martedì 15 settembre 2009

Crisi, capitale e lavoratori.

Uno dei commenti che maggiormente si sente a proposito della crisi è che sia nata dai mutui subprime, e che tutto sommato, fino all’ ottobre scorso, almeno per la cosiddetta “economia reale”, le cose non andavano poi tanto male.

Se si accetta la buona fede, e spesso ci vuole un grande sforzo di generosità, da parte dei commentatori, la cosa pare incredibile. In realtà, questa crisi ha origini lontanissime, nel secolo scorso, e di certo non è frutto delle valutazioni semplicistiche con cui sono stati concessi mutui a persone che non potevano farvi fronte.

Si tratta del frutto di anni di scelte politiche ben valutate e che, forse, oggi stanno ottenendo i risultati sperati dai loro promotori. Facciamo un breve resoconto di tale quadro politico, senza la pretesa di evidenziarne e analizzarne tutti i passaggi.



Le radici più remote le possiamo trovare subito dopo la fine della II Guerra Mondiale, quando il gruppo di potere legato, in America, ai Rockefeller, e in Europa, ad alcune famiglie reali, diede vita al Bilderberg Group (1954) e successivamente alla Trilateral Commission; organizzazioni create per concentrare il potere globale conquistato con la guerra, in mano di poche persone, capaci di decidere le sorti di tutte le popolazioni del pianeta. Altro colpo decisivo a favore del passaggio del potere all’economia, a discapito della politica, venne piazzato nel 1971, allorché l’allora Presidente degli Stati Uniti, Nixon, con la scusa di finanziare la guerra in Vietnam, decise di abrogare il sistema monetario internazionale stabilito a Bretton Woods, che legava il denaro circolante alle riserve auree delle nazioni, stabilendo come una moneta di scambio globale il dollaro americano. Questa decisione ebbe due conseguenze: la creazione di un’economia fittizia, slegata da un qualunque appiglio con quella reale del mondo del lavoro o dei beni reali; e dall’altra parte, estese al massimo il potere statunitense, soprattutto grazie al fatto che il petrolio divenne pagabile solo in dollari, cosa che diede vita all’ “impero americano”, basato sul debito che i vari paesi del mondo contrassero nei cosiddetti “petroldollari”.

Dopodichè arrivarono gli anni ’80, e con essi le amministrazioni Reagan e Thatcher. Furono gli anni delle “grandi liberalizzazioni” e dell’inizio della cancellazione dei diritti sindacali dei lavoratori conquistati durante le aspre lotte sociali degli anni ’70. Si scatena anche la febbre della borsa e nascono gli “yuppies”, che arrivano anche in Italia, trasportati nei cinema da Jerry Calà ed Ezio Greggio e cantati a Sanremo da Barbarossa. Così, mentre il pensionato e il metalmeccanico si giocavano anni e anni di risparmi sudati in fabbrica e nei campi su azioni di cui nemmeno sapevano la provenienza, veniva abrogata la scala mobile (cancellata definitivamente nel 1992 ad opera di Giuliano Amato) e si cominciava a pensare al lavoro flessibile.

Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo, arrivano il “pacchetto Treu”, e le “leggi criminali” D’Antona e Biagi; intanto, continua l’infatuazione per la speculazione finanziaria. Anzi è l’epoca della “new economy”, nella quale piccole fabbrichette di software, cresciute come funghi nel nuovo Eldorado della Silicon Valley, promettono guadagni mirabolanti, fallendo però pochi mesi dopo e mangiando quello che era rimasto nelle tasche dei risparmiatori di tutto il mondo.

Nel frattempo, i “signori del pianeta” hanno continuato a lavorare, portando a termine la globalizzazione: cioè lo sradicamento del potere dalle mani del popolo, per concentrarlo in poche organizzazioni sopranazionali e totalmente prive di legittimità e di controlli democratici. Gli esempi sono infiniti: Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, WTO, GATT, NAFTA, Unione Europea, Banca Centrale Europea, ecc.

A questo punto, il piano era quasi completato: speculazione finanziaria incontrollata, diritti dei lavoratori quasi cancellati e potere politico strappato al popolo e depositato in mano a pochi oligarchi planetari. Come ciliegina finale, ecco arrivare la crisi di questi giorni.



