giovedì 11 febbraio 2010

Caso Raciti: un verdetto che allontana la verità.

La condanna a 14 anni di reclusione di Antonio Speziale, decisa dal Tribunale dei minori, per la morte dell’ispettore di polizia Filippo Raciti a seguito degli incidenti tra opposte tifoserie durante il derby Catania-Palermo ci pone una riflessione doverosa. E non si può prescindere dal caso Sandri, tifoso della Lazio ucciso l’11 novembre del 2007 lungo l’A1 in prossimità di Arezzo, da uno sparo assassino di agente della polizia, tal Spaccarotella. La condanna a soli 6 di reclusione, per omicidio colposo, invece del doveroso preterintenzionale, decisa dai giudici della Corte d’Assise di Arezzo, nel luglio del 2009, lascia ancora allibiti. E non si può prescindere dal solito uso dei due pesi e due misure. La chiave di lettura di certe ambigue sentenze è una sola: se si tratta di un tutore dell’ordine si dà l’omicidio colposo se invece si tratta di comuni cittadini allora si dà l’omicidio preterintenzionale. Una sentenza, quella dell’assassinio di Gabbo, che non ha tenuto affatto conto delle testimonianze di persone che videro espressamente l’agente Spaccarotella chinarsi e mirare al bersaglio. Quindi non si può non considerarla vergognosa. Invece, nel caso degli incidenti del 2 febbraio del 2007 nei pressi dello stadio di Catania si è giunti alla colpevolezza di Speziale nonostante i dubbi siano numerosi. Anzi ci sono diverse testimonianze e ipotesi di periti che avvalorerebbero altre tesi, in primis quella che l’ispettore Raciti rimase vittima del fuoco amico o meglio fu investito dalla stessa gip della polizia, durante una manovra con poca visibilità per via del fumo dei lacrimogeni, cui poco prima era sceso lo stesso ispettore. Quindi la condanna a 14 anni del tifoso catanese, all’epoca minorenne, appare davvero sconcertante anche perché non c’è alcuna certezza su come siano andati i fatti. Ad avvalorare questa tesi c’è soprattutto la testimonianza di un agente che sedeva nel gippone. Il collega dell’ispettore spiega che in quei frangenti frenetici di scontri tra tifoserie la visuale era limitata per via dei lanci di lacrimogeni, da parte delle forze dell’ordine e di fumogeni da parte dei tifosi, uno dei quali cadde vicino al mezzo di polizia, invadendo anche l’abitacolo. Quindi, stando alla testimonianza resa dall’agente, l’ispettore invitò tutti a scendere dall’auto. “Proprio in quel frangente -così prosegue il suo racconto-  ho sentito un’esplosione, e sceso anch’io dal mezzo ho chiuso gli sportelli lasciati aperti sia da Balsamo che dallo stesso Raciti ma non mi sono assolutamente avveduto dove loro si trovassero poiché vi era troppo fumo”. A questo punto, stando alla testimonianza dell’agente, si sarebbe verificato l’investimento dell’ispettore proprio durante la manovra di retromarcia resa difficoltosa per via dei fumogeni. “Ho fermato il mezzo e ho visto un paio di colleghi soccorrere Raciti ed evitare che cadesse per terra”, così termina la testimonianza del poliziotto alla guida del gippone. E allora come si giustifica la condanna a 14 anni del tifoso catanese? In modo molto semplice: quando sul banco degli imputati sale un tutore dell’ordine allora i giudici sono magnanimi, quando invece sul banco degli imputati sale un cittadino comune allora si usa un metro di giudizio diverso. Tanto per essere chiari: quando l’imputato è Spaccarotella e la vittima Gabo si dà l’omicidio colposo, viceversa quando la vittima è un ispettore di polizia allora si dà l’omicidio preterintenzionale. Non è certamente un buon modello di giustizia.



Di Michele Mendolicchio, www.rinascita.info

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