Gaza - Da www.infopal.it Le condizioni dei prigionieri palestinesi detenuti all’interno delle carceri degli occupanti israeliani peggiorano di giorno in giorno. L’amministrazione carceraria sionista continua ad oltraggiare i loro diritti. In contravvenzione alla legislazione internazionale sui diritti umani, i prigionieri palestinesi vengono sottoposti a misure repressive e a persecuzioni. Parallelemente, anche i familiari dei detenuti palestinesi subiscono varie pressioni psicologiche e fisiche. Le difficili condizioni di detenzione, infine, rendono arduo poter condurre una vita normale una volta fuori dalla prigione.
Essere malati: la peggiore delle torture
Oggi, i prigionieri palestinesi malati sono 1.600: 16 sono malati di cancro, 23 sono ricoverati ad oltranza nell’ospedale del carcere di al-Ramla, 187 sono malati cronici, 800 hanno malattie incurabili o sono invalidi e, all’interno delle carceri, possono muoversi unicamente con l’ausilio sedie a rotelle o stampelle. Nonostante il loro gravissimo stato, l’amministrazione carceraria sionista non li considera e non fornisce loro le necessarie cure mediche o altri servizi sanitari. Le autorità carcerarie sioniste considerano prigionieri e detenuti palestinesi sofferenti o disabili al pari del resto dei detenuti e, come fanno con questi ultimi, li sottopongono alle medesime misure aggressive e negano loro qualunque diritto umanitario o medico - di base.
In una comunicazione giunta all’Organizzazione dei Prigionieri Wa’ed e proveniente dalle prigioni sioniste, i prigionieri palestinesi hanno raccontato di come il loro stato di detenzione stia peggiorando, con particolare riferimento ai malati. Vi viene esposto il caso del detenuto palestinese Mohammed Mustafa ‘Abd Al-‘Aziz, 32 anni, rimasto completamente paralizzato dopo tre interventi subiti alla schiena. Ogni giorno di detenzione in più per Mohammed comporta un aggravamento progressivo delle sue condizioni di salute.
Pur avendo scontato ad oggi un terzo della pena (Mohammed si trova in detenzione da 10 anni e sconta una condanna a 12 anni), l’amministrazione carceraria israeliana si rifiuta di rilasciarlo. Il suo caso è grave ed urgente; non riesce a muoversi e, poiché le autorità carcerarie non provvedono nessuna assistenza, Mohammed non riesce nemmeno a lavarsi.
Non gli è stato riconosciuto il diritto a vivere nemmeno quando il medico del carcere ha confermato la sua condizione. Mohammed fu arrestato il 2/7/2000 presso il checkpoint di Eretz mentre si recava in Cisgiordania per curarsi un piede.
Il prigioniero palestinese Akram Al-Rikhawi rischia la vita ogni giorno. Prima del suo arresto era ricoverato in Egitto e, ogni sei mesi, doveva sottoporsi ad un trattamento medico che consisteva in un’iniezione. Dopo un iniziale rifiuto, solo in un secondo periodo le autorità carcerarie hanno permesso ai familiari di fornigli la vitale iniezione. Questo almeno fino a quando riuscivano a visitarlo; ma con il divieto imposto attualmente sulle visite, Akram rischia di morire.
Tra i casi sanitari più gravi ricordiamo: Ra’ed Mohammed Dar Bihi, di Gaza, ha un grave tumore alla schiena ed ha subito numerosi interventi; ‘Emad Id-Din ‘Ata Zo’ran, di Khan Younis, per il quale la Corte ha disposto l’ergastolo. ‘Emad ha un tumore alle ghiandole, diffuso in tutto l’organismo e, ad oggi, ha scontato 16 anni di prigione.
Le patologie dei prigionieri palestinesi malati
Ulcera, patologie che interessano la spina dorsale, malattie ai denti, alla pelle, disfunzioni cardiache, polmonari ed articolari, abbassamento della vista (o ipovisione), diabete, emorragie, alcuni rischiano paralisi e ictus (malattie vascolari), malattie virali (infezioni), cancri a vari organi e malattie psichiche e psicologiche conseguenti a tortura.
