lunedì 4 ottobre 2010

Siamo numeri controllati.


L’undici agosto scorso è uscito in anteprima per il quotidiano Rinascita un mio articolo dall’eloquente titolo: “La società del controllo globale” dove mettevo in luce il funzionamento del controllo/marketing che ogni giorno, senza saperlo, subiamo da grandi società multinazionali. Il funzionamento è semplice, ogni volta che facciamo una ricerca su un determinato sito internet, veniamo tracciati da dei potenti software che registrano tutti i nostri movimenti e tutte le nostre ricerche in modo da poterci catalogare come un determinato tipo di consumatore. Ed è proprio così che, in tempi brevissimi, i nostri gusti e le nostre ricerche, vengono vendute ad altre società e finiscono in banner pubblicitari. Questi banner pubblicitari ci vengono poi fatti vedere in continuazione su quasi tutti i siti che andremo a visitare in seguito. Due giorni dopo, il tredici agosto, il quotidiano Repubblica ha pubblicato un’inchiesta dal titolo: “Ecco il grande fratello Google. Ci scheda per la pubblicità” a firma di Fabio Tonacci e Marco Mensurati (www.repubblica.it), l’articolo, molto ben strutturato, analizza nei particolari i funzionamenti di questi software spia. Si legge: “Secondo una ricerca dell’Università californiana di Berkeley, Google Inc è in grado di controllare e tracciare i movimenti di chi usa Internet sul 88,4% della rete. Direttamente, attraverso i suoi siti cult, come il motore di ricerca, il servizio di posta elettronica (gmail.com), Youtube, Google Maps, Picasa. Ma anche indirettamente, grazie a quei software gratuiti usati da milioni di bloggers, gestori di siti e aziende. Ad esempio Google Analytics – l’applicazione che permette di conteggiare il traffico di un portale – o AdSense, il servizio di inserzioni pubblicitarie. Risultato: il database di Google è il più vasto oggi esistente, e anche quello che contiene il maggior numero di informazioni su un utente unico”. Google, attraverso Marco Pancini, European Senior Counsellor di Google, tende a precisare che: “E’ vero che registriamo la navigazione degli utenti per creare un elenco personalizzato di categorie di interesse, ma tutto avviene in maniera anonima. I profili sono associati a un codice numerico, mai a un nome e un cognome, come indichiamo nella sezione “privacy” del nostro sito”. Si, appunto, la privacy… I garanti della privacy hanno più volte denunciato questa situazione come si legge continuando a scorrere l’articolo di Repubblica: “un rapporto di Privacy International, l’organizzazione no profit inglese che si occupa di monitorare gli attacchi alla privacy lanciati da governi e aziende, metteva già nel 2007 Google al primo posto della classifica dei “cattivi di Internet”. “Non chiede l’autoriz-zazione al trattamento dei dati, ha accesso a informazioni personali che vanno oltre il traffico online, come hobby, impieghi lavorativi, numeri di telefono. Raccoglie i report delle ricerche fatte attraverso la sua Toolbar senza specificare per quanto li conser-verà”. Questo rapporto, scritto ben tre anni fa, sembra non essere mai stato smentito da Google. Forse è vero, in una società così dedita al consumo, siamo diventati solo dei numeri insignificanti. Uguali e massificati. Ma una domanda è lecita, anzi no, facciamo due, se i dati che vengono conservati, finissero in mani sbagliate, cosa succederebbe? E ancora, chi controlla i controllori?

Di Fabio Polese, Perugia Free Press - Settembre 2010


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