Riceviamo e pubblichiamo l'editoriale de Il Martello di Marzo.
Una pericolosa deriva – tra le tante – caratterizza la nostra società. Parliamo di quella sorta di giustizialismo preventivo che nasce sui media e finisce per veicolare l’opinione pubblica. Tale deriva possiede i tratti tipici che contraddistinguono il colpevole ruolo svolto dal giornalismo nel mondo moderno: si fonda sull’approssimazione, sulla spettacolarizzazione di ogni evento, sull’omissione e sulla parzialità nell’esposizione dei fatti, si sviluppa infine colpendo l’emotività dei fruitori e rifuggendo ogni tentativo più profondo d’analisi. E’ ormai un metodo giornalistico largamente diffuso, che si tratti di cronaca nazionale o di geopolitica. Si insinua laddove una certa lobby di potere che tira i fili dell’informazione desideri colpire un obiettivo, pronunciandogli contro una sentenza di condanna anticipata e crudele. Si insinua in Italia avvalendosi del diabolico, ormai palese connubio magistratura-informazione: la prima si occupa di avviare inchieste verso persone già fatte preventivamente oggetto di campagne giornalistiche diffamanti, la seconda si prodiga nel demolire definitivamente il profilo pubblico di costoro trasformando l’avviso di garanzia in condanna incontrovertibile, traducendo l’ipotesi di reato in criminalizzazione preventiva, in modo tale da rendere vana ogni successiva eventuale pronuncia d’assoluzione. Questa marcia struttura mediatica italiana è pertanto il riflesso di quanto avviene in ambito geopolitico, con la differenza che gli oggetti di questo sciacallaggio non sono singoli uomini bensì interi governi. In tal senso l’esempio oggi più attuale è relativo alla campagna dei media all’indirizzo dell’Iran, ferocemente colpito dall’odio quotidiano vomitatogli addosso da giornali e TV occidentali. Se fossimo dei fruitori d’informazione approssimativi, che considerano verità incontestabile ogni notizia elargita dai media di massa, saremmo convinti di trovarci al cospetto di una tirannia efferata, oltre che di un minaccioso Stato bellico che sta ultimando una bomba atomica da lanciare addosso a noi, pacifici ed inoffensivi cittadini del mondo occidentale. Ma, graziaddio, non riteniamo di essere approssimativi e rifiutiamo categoricamente ogni “verità” che ci viene imposta attraverso questo metodo. La sete di ricerca, dunque il rifiuto di attenerci a quanto propinato dai media di massa, ci fa affermare con convinzione questo postulato: le “verità” relative all’Iran si fondano principalmente su calunnie e ipocrisia. Innanzitutto va sgomberato il campo dalla favola dei brogli elettorali e del mancato consenso popolare, sfociato in quella cosiddetta “rivoluzione verde” che la polizia iraniana reprime nel sangue. Ebbene, credere che eventuali brogli possano aver spostato una mole di voti pari al 62,64% (tale è la percentuale di consenso elettorale di Ahmadinejad) è un insulto all’intelligenza umana, peraltro nessun osservatore internazionale ha potuto registrare con tanto di prove movimenti rilevanti in questo senso. L’Iran sottaciuto, la maggioranza del paese, è quello della gente semplice, radicalmente legata a valori che noi consideriamo vetusti (e questa presunzione è la nostra condanna a scomparire come popolo, fondendo l’ordine nel caos del melting pot); questa gente non persegue il consumismo ma l’armonia spirituale, non adora il danaro ma Dio. Ma questa gente non è neanche stupida, tutt’altro. La propria osservanza religiosa non la irrigidisce in modo ottuso, anzi gli concede una serenità di giudizio scevra da condizionamenti superflui: essa non apprezza l’impostazione occidentale, costruita, di un politico; essa rifugge l’uso smodato dei mezzi tecnologici. Al contrario, essa apprezza il proprio leader Ahmadinejad poiché ne comprende l’autenticità, la capacità di saper comunicare anche col popolo delle campagne con schiettezza e senza snobismi. Apprezza i fatti, la politica sociale dell’attuale governo che consiste, per esempio, nell’accesso alle cure mediche gratuite, nell’aumento degli stipendi e delle pensioni. Il vero Iran, celato agli occhi di noi occidentali, cioè la maggioranza del paese, sta dalla parte del suo governo e lo dimostra attraverso oceaniche adunate - sapientemente ignorate dalle telecamere dei nostri TG e dall’inchiostro dei nostri giornali - in favore del proprio governo e