domenica 14 febbraio 2010

Pio Filippani Ronconi: il conte guerriero.

All'eta di ottantanove anni si è spento a Roma il professor Pio Filippani Ronconi, orientalista di fama internazionale. Nato da una famiglia della classe patrizia romana fu inghiottito dagli avvenimenti della guerra civile spagnola dopo la fucilazione della madre ad opera delle milizie repubblicane. Allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruolò tra gli “Arditi” e dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana come volontario nel battaglione “Degli Oddi” della “Legione SS Italiana”, meritandosi una Croce di Ferro di II classe germanica per le sue gesta durante i combattimenti nella battaglia per la difesa di Nettuno. Occasione nella quale gli italiani arruolati tra le fila delle formazioni tedesche dimostrarono il loro valore ritardando l'avanza degli eserciti alleati, sforzo che non passò inosservato e consentì ai legionari di fregiarsi delle rune SS sul classico sfondo nero, una concessione del Comando tedesco che li integrò ufficialmente nelle Waffen SS, le armate internazionali che prestarono servizio al fianco della Wehrmacht. Un apporto per nulla marginale che si rivelò fondamentale su molti teatri, specie sul finire della guerra. Furono infatti gli “stranieri” a difendere una Berlino stretta nella morsa dell'Armata rossa.

L'esperienza nelle SS fu sempre ricordata in modo mesto da Ronconi, senza nostalgia o fanatismo. In occasione di un'intervista spiegò che la sua era stata una scelta quasi obbligata, per lui, patrizio romano, era l'unico modo per rispondere al tradimento dell'armistizio e alla fuga del capo delle forze armate – il re Vittorio Emanuele III – tra le braccia di americani ed inglesi. Eppure la sua decisione, dettata da un senso dell'onore profondamente radicato, costò cara a Ronconi. Il suo passato divenne ad esempio motivo per sospendere sine die la sua collaborazione con la terza pagina del Corriere della sera. Via Solferino non poteva permettersi di ospitare un “nazista” nelle pagine della cultura, anche grazie ad un duro comunicato del Comitato di redazione il professore fu cacciato senza appello. I soliti benpensanti pronti a difendere la libertà di espressione e i valori della democrazia in tutte le loro declinazioni riuscirono ad impedire ad un accademico settantenne di spiegare le usanze dei samurai giapponesi o i riti per celebrare il capodanno lunare nella Cina imperiale. Eppure il suo curriculum avrebbe dovuto impedire che qualcuno potesse solo accennare la minima polemica. L'ex militare fu infatti professore ordinario di Religioni e Filosofie dell’India, professore incaricato di Lingua e Letteratura Sanscrita, già professore straordinario di Dialettologia Iranica, e precedentemente incaricato di Filosofie dell’Estremo Oriente all’Istituto Orientale di Napoli. Fu anche dottore honoris causa di Teologia e Scienze dell’Islam presso l’Università di Teheran (unico occidentale insignito di tale riconoscimento); dottore sempre honoris causa in Filosofia della Storia grazie al riconoscimento dell’Università di Trieste.

Quale docente e storico delle religioni, ha sviluppato ricerche sulle sette gnostiche in India e Tibet e sui movimenti mistici ed eterodossi nell’Islam orientale, specialmente in Persia. Ha indirizzato i propri interessi verso la fenomenologia religiosa, dello Yoga e dello Sciamanesimo, argomenti sui quali ha pubblicato vari scritti. Fra le sue attività, si ricorda la sua partecipazione alla spedizione in Marocco, promossa dalla Fondazione Ludwig Keimer, che portò alla scoperta dell’antica città di Sigilmassa. Nel corso della sua esistenza ci pensò anche la magistratura a mettergli i bastoni tra le ruote. Suo malgrado fu coinvolto nell'inchiesta sulla strage di piazza Fontana per via del suo intervento pronunciato durante il convegno all'hotel Parco dei principi del 1965. Le successive indagini esclusero però qualsiasi forma di coinvolgimento nella pianificazione della cosiddetta “strategia della tensione”. I suoi approfonditi studi sui culti tradizionali lo portarono sicuramente a non temere la morte. Ci piace quindi ricordarlo con un suo motto che testimonia quanto fosse vivido l'ardimento nel suo animo: Viva la muerte!



Matteo Mascia, www.rinascita.info

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