La crisi del debito pubblico della Grecia sta provocando lo sconquasso dell’eurocrazia. Su Bruxelles in panne fioccano infatti le analisi soddisfatte d’Oltremanica e i continui rimbrotti su e contro i “PIGS”. (Abbiamo già accennato al significato di “pigs”. Come si sa gli anglosassoni e i loro cortigiani hanno il debole per gli acronimi: così il termine non certo “neutrale “pigs” (porci nella lingua d’Albione) accomuna le nazioni Ue “deboli” o inadempienti ai parametri di Maastricht sul rapporto debito-pil e sulla “stabilità forzata” decretata dalle elites burocratiche nell’articolo 125 del trattato di Lisbona: p come Portogallo, i come Italia, g come Grecia, s come Spagna, oltre al corollario di una possibile doppia i per includere anche l’Irlanda).
Vediamo di chiarire quanto accade. In tre mesi, da qui al 15 maggio, l’Ue dei “Sedici” dovrà mettere in esecuzione un piano di sostegno alla Grecia perché possa evitare la bancarotta. In questo trimestre Atene è chiamata a operare un prelievo forzoso dalle tasche dei suoi cittadini e a programmare una consistente riduzione dell’indebitamento. Bruxelles, come deciso dai ministri ecofin ed esplicitato dal commissario Olli Rehn, cercherà per parte sua di delineare un piano di aiuti finanziari per sostenere la Grecia. In quanto a cifre i dati sono più che conosciuti: nel 2010 il rapporto pil-indebitamento sarà per la Grecia pari al 121 per cento, con un deficit ulteriore di oltre 300 miliardi di euro.
Di fronte al disastro monetario greco, a Bruxelles si sta premendo sulla “locomotiva tedesca” perché guidi la “squadra di soccorso”. Ma per Berlino non è affatto un onore, questo, ma un onere difficilmente accettabile.
Sia perché è escluso dagli stessi elementi fondativi dell’unione monetaria europea (e dai dettati dei due trattati fondanti, Maastricht e Lisbona) che un Paese membro si faccia carico della stabilità dell’eurozona con accordi di sostegno a chi è in crisi. E sia perché la lenta ripresa tedesca difficilmente potrebbe sopportare nuovi carichi e zavorre esterne. D’altra parte, proprio per evitare tali ripercussioni, i padri fondatori di quel mostro che è l’Unione europea – un’eurocrazia non eletta, priva di sovranità, priva di unità politica - avevano delegato ad un ente terzo – la Bce - la politica monetaria dell’Europa dell’euro, per lavarsi le mani da ogni obbligo di direttiva economica.
E non è certo tutto. La possibilità di una reazione a catena che destabilizzi totalmente l’eurozona è appena dietro l’angolo.
Il Fondo monetario internazionale – che di usura monetaria se ne intende – di recente ha stilato la sua consueta pagella sui “Paesi cattivi del mondo” in quanto a stabilità monetaria ed ha indicato le varie necessità di “inasprimento fiscale”, nazione per nazione, al solo fine di mantenere lo status quo governando l’indebitamento. E’ interessante notare che in cima alle classifiche si ergano Gran Bretagna e Giappone, per i quali il Fmi propone inasprimenti fiscali, nel 2010, pari al 13% del pil. Seguono a ruota Irlanda, Spagna e Grecia (9%) e quindi gli Usa (8,8%). Per l’Italia si parla della “necessità di alzare le tasse” di un altro 8 per cento…
Già. Gli Usa. Gli “spendaccioni del mondo”, quelli che hanno riempito di carta-straccia (banconote), le casseforti cinesi e che veleggiano impavidi sull’onda di un deficit di 1500 miliardi di dollari che, con la cura Obama, accumula ulteriori 300 miliardi di interessi annuali da pagare. Con un surplus di emissioni statali in scadenza per un trilione di dollari all’anno (mille miliardi di dollari), difficilmente assestabili con un risparmio dei cittadini caduto dal 2008 a livelli infimi.
Gli Usa, quelli che da tempo immemore – la Grande Depressione – usano a loro piacimento i cambi del dollaro per abbassare i costi delle importazioni di materie prime o, al contrario, per far crescere la redditività delle proprie esportazioni di brevetti, royalties, beni e servizi…
Quelli che stanno lucrando in queste settimane appunto, sulla crisi dell’eurozona, attirando investitori e risparmi oltreoceano, grazie alla totale mancanza di sovranità nazionale ed economica europea. Il tallone di Achille, voluto, costruito a tavolino a Maastricht e quindi a Lisbona, per assoggettare “l’area di libero scambio” che qualcuno si affanna a definire “Europa” ai desiderata del momento degli Stati Uniti d’America. Una bancarotta greca val bene la sopravvivenza dei Padri Fondatori.
Di Ugo Gaudenzi, www.rinascita.info
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