È brutto da dire, ma anche settembre si avvia a diventare un mese noioso come aprile.
Avremmo anche fatto volentieri a meno di parlarne se non fosse che ne parlano tutti; e siccome questo è uno di quei frangenti in cui si è più notati quando si arriva in ritardo, eccoci anche noi a parlare dei vari 8 e 11 settembre, nel silenzio improvvisamente calato sulle celebrazioni di rito.
Giorni che sono sempre gli stessi. Perché è da anni che su queste date fatidiche si riversano e si rimasticano puntualmente le medesime considerazioni, proprio come accade per il soporifero 25 aprile.
E pensare, invece, che sarebbe così bello per una volta lasciarsi alle spalle la lettura manieristica di quell’8 settembre che — immarcescibile — schiera ogni anno e con rivoltante prevedibilità i soliti “fascisti” da un lato e i soliti “antifascisti” dall’altro. Sarebbe così bello, per una volta, fare mente locale (mai espressione fu più appropriata) e soffermarsi sulla Sicilia: su quello che era allora e su quello che sarebbe diventata poi. Si finirebbe per scoprire che in quell’8 settembre non si verificò soltanto il tradimento di un generale e di un monarca (visto da destra), né soltanto si udì il vagito della riscossa antifascista verso una nuova Italia (visto da sinistra). No. No: perché l’8 settembre 1943 segna il punto di convergenza di almeno un paio di catastrofi, i cui effetti su questo paese che fu nazione sovrana permangono disastrosi benché criminalmente ignorati: 1) un forte sentimento antifascista e in ultima istanza anti-italiano diffuso particolarmente nelle classi dirigenti siciliane; e 2) una vergognosa alleanza fra servizi segreti americani e malavita siciliana, mirante a ottenere la vittoria in guerra senza curarsi delle ripercussioni che tale alleanza avrebbe avuto sul già disastrato tessuto sociale italiano e preoccupandosi anzi di come volgere a proprio favore la rovina di una nazione.
Del pari, sarebbe non bello ma bellissimo, per una volta, lasciarsi alle spalle la commozione e l’esecrazione e lo sdegno per le vittime dell’11 settembre — che ci sono state, per carità, e non chiederti per chi suona la campana. Al fine di (con mente lucida e spirito critico) interrogarsi sulle molte verità sottese al crollo delle Twin Towers e delle speranze di un mondo multipolare. E magari, con un ardito esercizio metalogico che farebbe invidia a Pindaro, giustapporre l’attentato in cui il 9 settembre 2001 fu ucciso il comandante afghano Ahmad Shah Massoud e l’attacco alle Torri dell’11 settembre 2001 e l’invasione dell’Afghanistan da parte degli Usa il 7 ottobre 2001: e leggere gli eventi del 9 e dell’11 settembre come prodromo e giustificazione per un attacco all’Afghanistan accuratamente pianificato in precedenza.
Macché. Prendiamocela col terrorismo islamico, leviamoci tutti per la difesa dell’Occidente e soprattutto non chiediamoci mai perché ci odiano. Sarà anche noioso, ma al momento è più comodo: e noi, qui nel Primo mondo, siamo abituati a tutti i comfort.
Di Alessandra Colla, tratto da www.oriononline.info
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