Se “ufficialmente” la situazione odierna sembra colpire tutti indiscriminatamente, io penso che tale situazione migliorerà ulteriormente la situazione dei pochi potenti, ovviamente a discapito dei lavoratori. Diversi sono i fattori che mi spingono a tale conclusione. Prendiamo ad esempio le banche. Negli Stati Uniti, alcune sono state svendute ad altri istituti per pochi dollari, grazie agli aiuti governativi; mentre, altre sono state lasciate fallire, con perdite ingenti per i piccoli risparmiatori. Lo stesso sta avvenendo in Italia, dove solo pochi, e potenti, istituti riescono a beneficiare dei “Tremonti bond”, peraltro in una situazione generale, nella quale, a seguito di innumerevoli fusioni ed acquisizioni, i gruppi bancari sul mercato si possono contare quasi sulle dita di una mano. Tale situazione alla lunga, finirà col lasciare sulla scena pochi istituti bancari, magari a livello planetario, graditi ai poteri forti, i quali saranno in grado, ancor più di oggi, di dettare le regole del gioco, senza alcun contrappeso politico; ovviamente, a discapito dei piccoli risparmiatori.

Situazione analoga si sta verificando nel mondo del lavoro. I costi della crisi stanno ricadendo unicamente sulle spalle dei lavoratori, quelli salariati in particolar modo. Complice l’impotenza dei sindacati, i quali nel corso degli anni hanno perso la loro funzione di tutela dei lavoratori, diventando semplicemente apparati di consenso dei partiti di centro-sinistra; i “padroni” stanno abusando dei diritti minimi dei lavoratori a loro piacimento: casse integrazioni e riduzioni di orario a pioggia, col chiaro intento di ritornare al lavoro a cottimo (“oggi mi servi e ti pago 8 ore, domani non mi servi più e ti faccio scegliere: stipendio pesantemente ridotto o ti lascio a casa”); uso continuo di contratto a termine e di lavori precari; casi sempre più frequenti di mancato versamento dei contributi; aziende finanziate con i soldi pubblici che si accaparrano altre in crisi, facendo pagare tale operazione ai lavoratori, basti citare il caso Fiat-Chrysler per tutti. Questo, unito alla stretta creditizia diretta quasi unicamente contro la piccola e media impresa, mentre i debiti delle grosse aziende vengono allegramente rinegoziati dagli istituti di credito, priverà il lavoratore salariato del benché minimo potere contrattuale, trasformandolo in “carne da macello” del capitale.

Ricapitolando, le politiche mondiali degli ultimi 30 anni, di cui l’attuale crisi rappresenta solamente la logica conseguenza, stanno creando una situazione in cui tutto il potere finirà in mano di una ristretta elite globalizzata, mentre il resto della popolazione verrà trasformata in forza lavoro sottoproletaria. In pratica, stiamo assistendo sul campo, al verificarsi della società piramidale descritta dal Prof. Preve (definita “post-borghese e post-proletaria”); al cui vertice troviamo una ristretta elite che gestisce sia il potere economico che politico; nel mezzo, quel che rimane della classe media e dei quadri aziendali; e infine, “l’esercito di riserva dell’industria”. Cosa ancora più preoccupante, è che il ceto medio sta venendo annientato, schiacciato verso lo strato ultimo della piramide; realizzando il disegno dei padroni del “secolo americano”, di creare solamente due classi sociali: l’elite di potere e la massa sotto-proletarizzata e senza diritti.

Data la situazione, non ci sono più alternative. Tutti noi abbiamo l’obbligo morale di reagire e di opporci a tali forze globalizzanti. Il problema fondamentale è capire come agire efficacemente. Mentre in Italia, la popolazione sembra inebetita da reality show e veline, in altre parti d’Europa, la situazione è più calda: in Inghilterra lo scontro sindacale sta diventando durissimo, mentre in Francia sembra di essere vicini a una deflagrazione sociale (noti a tutti i casi dei sequestri dei manager della Sony France, della 3M, della Caterpillar, ecc.).

Penso che seppur comprensibili e giustificabili, queste reazioni estemporanee a poco servano; il compito che dobbiamo fissarci tutti è quello di creare movimenti radicalmente antagonisti, che si prefiggano lo scopo di abbattere il sistema di capitalismo senza regole che si sta delineando. Bisogna che sia la politica a riprendere le redini della vita sociale delle comunità, che dovranno basarsi sulla decrescita per liberarsi dalla logica globalizzatrice, stabilendo come loro principio base il lavoro contro il capitale finanziario che si arricchisce sulle spalle dei lavoratori. Una volta che sarà tornata la politica a governare, bisognerà realizzare l’unica reale democrazia sostanziale, quella economica. Unico modo possibile è quello della gestione sociale dell’impresa, prevedendo la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione e ai guadagni delle imprese, realizzando quello che Preve definisce il “comunitarismo solidale”, attraverso la formazione di quello che Marx definiva “Lavoratore Collettivo Cooperativo Associato”, il quale riunisca tutte le unità sociali dei lavoratori, dando vita a una forza comunitaria in grado di abbattere l’elite finanziaria che ci sta portando alla fame e alla disperazione.



Articolo di Manuel Zanarini, tratto da www.centroitalicum.it

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