Il passo che deambula all’interno di quattro mura indirizzando ossa pregne d’inerzia verso qualche provvisoria meta bibliografica che possa saziare la necessità di ozio causata da una grama giornata all’insegna dello statico, meccanico, lobotomizzante impegno lavorativo atto tanto a produrre beni di consumo quanto a generare, tra coloro i quali contribuiscono a tal fine capitalista, tedio spirituale da ominidi massificati. Ad interporsi tra la quiete del momento l’improvviso sentore di una mano che afferra decisa la spalla destra, dita che stringono l’articolazione a mò di volontà di arrestare la marcia priva di convinta meta. Il sobbalzo che si miscela presto a stupore, allorquando nulla appare allo sguardo incredulo che muove verso la provenienza di suddetto gesto; neanche il tempo di poter tentare di razionalizzare l’accaduto al fine di giustificarlo, relegandolo alle ceneri della suggestione umana, che la sensazione impone un seguito: la mano stretta sulla spalla sembra indirizzare il corpo verso la finestra, laddove uno scorcio di grigio paesaggio urbano si appalesa oltre il fioco delle trame di seta della tenda che la addobba. La mano che sposta la tenda per permettere allo sguardo di potersi affacciare interamente all’esterno della stanza; questo il fine di quell’inspiegabile ed invisibile vettore? Aprire alla vista un palcoscenico monotono all’insegna del grigio del cemento che mal si assimila al verde spiccatamente acceso dei giardini artificiali nati per celare l’angustia metropolitana di un’edilizia brevettata e tendente al mito gigante? Non v’è certo necessità di un così magico contributo per indicare la miseria di cotanto quadro disumanizzante, degna ambientazione di vite votate al nulla effimero del vivere alla giornata per rintuzzare il portafogli altrui ed indebitare il proprio. No, la magia non può collocarsi così in basso, tra il pattume della desolazione
borghese che conduce l’uomo a zonzo tra i miraggi moderni delle tentazioni materiali che risuonano ai timpani come antichi canti di sirene. La magia ambisce oltre, aspira a vette che spiccano solitarie verso il cielo, verso austeri scenari all’insegna di nevi, venti e foschie, teatri di fantasie che possiedono la forza di spezzare le catene che ci imprigionano a quella linea retta e immanente qual è la storia; trascende dunque i principi di spazio e di tempo la magia, trascendenza che le aride pianure razionalmente distribuite in linea orizzontale sul terreno non possono contemplare. Ed è infatti il prodotto di cotanta fantasia che ci sottopone d’un tratto tutto un altro scenario; che irrompe tra la frenesia delle auto in corsa che passano veloci senza lasciar nulla se non una scia di smog - inni alla brama di vivere all’insegna della velocità, tale da non permettere pause di riflessione - e tra dei soffocanti titani di cemento che restano invece fermi su se stessi come a rappresentare monumenti alla staticità. A stagliarsi d’improvviso sullo sfondo di un contesto così poco attinente alla sua magnificenza è ciò che gli uomini moderni chiamano con superficiale insolenza rovina… Un pertugio contraddistinto dalla lucentezza di raggi di sole che ne annunciano con maggior fasto la presenza allo sguardo finalmente non più privo di fine; un pertugio che conduce verso quel rudere che appare pieno di sé scagliare il proprio rigore in mezzo alle progenie degeneri che lo contornano. Simbolo di severa aristocrazia che non si arrende alla decadenza della civiltà che ne aveva un tempo assunto il vanto, è un’antica costruzione che proietta la vista al di là dei cupi orizzonti ed accende d’ardore l’interno del petto. Vecchio rudere, apparizione mistica dalla forma soave, strumento di voluttà che per mezzo dell’attimo estatico rapisce dalla modernità ed indica la via che rifugge l’appiattimento. Questa l’unica radicalità da perseguire con determinazione..
Tratto dal nuovo numero de "Il Martello", mensile a cura dell'Associzione Culturale Zenit, online su www.assculturalezenit.spaces.live.com
borghese che conduce l’uomo a zonzo tra i miraggi moderni delle tentazioni materiali che risuonano ai timpani come antichi canti di sirene. La magia ambisce oltre, aspira a vette che spiccano solitarie verso il cielo, verso austeri scenari all’insegna di nevi, venti e foschie, teatri di fantasie che possiedono la forza di spezzare le catene che ci imprigionano a quella linea retta e immanente qual è la storia; trascende dunque i principi di spazio e di tempo la magia, trascendenza che le aride pianure razionalmente distribuite in linea orizzontale sul terreno non possono contemplare. Ed è infatti il prodotto di cotanta fantasia che ci sottopone d’un tratto tutto un altro scenario; che irrompe tra la frenesia delle auto in corsa che passano veloci senza lasciar nulla se non una scia di smog - inni alla brama di vivere all’insegna della velocità, tale da non permettere pause di riflessione - e tra dei soffocanti titani di cemento che restano invece fermi su se stessi come a rappresentare monumenti alla staticità. A stagliarsi d’improvviso sullo sfondo di un contesto così poco attinente alla sua magnificenza è ciò che gli uomini moderni chiamano con superficiale insolenza rovina… Un pertugio contraddistinto dalla lucentezza di raggi di sole che ne annunciano con maggior fasto la presenza allo sguardo finalmente non più privo di fine; un pertugio che conduce verso quel rudere che appare pieno di sé scagliare il proprio rigore in mezzo alle progenie degeneri che lo contornano. Simbolo di severa aristocrazia che non si arrende alla decadenza della civiltà che ne aveva un tempo assunto il vanto, è un’antica costruzione che proietta la vista al di là dei cupi orizzonti ed accende d’ardore l’interno del petto. Vecchio rudere, apparizione mistica dalla forma soave, strumento di voluttà che per mezzo dell’attimo estatico rapisce dalla modernità ed indica la via che rifugge l’appiattimento. Questa l’unica radicalità da perseguire con determinazione..
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