L’isolamento e i “bunker”
Nella comunicazione scritta, i prigionieri hanno ricordato l’estrema condizione degli isolamenti. Senza alcuna ventilazione, le celle destinate agli isolamenti sono simili a bunker sulle cui porte vi è una minuscola fessura che tuttavia resta sempre chiusa.
Le celle sono separate, i prigionieri non possono comunicare tra loro, come non riescono a rivolgersi alle guardie carcerarie. Qualunque tentativo di comunicazione è proibito contro il pagamento di una multa. Le celle d’isolamento sono simili a “tombe” come riportano i prigionieri, e si registra una crescente aggressività da parte delle autorità carcerarie contro i detenuti isolati.
Diciotto detenuti in isolamento
Tra essi, il leader Ahmed Sa’daat, Yahya Sanawar, sofferente, Thabet Mardawi, Hassan Salama, Ahmed Al-Maghrabi, ‘Abdallah Al-Barghouthi, Mohammed Gamal Abu Al-Hija, Mahmoud Al-‘Eisa, Saleh Dar Mousa, Hisham Al-Sharbati, Mahawash Na’maat, ‘Atwa Al-‘Umur, Eyad Abu Al-Husna, Muhannad Shreim, ‘Ahed Ghalma. Tra questi nomi, ricordiamo pure in isolamento la prigioniera Wafa’ Al-Bas della Striscia di Gaza.
Taglio dell’acqua: punizione collettiva contro i prigionieri palestinesi
Tra le misure repressive adottate dalle autorità carcerarie israeliane vi è il taglio dell’acqua ai prigionieri. Il pretesto avanzato questa volta è la scarsità di rifornimenti idrici conseguente anche al continuo scorrere dei rubinetti, spesso tutta la notte, da parte dei prigionieri. Simili accuse, sono state sollevate da un membro della Knesset, militante del partito Likud, Danny Danon, che avrebbe suggerito di inasprire il trattamento verso i prigionieri palestinesi contro un miglioramento delle condizioni dei detenuti ebrei.
Le sofferenze dei prigionieri palestinesi conseguenti alla scarsità di acqua riguardano in particolare le prigioni del Negev e di Megiddo (site nel deserto), dove l’amministrazione carceraria ha eseguito dei lavori alle condutture idriche che interessano i bagni.
Il rifornimento d'acqua viene strumentalizzato e può diventare anche un metodo di tortura contro i prigionieri palestinesi; d’inverno viene ridotta l’acqua calda e spesso non viene erogata per intere giornate. Per converso, d’estate si riduce l’acqua fredda o, nelle prigioni site nel deserto, viene erogata acqua calda! Tra le altre cose, si è riportata l’erogazione di acqua contaminata e/o sporca e la mancata distribuzione degli aiuti destinati ai prigionieri palestinesi e provenienti dagli Stati Uniti.
I bambini palestinesi detenuti e la tortura
Le autorità d’occupazione israeliane violano i diritti sull’infanzia così come stabiliti da numerose leggi e convenzioni internazionali: primo fra tutti il diritto a godere della propria libertà a prescindere dalla religione, dalla nazionalità e dal genere.
Tra questi diritti, inoltre: quello a non essere arrestati (privati della libertà), a conoscere il capo d'imputazione (nel caso avvenga l’arresto), il diritto ad essere assistiti e a comunicare alla famiglia il luogo in cui è detenuto il proprio bambino, il diritto ad incontrare un giudice, ad avere una difesa, ad avere contatto con l’esterno e ad un trattamento umano e dignitoso.
I bambini palestinesi, invece, vengono arrestati ad ogni checkpoint israeliano, vengono rapiti nelle proprie abitazioni, interrogati e sottoposti ad umiliazioni e ad aggressioni verbali e non solo. Alle loro famiglie non viene comunicata alcuna informazione relativa all’arresto (come dovrebbe essere, per legge, il luogo in cui il proprio bambino viene portato).
Statistiche sui bambini palestinesi
Le fonti sui prigionieri palestinesi mostrano che dall’inizio dell’Intifada di al-Aqsa i bambini arrestati dalle forze d’occupazione israeliane sono stati 3.500, tra cui 7 bambine.
Contro i bambini palestinesi detenuti, Israele mette in atto violazioni alle leggi internazionali.
Essi sono distribuiti come segue: 104 si trovano nella prigionie di Telmond, 80 ad Ofer, 38 nel Negev e 54 a Megiddo.
