venerdì 16 aprile 2010

Il modello ”afghano” per gestire i conflitti.


Apparentemente respinti dalle urne e scomparsi dal panorama politico nazionale, i “fascisti” e i “comunisti” sembrano invece occupare prestigiose posizioni di potere all’interno delle istituzioni democratiche: si tratta dei “giudici comunisti”, contro cui si scaglia periodicamente il primo ministro, e dei “poliziotti fascisti”, contro cui inveisce la piazza di sinistra.
A Perugia due pattuglie della polizia sarebbero state circondate, la notte di un sabato sera, dagli astanti in una piazza gremita del centro storico: ne sono volati insulti, qualche bottiglia e due adesivi appiccicati sul cofano delle auto. Quest’ultimo particolare appiccicoso sembra avere conferito un tratto “politico” ad una vicenda spiegabile in ben altro modo, e riconducibile ad un purtroppo generalizzato senso di scollamento - è proprio il caso di dirlo - profondo tra la popolazione e le istituzioni nel proprio complesso.
Prendendo per buona la versione poliziesca circa gli adesivi con la falce e martello azzeccati sulle auto di servizio, verrebbe da chiedere se gli organi inquirenti pensano davvero che si sia trattato di una macchinazione sovversiva orchestrata dai “comunisti” o piuttosto non si tratti dell’ennesimo segnale inquietante che testimonia di un focolaio di conflittualità sotto traccia che investe strati sociali della popolazione, giovanili ma non solo, e di settori istituzionali.
Fatto sta che moltiplicando gli interventi indiscriminatamente repressivi, orientati quasi esclusivamente contro quella parte della cittadinanza che la sera intende usufruire del centro storico della propria città - invece che disporsi alla visione del “Grande Fratello” - si consegnerà presto la città nelle mani degli spacciatori per svenderla poi ai centri commerciali che già fanno ressa per sostituire i negozi e i locali storici del centro.
Ecco allora prendere forma tangibile, anche a Perugia, il progetto ampliamente collaudato a livello nazionale di centro storico infertile, deprivato della sua funzione essenziale di Oikos, cuore vivente della città e prodigo diffusore della sua indispensabile vitalità: al suo posto la Polis delle banche e degli uffici anonimi, di giorno squallido passeggio di legulei e portaborse - però “vivibile” e commercialmente redditizio - di sera invece terra di nessuno e luogo di scontro tra bande di barbari che si contendono metro a metro le strade dello spaccio per rifornire turbe di disperati allo sbando.
Sembra dunque che una “pista” pseudo-politica debba, secondo una tipica logica perversa, prevalere, per dare il solito contentino ai benpensanti perugini e al Sap, il sindacato autonomo di polizia: nel corso di un rastrellamento compiuto dalle forze dell’ordine in centro la notte scorsa con decine di persone identificate in pieno centro (trattasi prevalentemente di studenti italiani), tre ragazzi sono stati arrestati da una pattuglia in borghese e tuttora detenuti.
Le versioni fornite dagli arrestati e dai poliziotti divergono e il filmato dell’arresto, ripreso concitatamente con un telefonino da uno dei presenti, è stato sequestrato da un agente.
Il fatto che i primi avessero dei trascorsi politici è stato giudicato però sufficiente, in una prima battuta, per fare scattare le manette ai polsi dei tre, mentre tutt’intorno, e fino a notte inoltrata, continuavano a svolgersi, come di consueto indisturbati, tutti quei traffici davvero ormai intollerabili che gli abitanti del centro storico di Perugia ben conoscono e che misteriosamente si protraggono da anni senza destare un eguale zelo nei tutori dell’ordine.
Nel clima velenoso e fatto di reciproche accuse e rancori (dal G8 al caso Sandri), le forze dell’ordine appaiono ultimamente come il bersaglio privilegiato dello sfogo anti-istituzionale e anarcoide di frange giovanili ormai private, dalla logica stessa del capitalismo compiuto, di ogni riferimento simbolico-politico (le ideologie politiche per esempio, ma anche forme forti di riconoscimento comunitario).
Dietro questi sfoghi ebbri e impotenti non ci sono, in linea di massima, alcun tipo di rivendicazioni politiche.
Dietro la generica ostilità provata da taluni contro le forze dell‘ordine non vi sono, dunque, i “comunisti”, come patetico risulta chi vorrebbe fare credere che “comunisti” siano i giudici. Allo stesso modo è altrettanto ridicolo e falso affermare che i poliziotti siano dal canto loro “fascisti”, come continua a ripetere la giaculatoria tronfia e completamente autolesionista delle sinistre: in Italia si continua ad attribuire l’epiteto di “fascista” o di “comunista” allo scopo di squalificare il proprio avversario, senza bisogno di mostrare argomenti razionali e facendo leva su riflessi meccanici e campanilismi ideologici.
Quasi sempre però si evita accuratamente di accusare qualcuno di essere, per esempio, un “progressista” o un “liberista”: un assertore, cioè, di quelle ideologie fondate sull’espansione illimitata dei bisogni, sul libero mercato e sulla massimizzazione del profitto che non solo non hanno garantito la felicità che promettevano, ma che hanno spinto il mondo sull’orlo del baratro di una crisi morale ed economica senza precedenti, di uno stato di guerra permanente e di insicurezza senza uscita - che stanno solo a denunciarne i tratti di feroce mistificazione ideologica contro cui, curiosamente, sembrano non generarsi né moti di piazza né moniti istituzionali.
Nel 2010, nell’epoca del controllo globale orwelliano instaurato dal NWO, da Guantanamo e dai microchip sottocutanei consentiti dalla riforma sanitaria di Obama, le farse inscenate contro nemici inesistenti o fantasmi del passato continua a rimanere l’attività principe di una piccola nazione provinciale, perennemente attraversata dalle tensioni reali dei propri centri di potere e dilaniata dall’odio inestinguibile della mentalità faziosa arroccata dietro bandierine, stickers, e battaglie immaginarie.

Di Mario Cecere,
www.rinascita.info


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