A lume di ragione: di Rutilio Sermonti.
Si suol dire che l’Uomo è superiore a tutti gli altri esseri viventi, sol perchè possiede la ragione. E’ un concetto assai rozzo e riduttivo, che porta a concezioni ed anche a conseguenze pratiche pregiudizievoli. Non si può infatti negare che, se è vero che la ragione umana è qualcosa di assai più vasto e complesso degli “istinti” innati che regolano i comportamenti degli animali, è anche vero che essa è tutt’altro che infallibile come invece lo sono quelli, Ne consegue che anche i più umili tra gli animali si comportano sempre nel modo migliore che loro sia dato per la conservazione di se stessi e della loro specie, mentre l’Uomo, con la sua superiore ragione, è l’unico capace di operare per il danno proprio e dei suoi simili e di distruggere persino le proprie risorse di vita, tutte cose sommamente ... irragionevoli. Come si spiega ? E -si noti- più l’Uomo, grazie alla sullodata ragione, “progredisce”, peggio vanno le cose. Gli animali seguono una dieta alimentare perfettamente consona al loro metabolismo; l’Uomo sa tutto di proteine, lipidi e carboidrati , ma si abbuffa di autentiche schifezze. per lui assai nocive Gli animali esercitano per tutta la vita le loro doti fisiche, l’uomo civile le sacrifica tutte alla pigrizia. Gli animali sono di regola sani ed efficienti; l’Uomo ragionante è un malato longevo.
Gli animali vivono liberi, in quanto ognuno è capace di procurarsi il necessario, da solo o unito ad altri suoi simili; l’Uomo moderno dispone invece di una enorme quantità di aggeggi che ritiene “necessari”, ma nessuno di questi saprebbe farsi da sè, ed è quindi tutto-dipendente. Gli animali sociali possiedono un sicuro istinto per la scelta del capo-branco; gli uomini civili hanno inventato il sistema per essere governati dai peggiori, e cioè l’assurdo gioco in cui vincono soltanto i bari (detto democrazia). Ma è inutile continuare a enumerare le prodezze della “ragione”, nelle quali sguazziamo da mane a sera. Stando ai risultati, si sarebbe portati a pensare che il famoso libero arbitrio sia un difetto, più che un pregio, e il mito della cacciata dal paradiso terrestre assume un desolante significato. Anche quella ,però, è una scappatoia dialettica.
A lume di semplice ragione, possiamo definire la ragione stessa come la capacità di elaborare le dirette percezioni sensoriali, deducendone alcune “nozioni”, a loro volta utili come regole di comportamento. La reazione più semplice agli stimoli è, per vero, l’associazione di un atto con una sensazione di piacere o di dolore. Si tratta dei cosiddetti “riflessi condizionati” pavloviani, sui quali esiste una vastissima e minuziosa letteratura. Il lupo che addenta un porcospino e si punge dolorosamente le fauci, associerà quel dolore all’odore e all’aspetto dell’Insettivoro e si asterrà dal reiterare il tentativo non solo con quell’individuo, ma anche con gli altri olfattivamente ed otticamente simili. E’ già una generalizzazione. Siamo però ancora al disotto del concetto corrente di “ragione”, in quanto il nesso associativo tra il dolore e la causa di esso è diretto, e non ha bisogno di alcuna elaborazione mentale, e quindi non può portare nè ad applicazioni sillogistiche nè a ciò che definiamo “concetti”.
Tuttavia, non si può negare che esista, anche in alcuni animali, perfino considerati inferiori (come i pesci), qualcosa di più. o almeno di diverso. Non si vuol alludere ai notissimi abbozzi e barlumi di processi “logici”, come quello del Chimpanzè che pone una cassetta sull’altra per impadronirsi della banana pendente dall’alto, nè alle stupefacenti facoltà mentali di alcuni Delfinidi, per tacere del nostro amico cane. A ben vedere, potremmo considerare abbozzi di processi mentali anche le capacità di “apprendimento” per imitazione degli adulti, diffusissime e indispensabili alla vita tra i cuccioli di molti Mammiferi e i pulcini di molti Uccelli. La trasposizione a se stesso dell’azione dell’adulto, che il piccolo compie, , non può negarsi che sia un’operazione mentale, anche se semplicissima. Ma -come dicevo- parlando di “qualcosa di diverso”, non intendevo alludere a simili esempi, bensì alla possibilità di riscontrare in alcuni animali accenni di contatti “conoscitivi” con la realtà che li circonda, non dipendenti dal loro sistema sensoriale, anzi, aggiungerei, neppure mediati da esso.