Il resto è distribuito tra i vari centri d'investigazione e detenzione israeliani. Nel 2005 ne sono arrestati 97.
450 hanno compiuto i 18 anni in stato di detenzione, ed essi sono ancora all’interno delle prigioni israeliane: quest’ultimo dato riguarda il 99% dei bambini palestinesi arrestati.
Violazioni della legge
Il governo di Israele esegue una politica di discriminazione contro i bambini palestinesi, i quali, in base all’Ordinanza militare n° 132, emessa da un comandante delle forze sioniste in Cisgiordania. L’Ordinanza definisce "fanciulli" i bambini al di sotto dei 16 anni, contro l’art. 1 della Convenzione sull’Infanzia che dispone invece un limite d’età di 18 anni: “Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un'età inferiore a diciott'anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile”.
Persecuzioni ed oppressione
34 prigionieri palestinesi vivono in condizioni di particolare oppressione da parte delle autorità carcerarie israeliane e sono vittime di terrore e violente persecuzioni.
L’organizzazione per i prigionieri Wa’ed riporta casi di particolare gravità: quello della prigioniera Amal Jama’a, la quale attualmente soffre di emorragie e non ha la possibiltà di essere visitata da un medico donna; una necessità che riguarderebbe tutte le detenute.
Altre prigioniere palestinesi hanno infezioni alle vie urinarie e non ricevono alcuna cura. Sana’ Shahada e Qahera Al-Sa’edi soffrono di sanguinamento alle gengive ed hanno seri problemi ai denti. Entrambe hanno richiesto, più volte, un dentista senza alcuna risposta.
A causa delle ripercussioni psicologiche, le prigioniere accusano insonnia e le autorità carcerarie israeliane, da un lato le imbottiscono di pericolosi sonniferi, dall’altro lato proibiscono qualunque controllo medico. Ciò rappresenta un’altra violazione ed è l’ennesimo insulto alle loro vite.
La detenuta Raja’ Al-Ghol soffre di cuore e, per la terza volta, la detenzione amministrativa in cui si trova è stata prorogata. Un’altra prigioniera ha una malattia alla tiroide che le sta causando la perdita dei capelli e forti dolori alla schiena per via delle numerose ore in cui è costretta a letto.
Visite in manette
Le visite a detenute e prigioniere palestinesi vengono vietate anche con il pretesto della mancanza di un rapporto familiare; questo criterio però è stato adottato anche in casi in cui la richiesta di visita perveniva da madri e padri delle detenute.
Vediamo il caso della detenuta Ahlam Mahroum: le stata vietata la visita dei genitori che si trovano in Giordania (Ahlam è della Cisgiordania), e per l’intero periodo di detenzione ha potuto ricevere solo una visita, dopodiché il permesso in questione è stato sequestrato presso uno dei checkpoint di Ramallah.
Qualora le visite vengano permesse, detenute e prigioniere palestinesi vengono ammanettate alle mani e ai piedi (sopratutto le ergastolane!), e questa misura provoca danni e sofferenze psicologiche alle detenute come ai relativi familiari.
Un viaggio crudele
Le prigioniere hanno raccontato quanto avviene prima di essere condotte in tribunale. Vengono perquisite, denudate ed umiliate, fatte salire su un autobus, ammanettate e bendate.
Il bus, “la posta”, è vecchio e strettissimo e le trasporta dal carcere di Hasharon verso il tribunale di Salem o quello di Ofer per un tragitto che dura da tre a quattro giorni, quando la stessa distanza può essere ricoperta in mezz’ora.
I soldati israeliani tengono le detenute in questo bus, “la posta”, per lungo tempo, lasciandole all’oscuro di tutto. Vengono poi condotte in strettissime celle, senza possibilità di movimento, dove vi restano finché non sopraggiungono detenute da altre prigioni.
