(ASI) Oggi, nonostante i media mainstream ne parlino poco, l’incubo dei treni ad alta velocità in Val di Susa è tornato. Fabio Polese, per Agenzia Stampa Italia, ha incontrato Marco Cedolin, autore di “T.A.V. in Val di Susa – Un buio tunnel nella democrazia”, edito da Arianna Editrice, per capire cosa sta accadendo in queste ore.
Nel suo recente articolo intitolato “T.A.V. in Val di Susa, l’incubo ritorna, più nero che mai” ha descritto la situazione attuale così: “L’incubo ritorna, ritornano i presidi, le notti con il cellulare sotto il cuscino e gli scarponi davanti al letto, ritorneranno probabilmente la militarizzazione, i check point, le cariche con i manganelli contro la gente disarmata, le intimidazioni, poiché l’inizio dei lavori è stato annunciato a giorni e “l’assalto all’arma bianca” sembra davvero più questione di ore piuttosto che di settimane”. Ci spiega cosa sta succedendo?
Sta accadendo semplicemente che lo scellerato progetto consistente nella costruzione di una nuova infrastruttura per i treni ad alta velocità/capacità in Valle di Susa, dopo essere stato cacciato “fuori dalla porta” nell’autunno 2005 da una vera e propria rivolta popolare, stia tentando di rientrare dalla finestra per opera di una consorteria composta dai mestieranti della politica e da alcune lobby “prenditoriali” nostrane. Durante i quasi sei anni che sono intercorsi dal fallimento, la consorteria ha riordinato le proprie fila, costruito mediazioni politiche, “venduto” anche a livello europeo una lunga sequela di dati e stime sui flussi di traffico palesemente false e rielaborato un nuovo progetto, più costoso ed impattante di quanto non lo fosse quello precedente. Ed ora si appresta ad imporlo con l’uso della forza ai cittadini e alle amministrazioni locali che avversano radicalmente un’opera che comporterebbe oltre 20 anni di cantieri, la profonda devastazione di una valle alpina già martoriata in profondità da un carico infrastrutturale fuori dal comune, rischi enormi per la salute dei cittadini residenti ed un profondo salasso di alcune decine di miliardi di euro per tutti i contribuenti italiani. Un’opera che oltretutto anche in prospettiva si manifesta assolutamente priva di utilità, non rispondendo ad alcuna necessità del paese e non possedendo le prerogative per conseguire un qualche ritorno economico.
Dunque gli spettri del 2005 stanno tornando e, da quanto ho appreso, in questi giorni ci sono state delle contestazioni. E’ vero?
Verissimo, dal 2005 in poi le contestazioni in Val di Susa non si sono mai spente, prima hanno riguardato le false mediazioni, ordite negli oscuri bugigattoli del potere, con le forze dell’ordine ad impedire l’audizione non solo ai cittadini interessati ma perfino ai giornalisti. Poi la meschina farsa delle trivelle, durante l’inverno 2010, ufficialmente deputate ad effettuare improbabili studi geognostici, nonostante venissero regolarmente piazzate sotto ai viadotti dell’autostrada (dove la costituzione dei terreni è ben nota in profondità) o nelle discariche, dove non esisteva nulla da sondare. Due giorni fa il tentativo d’installare, in località Maddalena di Chiomonte, un cantiere propedeutico alla scavo di un tunnel della lunghezza di 7 km, venduto come galleria geognostica, ma in realtà deputato a costituire la discenderia italiana dell’opera.
Quando parla di “manganelli contro gente disarmata”, cosa intende? Ha assistito a mattanze non degne di un paese “democratico” come il nostro?
Da quando seguo personalmente la questione, i manganelli contro la popolazione disarmata, in Val di Susa sono stati usati molto frequentemente. Le vere e proprie mattanze, indegne di un paese democratico quale il nostro dovrebbe essere, sono però avvenute specificamente in due occasioni. La prima durante la notte fra il 5 ed il 6 dicembre 2005, quando una cinquantina di presidianti a Venaus vennero assaliti con furia belluina e massacrati nel sonno da un nutrito gruppo di forze dell’ordine che li bastonò mentre ancora dormivano nelle tende e rase al suolo il presidio con l’ausilio di una ruspa, dopo avere gettato letteralmente fuori dalle finestre i cittadini che lo occupavano. I barellieri furono costretti a trasportare a mano una trentina di feriti fino alle ambulanze, perché le forze dell’ordine impedirono risolutamente l’accesso anche ai mezzi di soccorso. La seconda nel tardo pomeriggio del 17 febbraio 2010, quando indispettite dal lancio di alcune palle di neve, le forze dell’ordine a guardia di una trivella pensarono bene di caricare i manifestanti, infierendo poi in gruppo su alcuni di loro che nella fuga erano caduti a terra. Una signora di 45 anni venne operata in ospedale per la rottura del setto nasale ed un profondo trauma facciale, mentre un giovane rischiò seriamente la vita, passando l’intera notte in rianimazione per un’emorragia cerebrale causata dai colpi inferti mentre giaceva a terra.
Cosa comporterebbe la costruzione della tratta ad alta velocità Torino – Lione per gli abitanti della Val di Susa?