Uno abbastanza diffuso, che ho avuto anche spesso occasione di costatare personalmente, è la percezione diretta dell’intenzione di chi hanno di fronte, ossia dell’atteggiamento mentale amichevole o aggressivo dello stesso, anche se di tali fatti mentali non appare alcuna manifestazione percepibile dal sensorio. Un uomo che odia e teme i cani non ha alcuna differenza avvertiibile, a venti metri di sistanza, coi sensi di un cane (fornito peraltro di una vista non eccellente), rispetto ad un uomo che prova per i cani simpatia e fiducia. Eppure, è fuor di dubbio che il cane percepisce subito l’atteggiamento emotivo dell’uomo che appena intravede, e si comporta di conseguenza. I materialisti fanatici parlano di un “odore” della paura, presuntamente emesso dalla pelle dell’uomo, che lo sviluppatissimo odorato del cane percepirebbe subito e sarebbe per lui “contagioso”, inducendolo alla fuga, o magari all’aggressione (per legittima difesa putativa - direbbe un giurista). Ma non abbiamo mai considerato seria tale ipotesi, del tutto priva di riscontri, sia perchè la supposta secrezione umorale da parte dell’uomo, quand’anche vi fosse, non potrebbe essere certamente fulminea, sia perchè un odore, per propagarsi nell’aria a distanza, abbisogna di un certo tempo se l’aria è ferma, e se emesso sottovento non perviene affatto.
No: non è coi propri sensi, per quanto acuti, che certi animali “sentono” l’ostilità o meno di uno sconosciuto. Come vecchio “sub” ho innumerevoli volte costatato come pesci e Cefalopodi si lascino tranquillamente avvicinare per osservarli, ma se si punta verso di loro il fucile (del quale ignorano certamente la potenzialità offensiva), si affrettano a mettersi in salvo, avvertendo l’intenzione predatoria. Esempi del genere potrei citare in gran numero, rischiando di tediare il lettore non particolarmente curioso di etologia, anche tra animali tutt’altro che dotati di particolare perspicacia. Molto noto e studiato, tra gli zoologhi, il caso di quei Silvidi (come
Voglio limitarmi alla costatazione che, pur non essendo essi forniti di “ragione” in senso proprio, anche gli anumali possono possedere una fonte di informazione diversa dai sensi fisici.
E l’Uomo, in cui l’intelletto ha tale meravigliosa estensione da rendere per lui addirittura secondaria la piena efficienza delle qualità “fisiche” ( quanti nostri simili sono stati “grandi”, pur essendo ciechi, sordi, gobbi o paralitici ?) dovrebbe invece essere rigorosamente limitato dai sillogismi impiantati sulla “osservazione”? Dovrebbe ignorare ogni sapere che non abbia origine nei sensi, negare ogni realtà che non si possa vedere , toccare , misurare, recludersi volontariamente nel muro di un carcere, dalle cui torrette vigila, arcigna, la “scienza”, a scanso di evasioni ?
Eppure, è proprio quello che è accaduto, tanto più quanto si affermava la dittatura della famosa RAGIONE !
E’ dunque essa , come affermano certi irrazionalisti, non un pregio ma una maledizione ? E’ dunque necessario metterla a tacere con l’ebbrezza, con le droghe, con l’abbandono agli impulsi inconsapevoli e incontrollati ?
O tali espedienti altro effetto non sortiscono che quello di potrre l’Uomo al disotto, anzichè al disopra degli altri esseri viventi ?