del proprio Ayatollah Khamenei, una sorta di guida suprema di carattere spirituale. Gli Iraniani sono entusiasti ed orgogliosi del proprio governo, a parte una minoranza di essi, seppur rumorosa e distruttrice, reale minaccia dell’ordine sociale e per questo perseguitata dagli organi di polizia (uno Stato che si difende possiede l’imprimatur della legittimità soltanto quando i pericoli interni si chiamano ultras, brigate rosse, eversivi neri? Quando orde di verdi fanatici bruciano moschee, spaccano vetrine ed automobili a Teheran lo Stato non deve forse intervenire in modo netto?). Quella minoranza ci viene fatta passare dai media, attraverso la tendenza ad alterare la veridicità degli eventi, per voce di popolo e per vittima del sistema. Sciolto ogni dubbio relativo alle questioni interne iraniane, va fatto altrettanto riguardo le questioni esterne o, per meglio dire, riguardo la questione esterna per antonomasia: l’ipotetica minaccia nucleare, presumibilmente avvalorata dalle solenni accuse di Ahmadinejad verso Israele. E’ bene fornire un’essenziale informazione che vergognosamente nessun giornalista rileva, facendoci così pensare che l’Iran, se non domani, al massimo dopodomani avrà pronta la bomba atomica. La notizia consiste nel fatto che per avviare la costruzione del nucleare militare è necessario un arricchimento dell’uranio all’80%, mentre l’Iran non è ancora in grado nemmeno di arricchirlo al 20%, limite indispensabile per gli usi civili. E di sviluppare un nucleare civile l’Iran ha diritto, in quanto paese firmatario del trattato di non-proliferazione (Il trattato proibisce agli stati firmatari "non-nucleari", ovvero che non possiedono armi nucleari, di procurarsi tali armamenti e agli stati "nucleari" di fornir loro tecnologie nucleari belliche). Ricordiamo che Israele, l’agnellino vittima delle minacce di lupo Ahmadinejad, non ha invece voluto firmare questo trattato (ma quali sarebbero poi queste pericolose minacce, a parte i travisamenti giornalistici? La denuncia dell’ipocrisia di uno stato confessionale, perennemente in guerra, fondato sull’etnocrazia, per giunta arrecante il diritto di dare lezioni di moralità? Beh, minacce sacrosante allora!). Del resto l’Iran ha recentemente consegnato all’AIEA (autorità internazionale nucleare) una proposta flessibile e ragionevole, tale da garantire la propria volontà ad arricchire uranio per fini esclusivamente civili. Eppure gli USA (influente paese membro dell’AIEA) hanno già bollato come “non interessante” questa proposta, senza degnare l’Iran di alcuna spiegazione né dimostrandosi minimamente propensi al dialogo ed alla ricerca di una soluzione pacifica della questione. Ai media nostrani basterebbe riportare queste brevi ma indicative notizie sull’Iran, basterebbe descrivere dunque l’oggettività, per evitare di comportarsi, loro sì, da stampa di regime. Ma un simile atteggiamento presuppone una condizione necessaria che evidentemente latita: il coraggio. La mancanza di coraggio può costar cara: nel 2003, prima dell’attacco all’Iraq, quasi nessuno, dato il quotidiano lavaggio del cervello dei media, osava pensare che Saddam Hussein non possedesse in realtà armi di distruzioni di massa, che quella fosse soltanto una campagna mediatica americana per giustificarne l’imminente attacco militare. Poi, un bel giorno, a guerra in Iraq ormai iniziata da un bel pezzo e a Saddam Hussein ucciso, il Segretario di Stato Americano Colin Powell fu costretto a fare ciò che gli americani amano chiamare outing: privo di uno straccio di prova, ammise esplicitamente che le scrupolose ricerche delle autorità internazionali non avevano portato al ritrovamento di alcuna arma di distruzione di massa in possesso del regime iracheno, di conseguenza ammettendo, stavolta implicitamente, che le presunte prove sbandierate dai media occidentali erano dei falsi grotteschi e - dati gli effetti: centinaia di migliaia di morti - criminali. Ecco, auspichiamo che questa recente vicenda, sempre legata al binomio Occidente-Medio Oriente e sempre fondata sulle menzogne, non venga imitata. Gli effetti di una nuova “missione di pace” potrebbero essere catastrofici, anche perché USA ed Israele, loro sì, hanno in serbo armi atomiche (Do you remember Enola Gay?). E noi non perseguiamo alcuno scenario apocalittico che faccia da preludio all’avvento del messia…