I Karen sono una delle principali etnie che compongono il mosaico birmano, dal 1949 lottano contro la giunta militare, retta da generali affaristi, corrotti e sanguinari, per ottenere l'indipendenza e preservare la loro identità e tradizione. Mentre il governo si arricchisce grazie ai suoi ottimi rapporti con le lobby economiche planetarie, grazie al narcotraffico e grazie al supporto militare di Israele, India e Cina, il popolo Karen prosegue nella sua difficile vita senza cedere un passo, opponendosi militarmente alla feroce repressione dell'esercito e lottando strenuamente contro il narcotraffico. La Comunità Solidarista Popoli, una associazione di aiuto umanitario che si propone di mettere in atto tutte le azioni necessarie per portare aiuto concreto a popolazioni o etnie che, in lotta per la salvaguardia delle loro radici, si trovino in situazioni di particolare disagio, aiuta il popolo Karen sin da 2001 mantenendo attive scuole e cliniche mediche per garantire assistenza didattica e sanitaria. La Comunità ha dato inizio ad un impegno che non può essere interrotto, perché della gente che lotta per sopravvivere - 12.500 persone per la precisione – ottiene fondamentali cure sanitarie soltanto grazie al loro intervento. Questo significa dover raccogliere ogni anno circa 40.000 euro per garantire il proseguimento dei progetti. L´Associazione Culturale Tyr Perugia, da sempre vicina ai popoli in difficoltà, invita a donare il vostro 5x1000 alla Comunità Solidarista Popoli, compilando il modulo per la dichiarazione dei redditi, indicate nel riquadro del Sostegno al Volontariato il numero di codice fiscale/partita IVA della Onlus: 03119750234. Ciò che può apparire a prima vista così lontano, è in realtà incarnazione di valori identitari e solidaristici che sono fondamentali. Se solo un piccolo riflesso dei valori di un Popolo come quello dei Karen dovesse essere prima o poi recepito nella società moderna sarebbe, di per se, un atto rivoluzionario. Per maggiori informazioni sull’attività della Comunità Solidarista Popoli, potete visitare il sito
Raimondo Vianello è morto. E con lui muore uno degli ultimi uomini che con la loro tempra e con la loro coerenza hanno testimoniato cosa rappresenti la Razza Italica a fronte di quella “sfuggente” di un mondo devastato dall’infamità, dalla corruzione, dal tradimento, dal rinnegamento indotti dall’omologazione mondialista. Di lui ricordiamo l’artista e la sua vis aristocratica, ma ancor prima ricordiamo il militante dell’Idea che si batté sulla trincea dell’Onore e che per questo pagò il suo pedaggio di Libertà nel campo di prigionia di Coltano dove in molti furono sequestrati dai “liberatori” americani.. Dal poeta dei Cantos Ezra Pound ai futuri volti del cinema Luciano Salce, Walter Chiari, Enrico Maria Salerno. Io lo conobbi insieme al fratello nell’Associazione Sportiva Fiamma e rimanemmo buoni amici. Nel 1987 fu, con Sandra Mondaini, tra i primi ad aderire al digiuno a staffetta organizzato per la mia liberazione. Rimarrà presente nei cuori di tutti gli uomini liberi.
Apparentemente respinti dalle urne e scomparsi dal panorama politico nazionale, i “fascisti” e i “comunisti” sembrano invece occupare prestigiose posizioni di potere all’interno delle istituzioni democratiche: si tratta dei “giudici comunisti”, contro cui si scaglia periodicamente il primo ministro, e dei “poliziotti fascisti”, contro cui inveisce la piazza di sinistra.
Qualcuno a Tel Aviv deve aver capito che questo è il momento giusto per dare una decisa accelerata al processo di colonizzazione di Gerusalemme e della Cisgiordania. La comunità internazionale infatti non sembra essere troppo interessa a quanto accade in Palestina, forse perché distratta dalla questione del nucleare iraniano tanto cara al presidente Usa Barak Obama. Quest’ultimo visti i rapporti tumultuosi che intercorrono ultimamente con il premier Netanyahu, invece, si limita a far finta di non vedere la morsa degli alleati israeliani che si stringe neanche troppo lentamente attorno al collo della popolazione palestinese.