No. Ben altra è la via della salvezza. Anche la ragione umana è “naturale”. E , come tutto ciò che è naturale, essa può perfettamente inserirsi nella suprema armonia che regola l’intero universo. Non è colpa della ragione in sè, se l’Uomo è diventato non il re, ma il nemico del creato. Non è per un difetto della ragione se la specie umana è dedita al quotidiano suicidio e alla sistematica auto-degradazione, con un ebete sorriso sulle labbra. E’ per l’uso improprio che se n’è voluto fare. Ci si perdoni il paragone irriverente, ma se uno vuol mangiare la minestra con la forchetta, non è colpa della forchetta se non riesce a portare il brodo alla bocca. La colpa è sua, che non usa il cucchiaio, che pure è lì accanto. Sembra incredibile, ma l’immane tragedia che travaglia l’umanità (e tutto ciò che con essa ha contatto) dipende da uno sbaglio stupido del genere: aver fatto della ragione un uso improprio. Con l’aggravante, si badi, di essere stata ammonita per millenni, da innumeri voci di saggezza e sotto tutti i cieli, sui tremendi pericoli che quell’uso improprio comporta.
Anche se la ragione logica è un mezzo meraviglioso, che solo agli uomini è dato, essa appartiene pur sempre all’ordine dei mezzi. Non può quindi servire, da sola, a indicare i fini, come il timone è uno strumento per dirigere l’imbarcazione, ma non si può pretendere dal timone che ci dica in che direzione andare. La “scelta” va fatta ad altro livello, anche se a nulla servirebbe aver bene scelto la rotta se non ci fosse il timone a permetterci di seguirla. Bussola e timone sono quindi necessariamente complementari. Il paragone è misero, ma ci sembra esprima con sufficiente approssimazione il rapporto che deve sussistere tra la ragione, capace di elaborare l’esperienza sensoriale e di giovarsi di quella altrui, e quel nostro superiore attributo spirituale che ci guida a integrarci con la suprema armonia che regola il cosmo, ossia ci apre la via di Dio. E’ una luce che non abbisogna di occhi, una musica a cui non servono orecchie, perchè non à da fuori che ci perviene ma dal più profondo della nostra essenza, che non può attingersi con acquisizioni ma solo con purificazione. Ed è a quella che tendono riti e pratiche religiose, da tempi assai più remoti di quelli che una paleontologia fondata solo sui “manufatti” ci permette di calcolare. E’ quello il compito arduo che attende oggi chi intenda, caparbiamente, operare per la rinascita.
Perchè, illudendosi di liberarsi da ogni guida sovra-razionale e di “fare da sè”, il che equivalse a ignorare i propri limiti, la preziosa ragione ebbe la sorte che hanno, in un organismo, le cellule neoplastiche maligne: sviluppi mostruosi apportatori di morte. Anche un carcinoma, a suo modo, “progredisce”, ma il suo aumento di estensione e di “potenza” non giova certo all’organismo: finisce col distruggerlo. Nel caso della ragione, il suo sviluppo senza regola ad altro non poteva condurre che a quello strapotere dei mezzi-senza-fine detto “tecnologia”, che nella sua crescita esponenziale, oltre a mortificare e condizionare l’Uomo, ha adibito i suoi marchingegni per spegnere in lui ogni ribellione. Ciò rende il compito di cui sopra si diceva ancor più arduo, non si dubita.
Per quanto ci consta, mai nella storia umana vi fu profeta o demiurgo che abbia voluto “redimere” un popolo ridotto nelle condizioni di fatiscenza mentale in cui versa l’uomo moderno.
Ma questa, per chi sia rimasto fedele alla divina natura che è in lui, non è una scusa per l’inerzia e la rinunzia, se pure ciò appaia ... ragionevole. Abbandonarsi al pessimismo passivo e cercare l’”evasione” pur che sia, non è che il risultato dell’”uso improprio” di cui sopra si diceva.
Tratto da www.rinascita.info
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