mercoledì 4 giugno 2008

Il nuovo Soccorso Rosso dei media.

Mai in questo frangente si percepisce un reale scollegamento tra la classe dirigente e il popolo in una legislatura segnata da una sì scarsa rappresentanza del paese in parlamento. Il bipartitismo ha trionfato e questo è un dato ormai acquisito ma appare chiaro come esso abbia determinato un’ulteriore accelerazione nella tendenza popolare alla disaffezione della politica, e non solo da quella di palazzo, ma ahinoi anche da quella mobilissima che dovrebbe occuparsi di regolare la convivenza civile.

Dopo 60 anni di presenza ininterrotta e massiccia la sinistra radicale, sinistra-sinistra o estrema sinistra che dir si voglia, e completamente sparita dagli scanni parlamentari, in Senato come alla Camera, ad aldilà delle valutazioni politiche ciò non contribuisce ad un coeso sentimento di appartenenza nazionale, alimentando, legittimamente, in milioni di persone, in sentimento di ingiustizia per l’esclusione della rappresentanza politico-parlamentare.

La Sinistra Arcobaleno presentandosi sotto le sembianze di un minestrone indigesto ha fallito miseramente.

Un’accozzaglia di partiti e partitini legati all’unica istanza che davvero condividevano: l’istinto di sopravvivenza. E invece anche i vecchi militanti, lo zoccolo duro, gli hanno voltato le spalle. Perché già dal simbolo i “multicolor” hanno dimostrato di non aver più un’identità definita, sospesi tra un passato carico di significato ed un futuro che non sanno decifrare. Sempre in bilico tra due vocazioni troppo spesso incompatibili: governare e contestare. In piazza contro il governo da loro fedelmente sostenuto. Ambigui da sempre fin dai tempi della Grande Guerra quando i socialisti, imbarazzati dalle posizioni dei compagni d’otrefrontiera, manifestarono la loro posizione nei riguardi del conflitto con il subdolo e vigliacco slogan “ Né aderire né sabotare”. Tuttora la sinistra collaborazionista critica, s’indigna ma accetta il ruolo cardine nella società post-capitalista di raccogliere gran parte delle istanze contestatrici per convogliarle all’interno di un sistema “pluralmente” legittimato. Anche sul nodo della globalizzazione assi si ergono a unici oppositori ma ipocritamente l’avallano. La globalizzazione infatti, in quanto a sovrastruttura economica del potere mondialista si basa essenzialmente su due principi vincolanti: il libero traffico di merci ed il libero traffico di esseri umani. L’obiettivo neanche tanto celato è di snaturare i popoli per uniformarne le caratteristiche e plasmarli al fine di renderli dei consumatori passivi delle stesse merci ad ogni latitudine. La grande mela, New York la cosmopolita, rappresenta il rpimo stadio di questo processo: la concentrazione di una moltitudine di popoli e di merci in un solo luogo. Chi lotta contro la globalizzazione gioco forza lotta per mantenere vive le differenze in ogni frangente, le peculiarità di ogni singolo popolo. Un concetto che i movimenti No global, ali movimentiste delle sinistre, purtroppo perfettamente funzionali al sistema, recepiscono solo in parte. Se il mundialismo infatte trae linfa vitale dal libero scambio planetario di merci e individui essi ne contestano solo l’aspetto mercantile appoggiando invece il disegno migrazionista di sradicamento dei popoli della rispettiva terra d’origine. Il mondo è di tutti, dicono, ma così facendo a breve la terra sarà proprietà privata di pochi oligarchi: finanza e multinazionali si spartiranno la torta a scapito di tutti i popoli.

La contaminazione, il melting pot, il meticciato sono le armi più raffinate perché falsamente intrise di di valori ecumenici ed egualitari che si rilevano in fondo solo degli strumenti egualizzanti per la creazione di un prototipo di individuo senza una reale identità perché risultato di troppi incroci. Un discorso che ancora viene tacciato di razzismo latente nei salotti buoni dei radical-chic che orientano l’opinione pubblica, mentre risulta unanimemente apprezzato lo sforzo di associazioni religiose e ONG con il beneplacito di Confindustria e sindacati per favorire una crescente ondata immigratoria al servizio del capitale.

I post-ex-vetero comunisti si sono trasformati in un terribile mostro che si nutre solo di vuoto antifascismo e pseudo diritti civili ( delle minoranze, perché per la maggioranza del popolo e dei lavoratori i diritti vanno decrescendo a colpi di leggi bipartisan…). Una sorta di radicali del terzo millennio, ancora più temibili e nocivi perché ammantati di discorsi sociali accattivanti ma costantemente disattesi. Non fa scalpore il tentativo del “sempreverde” Pannella di fare fronte comune alla sinistra del Pd coi vecchi compagni. Dopotutto le battaglie per aborto e divorzio hanno portato a grandi successi…

La stagione del dialogo inaugurata da un Berlusconi veltronizzato però sta tagliando fuori i residuati bellici social-comunisti ed ecco che monta in soccorso una martellante propaganda mediatica volta a innescare un clima di paura e di incertezza in cui le masse sempre meno implicate e quindi facilmente orientabili fungono da cassa di risonanza: prima Verona, poi il Vigneto e infine La Sapienza.