Durante la commemorazione per il novantaquattresimo anniversario del 1916 a Dublino dell’Easter Rising (Rivolta di Pasqua) organizzata dal Repubblican Sinn Fein è partito un provocante attacco verso la Real IRA che è stata etichettata come traditrice. Emmet White nel discorso principale della commemorazione ha dichiarato: “Abbiamo molti gruppi che si definiscono Repubblicani. Abbiamo la cosidetta Real IRA che sta lottando per una Repubblica composta da 32 Contee o, almeno, così dice. Cosa hanno fatto tra il 1986 ed il 1997? Stavano seguendo l’agenda dei provos. Sono dei traditori. Dovrebbero lasciare le armi e ritornare a casa. Non può esserci una diluizione del principio”. Alla commemorazione erano presenti alcunimembri della 32 County Sovereignty Movement che, appena hanno sentito queste dichiarazioni, per protesta, hanno lasciato la celebrazione. Non si è fatto certo attendere la risposta della Real IRA che durante la commemorazione sempre per la Rivolta di Pasqua organizzata presso il City Cemetery di Derry dal 32 County Sovereignty Movement ha promesso di intensificare la sua campagna armata nel corso di quest’anno proclamando che le loro azioni saranno più forti di mille parole e rivendicando gli attacchi degli ultimi mesi contro alcune stazioni di polizia. L’annuncio è stato fatto da un combattente repubblicano che indossava l’uniforme paramilitare e aveva il volto coperto da un passamontagna, alla presenza di circa trecento persone che si erano radunate per l’evento e ad alcuni giornalisti intervenuti. Mirian Price, portavoce del 32 County Sovereignty Movement, nella stessa commemorazione, ha chiesto esplicitamente di agire nelle proprie comunità e ha attaccato anche Martin McGuinness dello Sinn Fein dicendo: “I collaborazionisti che ci chiamano traditori è un coro familiare. Il repubblicanesimo non può essere guidato dai collaborazionisti”. Intanto, sempre nella giornata di Pasqua, i detenuti repubblicani si sono rinchiusi nella sala mensa della prigione di Maghaberry chiedendo la reintroduzione dello status di prigioniero politico. Breandan MacCionnaith, segretario dell' Eirigi, il partito politico socialista repubblicano nato nell’aprile del 2006 proprio nell’anniversario dell’Easter Rising, ha espresso solidarietà dichiarando al Nothern Ireland News (u.tv) che: “Negli ultimi anni, il regime carcerario di Maghaberry ha acquistato notorietà per il suo sconvolgente trattamento dei prigionieri repubblicani e delle loro famiglie. Questo trattamento è stato incentrato sulla negazione dello status di prigioniero politico e dal tentativo di dipingere i detenuti a causa dell’occupazione britannica come criminali comuni. Senza riguardo alle opinioni politiche personali, la realtà è che questi prigionieri non sarebbero in prigione se non fosse per la continua presenza britannica in Irlanda, sono chiaramente prigionieri politici e dovrebbero essere trattati come tali”. In un comunicato del 32 County Sovereignty Movement in riferimento a dei fermi sempre nel fine settimana di Pasqua, si legge: “Irepubblicani irlandesi non si faranno distogliere del chiedere la sovranità della nazione irlandese e non sarà la milizia britannica a fermarci dall’onorare i nostri patrioti morti o a farci indietreggiare con queste tattiche da bulli”. Il fuoco della rivolta è ancora acceso, oggi come allora.
A Belfast Real Ira torna a colpire, per opporsi alla devoluzione. Le autorità locali hanno subito attribuito l’attentato ai gruppi repubblicani contrari al processo di pace imposto da Londra col placet del Sinn Fein e dei protestanti filo-britannici. L’attacco è giunto infatti nel giorno del trasferimento dei poteri di polizia e giustizia dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. Il servizio d’intelligence rimarrà tuttavia sotto il controllo britannico anche dopo il passaggio dei poteri alle autorità di Belfast. L’autobomba è esplosa vicino alla sede del MI5, il servizio segreto britannico, alla periferia di Belfast dietro l’ex campo militare di Palace Barracks Holywood. La detonazione è avvenuta attorno alle 00:24 ora locale (1,24 ora italiana). Non ci sono state vittime, ma in seguito allo scoppio un anziano è rimasto ferito lievemente ed è stato portato in ospedale. L’attacco è avvenuto in concomitanza col trasferimento dei poteri di polizia e giustizia dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. A