Associazione Culturale Zenit
Una pericolosa deriva – tra le tante – caratterizza la nostra società. Parliamo di quella sorta di giustizialismo preventivo che nasce sui media e finisce per veicolare l’opinione pubblica. Tale deriva possiede i tratti tipici che contraddistinguono il colpevole ruolo svolto dal giornalismo nel mondo moderno: si fonda sull’approssimazione, sulla spettacolarizzazione di ogni evento, sull’omissione e sulla parzialità nell’esposizione dei fatti, si sviluppa infine colpendo l’emotività dei fruitori e rifuggendo ogni tentativo più profondo d’analisi. E’ ormai un metodo giornalistico largamente diffuso, che si tratti di cronaca nazionale o di geopolitica. Si insinua laddove una certa lobby di potere che tira i fili dell’informazione desideri colpire un obiettivo, pronunciandogli contro una sentenza di condanna anticipata e crudele. Si insinua in Italia avvalendosi del diabolico, ormai palese connubio magistratura-informazione: la prima si occupa di avviare inchieste verso persone già fatte preventivamente oggetto di campagne giornalistiche diffamanti, la seconda si prodiga nel demolire definitivamente il profilo pubblico di costoro trasformando l’avviso di garanzia in condanna incontrovertibile, traducendo l’ipotesi di reato in criminalizzazione preventiva, in modo tale da rendere vana ogni successiva eventuale pronuncia d’assoluzione. Questa marcia struttura mediatica italiana è pertanto il riflesso di quanto avviene in ambito geopolitico, con la differenza che gli oggetti di questo sciacallaggio non sono singoli uomini bensì interi governi. In tal senso l’esempio oggi più attuale è relativo alla campagna dei media all’indirizzo dell’Iran, ferocemente colpito dall’odio quotidiano vomitatogli addosso da giornali e TV occidentali. Se fossimo dei fruitori d’informazione approssimativi, che considerano verità incontestabile ogni notizia elargita dai media di massa, saremmo convinti di trovarci al cospetto di una tirannia efferata, oltre che di un minaccioso Stato bellico che sta ultimando una bomba atomica da lanciare addosso a noi, pacifici ed inoffensivi cittadini del mondo occidentale. Ma, graziaddio, non riteniamo di essere approssimativi e rifiutiamo categoricamente ogni “verità” che ci viene imposta attraverso questo metodo. La sete di ricerca, dunque il rifiuto di attenerci a quanto propinato dai media di massa, ci fa affermare con convinzione questo postulato: le “verità” relative all’Iran si fondano principalmente su calunnie e ipocrisia. Innanzitutto va sgomberato il campo dalla favola dei brogli elettorali e del mancato consenso popolare, sfociato in quella cosiddetta “rivoluzione verde” che la polizia iraniana reprime nel sangue. Ebbene, credere che eventuali brogli possano aver spostato una mole di voti pari al 62,64% (tale è la percentuale di consenso elettorale di Ahmadinejad) è un insulto all’intelligenza umana, peraltro nessun osservatore internazionale ha potuto registrare con tanto di prove movimenti rilevanti in questo senso. L’Iran sottaciuto, la maggioranza del paese, è quello della gente semplice, radicalmente legata a valori che noi consideriamo vetusti (e questa presunzione è la nostra condanna a scomparire come popolo, fondendo l’ordine nel caos del melting pot); questa gente non persegue il consumismo ma l’armonia spirituale, non adora il danaro ma Dio. Ma questa gente non è neanche stupida, tutt’altro. La propria osservanza religiosa non la irrigidisce in modo ottuso, anzi gli concede una serenità di giudizio scevra da condizionamenti superflui: essa non apprezza l’impostazione occidentale, costruita, di un politico; essa rifugge l’uso smodato dei mezzi tecnologici. Al contrario, essa apprezza il proprio leader Ahmadinejad poiché ne comprende l’autenticità, la capacità di saper comunicare anche col popolo delle campagne con schiettezza e senza snobismi. Apprezza i fatti, la politica sociale dell’attuale governo che consiste, per esempio, nell’accesso alle cure mediche gratuite, nell’aumento degli stipendi e delle pensioni. Il vero Iran, celato agli occhi di noi occidentali, cioè la maggioranza del paese, sta dalla parte del suo governo e lo dimostra attraverso oceaniche adunate - sapientemente ignorate dalle telecamere dei nostri TG e dall’inchiostro dei nostri giornali - in favore del proprio governo e del proprio Ayatollah Khamenei, una sorta