Supponiamo di trovarci a passeggiare per una qualsiasi strada di una qualsiasi città italiana il prossimo 15 maggio (la data non è certo casuale). Supponiamo di vivere una di quelle giornate storte, di quelle caratterizzate magari da un evento sfavorevole - o da un triste ricordo - che possano inficiare la nostra serenità. Supponiamo, dunque, di dover convivere con un broncio che ci accigli il viso in modo piuttosto evidente da lasciar trasparire il nostro stato d’animo agli altri. Supponiamo, infine, di poter esercitare questo basilare, banalissimo ed innocuo diritto ad esprimere le nostre emozioni solo a costo di incappare in spiacevoli inconvenienti. Quale tipo di inconvenienti? Un fermo delle forze di polizia ed una salata multa (o, peggio, il carcere). Inconvenienti non accidentali ma pianificati dallo Stato per evitare che la malinconia possa disegnare sul nostro volto un broncio evidentemente scomodo. Perché scomodo? Perché rappresenta il simbolo di una pagina di storia che è interesse comune di chi governa stralciare. Una pagina su cui si fonda il “diritto” storico dello Stato ad esistere, macchiata dal sangue di centinaia di migliaia di innocenti usurpati della propria terra con metodi efferati: prima occupati, poi scacciati violentemente, uccisi o, nella migliore delle ipotesi, ridotti in stato di profughi e relegati in fatiscenti campi privi d’ogni servizio. Supposizioni paradossali se a pensarle è un Italiano, disabituato a veder così concretamente calpestata la propria dignità individuale, ma piuttosto educato a riservare la massima cura a quei temi della memoria storica che siamo frequentemente sollecitati ad osservare con laica religiosità da scuola e media di massa. Eppure, quelle che abbiamo descritto come supposizioni, sono l’ennesima, cruda realtà con la quale dovranno confrontarsi i Palestinesi che vivono nei territori occupati dall’esercito israeliano. Sì, perché una nuova legge in Israele rende crimine la commemorazione di ciò che i Palestinesi chiamano “Nakba”, la catastrofe del loro sradicamento e pulizia etnica dalla Palestina, con la creazione dello Stato sionista nel 1948 e le conseguenti sofferenze patite dai Palestinesi sino ad oggi, accresciute dalla ferma volontà sionista - drammatica e pericolosa cronaca d’attualità - di incrementare gli insediamenti dei coloni ebrei. Il parlamento israeliano (proprio quella Knesset tanto incensata dai nostri politici quale unico propulsore democratico del Medio Oriente) ha ratificato alla prima lettura la cosiddetta “legge Nakba”. Essa consiste nel punire, anche fino a tre anni di carcere, chiunque in quella data mostri segni di lutto. Quale scopo si prefigge questa legge così inequivocabilmente liberticida adoperata dal democratico Israele? Presto detto! Essa si prefigge di impedire che atti commemorativi possano “negare il carattere ebraico di Israele”. Ovviamente nessun organo di stampa occidentale darà risalto a questo provvedimento, sebbene esso dimostri in modo lampante come la discriminazione razziale istituzionalizzata sia un argomento d’attualità, almeno in Israele; nell’unica democrazia mediorientale. In compenso, con cadenza forse quotidiana ci viene recitata da stampa e TV la ramanzina sull’importanza della memoria finalizzata a non commettere gli errori del passato. Con la stessa frequenza assistiamo inoltre ad accorati dibattiti in cui dotti rappresentanti della società civile, delle istituzioni e di associazioni di stampo moralista o ideologizzate si interrogano preoccupati circa le pericolose derive razzistiche in cui staremmo noi tutti precipitando, e propongono misure per arginare il fenomeno. Eppure, tutti costoro tacciono o quasi circa “il carattere ebraico di Israele”, la condizione etnicamente discriminatoria su cui si fonda il sionismo. E tacciono, conseguentemente, su ogni tipo di misura presa dagli stessi sionisti nei confronti dei non ebrei che si trovano a vivere nei territori occupati da Israele; compresa questa assurda legge. E’ evidente, a questo punto, che la memoria che veniamo chiamati ad osservare è una lurida ipocrisia, una mera propaganda politica svuotata d’ogni significato profondo. In occidente vengono istituzionalizzate le giornate della memoria che si propongono di ricordare la disumanità dei regimi totalitari, al fine di legittimare l’attuale status quo e di frugare ogni possibile dubbio sulla bontà dei regimi liberali. Giustificando, soprattutto, l’arroganza sionista con le vicissitudini subite dagli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Non verranno mai istituite giornate dedicate altresì al ricordo delle sofferenze patite da tantissime popolazioni che hanno conosciuto sulla propria pelle la reale identità guerrafondaia di questi presunti dispensatori del concetto di bene universale e non ci sarà mai una corretta informazione su quanto attualmente continuano a commettere costoro. Israele e Nato in primis. Noi rifuggiamo l’ipocrisia, caratteristica tipica della democrazia, e queste sue sgradevoli manifestazioni, tentando invece di perseguire, nel nostro piccolo, un onesto percorso informativo, basato su fatti oggettivi e scevro da connotati retorici. In conclusione, sarà quindi poco conveniente per un Palestinese in quella data circolare per le strade presidiate dalle forze sioniste, onde non rischiare di finire dietro le sbarre con la ridicola accusa, potenzialmente arbitraria, di essersi mostrato triste. Eppure i Palestinesi vivranno quest’ennesimo abuso con l’impavida attitudine che li contraddistingue e che li cristallizza nel nostro immaginario coi volti coperti da una kefiah, pronti a sfidare i supertecnologici carri armati israeliani coi più rudimentali mezzi, i soli che la arida e amata terra di Palestina può offrire ai suoi figli: i sassi.
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