rivendicare l’attentato, secondo quanto rivelato la polizia britannica, il gruppo repubblicano dissidente del Real Ira, contrario al processo di pace deciso da Londra e approvato dai repubblicani del Sinn Fein. Le indagini hanno rilevato che la bomba era stata piazzata su un taxi, dirottato nella zona di Ligoniel a nord di Belfast, a circa sette miglia da Holywood, attorno alle 21 e 50 ora locale. Il conducente è stato tenuto in ostaggio da tre uomini per circa due ore prima di essere obbligato a portare il suo taxi nei pressi della caserma. Il personale di sicurezza si sarebbe accorto dell’imminente pericolo, avvertito dalle urla del tassista e avrebbe fatto evacuare la zona, allontanando velocemente almeno 60 persone dalle loro abitazioni, poco prima di mezzanotte e pochi minuti che la bomba deflagrasse. Le esplosioni in realtà sono state due: la prima sarebbe stata causata dalla bomba vera e propria, a cui ha fatto seguito l’esplosione del serbatoio della benzina, che ha distrutto l’autovettura e danneggiato le altre proprietà circostanti. L’attentato ha rappresentato una risposta alle decisioni prese nel marzo scorso dai deputati dell’Assemblea nazionale (Stormont), con una votazione a favore del trasferimento dei poteri di polizia e giustizia da Londra a Belfast. A Stormont 88 voti, su 105, avevano sostenuto in quell’occasione la devoluzione, a dirsi apertamente contrari erano stati invece 17 unionisti protestanti. Ieri, invece, a conferma che l’accordo è ormai cosa fatta, è stato eletto dai deputati nordirlandesi per la prima volta un ministro della Giustizia: David Ford, leader dell’Alliance Party (formazione mista composta da protestanti e cattolici), frutto dell’intesa fra il Democratic Unionist Party (DUP), vicino a Londra, e il Sinn Fein.
Ridare dignita' ai popoli europei nel pieno riconoscimento del valore della Tradizione che costituisce le comunita' differenziate: davanti al caos omologante della societa' globalizzante del pensiero unico e del grande fratello, l'associazione Triskelion punta sulla valorizzazione del tessuto organico dei popoli.
È ridicola l’enfasi che la stampa internazionale ha dato al preaccordo fra Stati Uniti e Russia per ridurre di un terzo i loro armamenti nucleari. Ridicola perché alla Russia rimarranno circa 8000 atomiche e agli americani 7000, quando con un centinaio di questi ordigni si può distruggere non solo un eventuale nemico ma l’intero pianeta.
Il capitalismo trionfante e globale sta raggiungendo la sua razionalizzazione estrema.
La Real IRA ha promesso di intensificare la sua campagna armata nel corso dell’anno, annunciando che le sue azioni saranno “più forti di mille parole”.
WASHINGTON – I piloti dell’elicottero Apache hanno scambiato i lunghi teleobiettivi delle macchine fotografiche per dei lanciarazzi. E, secondo le regole di ingaggio, hanno aperto il fuoco: sono morti così Namir Noor Eldeen, reporter dell’agenzia Reuters a Bagdad, il suo autista, Said Chmagh, ed altre 10 persone.
Supponiamo di trovarci a passeggiare per una qualsiasi strada di una qualsiasi città italiana il prossimo 15 maggio (la data non è certo casuale). Supponiamo di vivere una di quelle giornate storte, di quelle caratterizzate magari da un evento sfavorevole - o da un triste ricordo - che possano inficiare la nostra serenità. Supponiamo, dunque, di dover convivere con un broncio che ci accigli il viso in modo piuttosto evidente da lasciar trasparire il nostro stato d’animo agli altri. Supponiamo, infine, di poter esercitare questo basilare, banalissimo ed innocuo diritto ad esprimere le nostre emozioni solo a costo di incappare in spiacevoli inconvenienti. Quale tipo di inconvenienti? Un fermo delle forze di polizia ed una salata multa (o, peggio, il carcere). Inconvenienti non accidentali ma pianificati dallo Stato per evitare che la malinconia possa disegnare sul nostro volto un broncio evidentemente scomodo. Perché scomodo? Perché rappresenta il simbolo di una pagina di storia che è interesse comune di chi governa stralciare. Una pagina su cui si fonda il “diritto” storico dello Stato ad esistere, macchiata dal sangue di centinaia di migliaia di innocenti usurpati della propria terra con metodi efferati: prima occupati, poi scacciati violentemente, uccisi o, nella migliore delle ipotesi, ridotti in stato di profughi e relegati in fatiscenti campi privi d’ogni