di guida suprema di carattere spirituale. Gli Iraniani sono entusiasti ed orgogliosi del proprio governo, a parte una minoranza di essi, seppur rumorosa e distruttrice, reale minaccia dell’ordine sociale e per questo perseguitata dagli organi di polizia (uno Stato che si difende possiede l’imprimatur della legittimità soltanto quando i pericoli interni si chiamano ultras, brigate rosse, eversivi neri? Quando orde di verdi fanatici bruciano moschee, spaccano vetrine ed automobili a Teheran lo Stato non deve forse intervenire in modo netto?). Quella minoranza ci viene fatta passare dai media, attraverso la tendenza ad alterare la veridicità degli eventi, per voce di popolo e per vittima del sistema. Sciolto ogni dubbio relativo alle questioni interne iraniane, va fatto altrettanto riguardo le questioni esterne o, per meglio dire, riguardo la questione esterna per antonomasia: l’ipotetica minaccia nucleare, presumibilmente avvalorata dalle solenni accuse di Ahmadinejad verso Israele. E’ bene fornire un’essenziale informazione che vergognosamente nessun giornalista rileva, facendoci così pensare che l’Iran, se non domani, al massimo dopodomani avrà pronta la bomba atomica. La notizia consiste nel fatto che per avviare la costruzione del nucleare militare è necessario un arricchimento dell’uranio all’80%, mentre l’Iran non è ancora in grado nemmeno di arricchirlo al 20%, limite indispensabile per gli usi civili. E di sviluppare un nucleare civile l’Iran ha diritto, in quanto paese firmatario del trattato di non-proliferazione (Il trattato proibisce agli stati firmatari "non-nucleari", ovvero che non possiedono armi nucleari, di procurarsi tali armamenti e agli stati "nucleari" di fornir loro tecnologie nucleari belliche). Ricordiamo che Israele, l’agnellino vittima delle minacce di lupo Ahmadinejad, non ha invece voluto firmare questo trattato (ma quali sarebbero poi queste pericolose minacce, a parte i travisamenti giornalistici? La denuncia dell’ipocrisia di uno stato confessionale, perennemente in guerra, fondato sull’etnocrazia, per giunta arrecante il diritto di dare lezioni di moralità? Beh, minacce sacrosante allora!). Del resto l’Iran ha recentemente consegnato all’AIEA (autorità internazionale nucleare) una proposta flessibile e ragionevole, tale da garantire la propria volontà ad arricchire uranio per fini esclusivamente civili. Eppure gli USA (influente paese membro dell’AIEA) hanno già bollato come “non interessante” questa proposta, senza degnare l’Iran di alcuna spiegazione né dimostrandosi minimamente propensi al dialogo ed alla ricerca di una soluzione pacifica della questione. Ai media nostrani basterebbe riportare queste brevi ma indicative notizie sull’Iran, basterebbe descrivere dunque l’oggettività, per evitare di comportarsi, loro sì, da stampa di regime. Ma un simile atteggiamento presuppone una condizione necessaria che evidentemente latita: il coraggio. La mancanza di coraggio può costar cara: nel 2003, prima dell’attacco all’Iraq, quasi nessuno, dato il quotidiano lavaggio del cervello dei media, osava pensare che Saddam Hussein non possedesse in realtà armi di distruzioni di massa, che quella fosse soltanto una campagna mediatica americana per giustificarne l’imminente attacco militare. Poi, un bel giorno, a guerra in Iraq ormai iniziata da un bel pezzo e a Saddam Hussein ucciso, il Segretario di Stato Americano Colin Powell fu costretto a fare ciò che gli americani amano chiamare outing: privo di uno straccio di prova, ammise esplicitamente che le scrupolose ricerche delle autorità internazionali non avevano portato al ritrovamento di alcuna arma di distruzione di massa in possesso del regime iracheno, di conseguenza ammettendo, stavolta implicitamente, che le presunte prove sbandierate dai media occidentali erano dei falsi grotteschi e - dati gli effetti: centinaia di migliaia di morti - criminali. Ecco, auspichiamo che questa recente vicenda, sempre legata al binomio Occidente-Medio Oriente e sempre fondata sulle menzogne, non venga imitata. Gli effetti di una nuova “missione di pace” potrebbero essere catastrofici, anche perché USA ed Israele, loro sì, hanno in serbo armi atomiche (Do you remember Enola Gay?). E noi non perseguiamo alcuno scenario apocalittico che faccia da preludio all’avvento del messia…
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