter servire ancora in armi la Causa della Rivoluzione, fierissimi che il Capo ci abbia concesso l’alto privilegio di essere le disperate pattuglie di punta di quell’Idea romana e latina, mediterranea e italiana che è rinata per virtù dei Fasci, ambiziosi solo di essere i legionari di quell’Impero che fu della Roma dei Cesari e che sarà della Roma di Mussolini. Impero: ecco la parola che per gli avi fu realtà, che i padri nostri sognarono, anelanti e illusi, e che noi rifaremo realtà. Costi quel che costi.. Ormai il dado è tratto! Dietro a noi sta il buio, l’Italietta degenere, la Cenerentola: solo davanti è l’Italia che sognammo da bimbi, che volemmo da ragazzi, che da uomini sapremo fare. Perciò non sappiamo alternative, non conosciamo dubbi: abbiamo tirato e tireremo dritto. In Africa andiamo a regolare dei conti vecchi e nuovi”. Allo scoppio della seconda guerra mondiale seguì il suo destino e partì volontario. La notte del 14 marzo del 1941 il tenente Giani era in forza all’undicesimo reggimento alpini e si trovava sul monte albanese Mali Scindeli al comando di una pattuglia. Nel tentativo di conquistare la punta nord del monte, dove era situato l’avamposto nemico, venne raggiunto da una raffica di mitragliatrice che gli tolse la vita. E’ così che si spense una delle menti più fervide del secolo scorso: lontano dai cortigiani di palazzo, dai ministeri affollati, consegnandosi ai posteri come un eroe, un esempio di assoluta limpidezza armato di una fede incrollabile che risiedeva nell’Idea. Sei mesi dopo la sua morte, il ministro della guerra gli conferì alla memoria la medaglia d’oro al valor militare: “Volontariamente, come aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita, alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa. Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi. Mentre in piedi lanciava l’ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l’Italia», veniva mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo valore e di amor di Patria”. Niccolò Giani amava definire il Fascismo una mistica che agisce, tutto doveva girare intorno al concetto di pensiero ed azione e intorno a questo adagio doveva formarsi il modello del perfetto fascista e italiano. Mezzasoma descrisse con queste parole le personalità e i sogni di questi mistici del fascismo, durante gli ultimi tragici giorni della repubblica sociale: “Lo sdegno per l’aberrazione in cui sono caduti altri italiani indegni di questo nome, i quali hanno oltraggiato il sacrificio dei morti e il diritto dei vivi, hanno impedito che divenisse realtà il luminoso sogno di Guido Pallotta, di Berto Ricci, di tutti gli allievi della Scuola di Mistica caduti, come Giani, per la vera libertà della Patria, di tutti coloro che sono tornati coi segni del valore e l’insuperabile gioia del dovere compiuto fino all’ultimo, di tutti i soldati rimasti sui campi di battaglia di Russia, di Grecia, d’Africa e di Spagna, con una visione di grandezza e di potenza, di gloria e di vittoria, suggestiva e splendente come quella che Niccolò Giani aveva auspicato per il suo Romolo Vittorio Africano e ch’egli stesso serrò nelle sue pupille, distaccandosi eroicamente dalla vita terrena”. Niccolò Giani, attraverso il lavoro pedagogico della scuola di mistica fascista, volle infondere nei giovani due parole d’ordine: fedeltà e intransigenza. La fedeltà perché piuttosto che tradire è meglio morire e l’intransigenza, cioè il dovere di chi fermamente si oppone alla logica dei compromessi e degli intrighi politici di qualsiasi genere. Per questo motivo si autodefinì un disperato del fascismo, reclamando per se e per i suoi “il diritto a combattere senza tregua e in prima linea contro i nemici di fuori e di dentro, contro gli attentatori della nostra integrità territoriale e spirituale”. Niccolò Giani fu tra i primi ad arruolarsi volontario per la guerra e come lui quasi tutti i dirigenti e gli allievi della Scuola di Mistica fascista combatterono sui vari fronti in cui il nostro esercito era impegnato, laddove, dopo che egli diede l’esempio anche nel sacrificio, molti altri lo imitarono. La Scuola di Mistica fascista vanta  tra le sue fila quattordici caduti e cinque medaglie d’oro, da Niccolò Giani a Guido Pallotta. Oggi del camerata Niccolò Giani ci rimane l’esempio di un uomo vissuto coerentemente e che ha saputo insegnarci a disprezzare la borghesia intesa come categoria dello spirito e non appartenenza di classe, il disprezzo della vita comoda, l’entusiasmo, l’attivismo, il coraggio, la gioia di essere fascisti che voleva e vuole dire – tra gli altri – ribellismo, anticonformismo, indignazione verso l’opportunismo, la corruzione, le ambiguità. E’ per questo che abbiamo voluto rendere omaggio a Niccolò Giani, senza ombra di dubbio un esempio a cui guardare per rimanere in piedi in un mondo di rovine.

 


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