servizio. Supposizioni paradossali se a pensarle è un Italiano, disabituato a veder così concretamente calpestata la propria dignità individuale, ma piuttosto educato a riservare la massima cura a quei temi della memoria storica che siamo frequentemente sollecitati ad osservare con laica religiosità da scuola e media di massa. Eppure, quelle che abbiamo descritto come supposizioni, sono l’ennesima, cruda realtà con la quale dovranno confrontarsi i Palestinesi che vivono nei territori occupati dall’esercito israeliano. Sì, perché una nuova legge in Israele rende crimine la commemorazione di ciò che i Palestinesi chiamano “Nakba”, la catastrofe del loro sradicamento e pulizia etnica dalla Palestina, con la creazione dello Stato sionista nel 1948 e le conseguenti sofferenze patite dai Palestinesi sino ad oggi, accresciute dalla ferma volontà sionista - drammatica e pericolosa cronaca d’attualità - di incrementare gli insediamenti dei coloni ebrei. Il parlamento israeliano (proprio quella Knesset tanto incensata dai nostri politici quale unico propulsore democratico del Medio Oriente) ha ratificato alla prima lettura la cosiddetta “legge Nakba”. Essa consiste nel punire, anche fino a tre anni di carcere, chiunque in quella data mostri segni di lutto. Quale scopo si prefigge questa legge così inequivocabilmente liberticida adoperata dal democratico Israele? Presto detto! Essa si prefigge di impedire che atti commemorativi possano “negare il carattere ebraico di Israele”. Ovviamente nessun organo di stampa occidentale darà risalto a questo provvedimento, sebbene esso dimostri in modo lampante come la discriminazione razziale istituzionalizzata sia un argomento d’attualità, almeno in Israele; nell’unica democrazia mediorientale. In compenso, con cadenza forse quotidiana ci viene recitata da stampa e TV la ramanzina sull’importanza della memoria finalizzata a non commettere gli errori del passato. Con la stessa frequenza assistiamo inoltre ad accorati dibattiti in cui dotti rappresentanti della società civile, delle istituzioni e di associazioni di stampo moralista o ideologizzate si interrogano preoccupati circa le pericolose derive razzistiche in cui staremmo noi tutti precipitando, e propongono misure per arginare il fenomeno. Eppure, tutti costoro tacciono o quasi circa “il carattere ebraico di Israele”, la condizione etnicamente discriminatoria su cui si fonda il sionismo. E tacciono, conseguentemente, su ogni tipo di misura presa dagli stessi sionisti nei confronti dei non ebrei che si trovano a vivere nei territori occupati da Israele; compresa questa assurda legge. E’ evidente, a questo punto, che la memoria che veniamo chiamati ad osservare è una lurida ipocrisia, una mera propaganda politica svuotata d’ogni significato profondo. In occidente vengono istituzionalizzate le giornate della memoria che si propongono di ricordare la disumanità dei regimi totalitari, al fine di legittimare l’attuale status quo e di frugare ogni possibile dubbio sulla bontà dei regimi liberali. Giustificando, soprattutto, l’arroganza sionista con le vicissitudini subite dagli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Non verranno mai istituite giornate dedicate altresì al ricordo delle sofferenze patite da tantissime popolazioni che hanno conosciuto sulla propria pelle la reale identità guerrafondaia di questi presunti dispensatori del concetto di bene universale e non ci sarà mai una corretta informazione su quanto attualmente continuano a commettere costoro. Israele e Nato in primis. Noi rifuggiamo l’ipocrisia, caratteristica tipica della democrazia, e queste sue sgradevoli manifestazioni, tentando invece di perseguire, nel nostro piccolo, un onesto percorso informativo, basato su fatti oggettivi e scevro da connotati retorici. In conclusione, sarà quindi poco conveniente per un Palestinese in quella data circolare per le strade presidiate dalle forze sioniste, onde non rischiare di finire dietro le sbarre con la ridicola accusa, potenzialmente arbitraria, di essersi mostrato triste. Eppure i Palestinesi vivranno quest’ennesimo abuso con l’impavida attitudine che li contraddistingue e che li cristallizza nel nostro immaginario coi volti coperti da una kefiah, pronti a sfidare i supertecnologici carri armati israeliani coi più rudimentali mezzi, i soli che la arida e amata terra di Palestina può offrire ai suoi figli: i sassi.