I sinistri, maestri sobillatori del ’68, in combutta coi franchi-tiratori del giornalismo italiota stanno portando un’offensiva volta a ridestare il vecchio cavallo di battaglia antifascista agitando i soliti spauracchi: “naziskin” (sic), squadracce, picchiatori e quant’altro, ogni giorno il bollettino è inquietante. Persino un divo (!) della TV come l’albanese Kledi è passato sotto le forche caudine di quest’ondata di xenofoba e, di conseguenza “nazifascista”, dato che i due termini sono sinonimi nell’immaginario collettivo. La destra para i colpi come può tra un pellegrinaggio al Ghetto e varie dichiarazioni di “indignazione, sdegno e condanna”. Intolleranza è una delle parole più gettonate, strumentalmente accostata alla politica pur se in tutti questi episodi è la matrice nella sola vicenda all’Università di Roma. In quest’occasione però bisogna considerare come l’elemento scatenante sia stato la revoca del rettore al convegno organizzato da Forza Nuova sulle foibe. “Nessuno spazio ai fascisti” ragliano i Collettivi e in alcune facoltà le lancette degli anni ’70 non si sono mai spostate: la maggioranza sinistrorsa prevarica, i rettori supini assecondano, i fasci si ribellano e lo scontro è servito. Il dialogo, il confronto restano in alcuni ambienti, a destra come a sinistra, sintomi di debolezza, tranelli che legittimano il nemico. Meglio tappargli la bocca e sguinzagliare le rispettive sirene medianiche.

Al Vigneto invece va in scena la farsa, una bufala giornalistica che fa venire il voltastomaco: una criticabile giustizia sommaria in seguito ad un furto diventa un’aggressione xenofoba per merito della decisiva testimonianza di una coraggiosa giornalista dell’AGI testimone dell’accaduto, tale Simona Zppulla, la quale, intervistata da “La Repubblica” descriveva il capo (o Kapò?) dell’azione che “aveva il volto semicoperto da una sorta di foulard con una svastica dipinta sopra”. Si può facilmetne dedurre che il vezzo artistico legato alla pittura sia dovuto al culto per il fu pittore (o imbianchino per i denigratori…) austriaco fondatore del Terzo Reich… I più ingenui, la stragrande maggioranza della popolazione al di fuori del Vigneto, avranno creduto senza remore l’utilizzo di questo accessorio, impreziosito da simbologie indo-arie, per non correre il rischio di passare inosservato. Eppure il colpevole si confessa con il “Che” tatuato sul braccio e tanta rabbia per le infami strumentalizzazioni. “La politica non c’entra un cazzo” afferma il reo confesso che si chiede “io davvero non riesco a capire come si sono inventati la storia della svastica. Ma quale svastica?”. Una domanda a cui solo la nostra temeraria Zappulla potrà risponderci. “I giornali scrivono un mucchio di cazzate” continua il giustiziere, e come dargli torto? Il vero problema è che coloro che lavorano nel mondo dell’informazione hanno una responsabilità enorme e soffiare sul braciere in questo momento può essere strategicamente proficuo secondo alcune meschine logiche di fazione ma con il rischio di innescare caccia alle streghe e spirali di violenza cieca.

D’altronde in queste situazioni la magistratura non perde l’occasione per ribadire la propria vocazione di contropotere autonomo ma sempre rispettoso dei poteri forti. A pagare il prezzo più alto in un clima avvelenato saranno sempre i più deboli, coloro che non hanno le coperture o i mezzi per opporsi a delle vere e proprie campagne di criminalizzazione volte a scatenare i bassi istinti dell’opinione pubblica ed a giustificare abusi d’ogni sorta. Come non pensare a quei ragazzi accusati di terrorismo (!) per i fatti accaduti dopo la morte di Gabriele Sandri, che da oltre tre mesi sono rinchiusi nelle patrie galere, in attesa di giudizio quindi, secondo il diritto ancora vigente, in presunzione di innocenza. Una custodia tutelare inopinata che conferma il sospetto che essa costituisca una punizione preventiva oltre che un monito per coloro che da mesi chiedono giustizia per Gabbo. L’agente Spaccarotella può dormire sonni tranquilli, le sirene medianiche e la giustizia ad orologeria lavorano alacremente per darci in pasto i nuovi mostri da sbattere in prima pagine.

La sinistra ormai extraparlamentare sta cavalcando la tigre cercando nella piazza forcaiola ed ammaestrata la rivincita della sconfitta elettorale per riproporsi per l’ennesima volta come unica alternativa al sistema in cui hanno sempre gozzovigliato. Bisogna smascherarli.




Di Luca Desideri, da www.rinascita.info

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