Sostanzialmente una ventina di anni di cantieri nella migliore delle ipotesi. La devastazione degli equilibri idrogeologici del territorio (come già accaduto nel Mugello) con essiccazione delle sorgenti, paesi senza acqua, aumento del rischio alluvionale nel fondovalle, inquinamento dei corsi d’acqua. La dispersione nell’aria di ingenti quantità di fibre d’amianto, presenti in abbondanza nelle montagne oggetto degli scavi, e nei terreni di materiale radioattivo, dal momento che il massiccio dell’Ambin, sotto al quale dovrebbe correre il tunnel di base lungo 54 km, contiene numerose vene di uranio, monitorate perfino dall’Agip, quando ancora l’Italia non aveva rigettato il nucleare. La compromissione di un grande numero di abitazioni che si trovano in prossimità del tracciato o che verranno comunque danneggiate dalle vibrazioni conseguenti agli scavi, parte dei quali verranno effettuati con l’uso degli esplosivi. Polvere, traffico e rumore, conseguente al transito continuativo di centinaia di camion giornalieri contenenti il materiale di risulta. Crollo del mercato immobiliare e compromissione di una cospicua parte delle attività agricole ancora in vita. Solo per citare quelle più eclatanti. Ritengo sia però importante sottolineare che la lotta contro il TAV in Val di Susa non è una battaglia localistica per difendere il proprio giardino. Al contrario, i valsusini che passano le notti all’addiaccio stanno combattendo per l’interesse di tutti gli italiani, chiamati a finanziare un’opera dagli impatti economici devastanti e assolutamente priva di senso, contrariamente a quanto i media mainstream cercano di far credere.
E per la natura?
La natura sarà sottoposta a tutte le devastazioni citate in precedenza, cui andranno aggiunti danni irreparabili per alcune specie animali e profonde compromissioni per un territorio montano dagli equilibri notoriamente assai delicati e già profondamente provato dalla devastazione conseguente alla costruzione dell’autostrada negli anni 90.
Come si sono organizzate in questi tempi i movimenti anti-T.A.V.?
Come sempre, il movimento NO TAV è uno solo e si tratta di un movimento popolare a partecipazione spontanea, senza gerarchie e sudditanze partitiche. Al suo interno confluiscono decine di Comitati che rappresentano i singoli paesi. Le decisioni vengono prese democraticamente, attraverso periodiche riunioni di coordinamento alle quali partecipano gli aderenti ai singoli comitati e poi approvate o bocciate nel corso di un’assemblea popolare partecipata da tutti i cittadini. Non ci sono capi o comandanti, anche se può sempre accadere che la parola ed il carisma di qualcuno abbiano una valenza maggiore rispetto a quelli di qualcun altro, in fondo anche in Val di Susa siamo umani, con tutti i vizi e le virtù che questo comporta.
Crede che le forze costituite dal popolo bastino per fermare il T.A.V. in Val di Susa?
Il popolo, come ho avuto modo di scrivere molte volte, qualora unito è in possesso di una enorme forza, anche se quasi sempre ne è totalmente inconsapevole. Alcune migliaia di persone, tanto pacifiche quanto risolute, che si piazzino davanti alle ruspe e ci rimangano, sono in grado di bloccare la cantierizzazione di qualunque opera. Il problema consiste nel veicolare l’informazione, affinché i cittadini prendano coscienza della reale natura delle questioni e creare un’unità d’intenti che prescinda dai distinguo ideologici su cui è basata la tecnica del dividi et impera. Detto ciò fermare il TAV in Val di Susa non sarà facile, perché i grandi poteri che transitano dai partiti, per arrivare fino ai covi del malaffare, useranno tutti i mezzi a propria disposizione per soffocare la protesta. Dalla forza bruta alla magistratura, passando attraverso lo screditamento e la demonizzazione dei contestatori e le minacce personali. Non sarà facile ma è ampiamente alla nostra portata, come gli accadimenti del 2005 stanno a dimostrare.
Cosa prevede per il futuro?
Si prospetta senza dubbio un periodo di forti tensioni. Dopo essere stato respinto una prima volta la scorsa notte il tentativo di cantierizzazione verrà ripetuto probabilmente all’inizio della prossima settimana, per evitare interferenze con i ballottaggi, e si tratterà di un assalto molto violento, in linea con la richiesta di uso della forza, ripetuta in questi giorni da molti uomini politici di spicco. Se l’assalto verrà respinto, le autorità si vedranno costrette a prendere atto, come già avvenne nel 2005, del fatto che è impossibile cantierizzare una grande opera di queste dimensioni, in un territorio che la rifiuta radicalmente. Se con l’ausilio dei manganelli, a fronte di un “massacro” collettivo riusciranno ad installare un cantiere simbolico, valido per ottenere i finanziamenti delle UE, si prospetta una lunga battaglia di trincea, destinata a durare parecchi anni. Guardando al futuro, non vedo alternative a queste due eventualità, ovviamente in tutte le infinite variabili e sfumature che potranno esistere.
Intervista a cura di Fabio Polese,
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