lunedì 8 febbraio 2010

Karen: sessantuno anni di lotta.

Il 4 febbraio è stato un giorno speciale per l'Esercito di Liberazione Nazionale Karen. Si è celebrato il 61° Giorno della Rivoluzione, la data che ricorda la prima sollevazione di questo popolo contro l'aggressivo regime birmano.

Un piccolo avamposto, forse una trentina di soldati. E duecento civili a cantare l'inno nazionale Karen mentre su un grosso bambù viene issata la bandiera rossa, bianca e blu con gli emblemi del sol levante e del tamburo tradizionale. Sembrerebbe il set di un film da pochi soldi, una di quelle produzioni che non si possono permettere troppe comparse.

Nerdah Mya è tra i suoi. Tiene un lungo discorso che ancora una volta tocca uno dei temi critici dell'intera questione Karen. "Se non abbiamo ancora raggiunto il nostro obiettivo - dice ai soldati - è per la mancanza di unità che ci contraddistingue". Il Colonnello si riferisce al tradimento e al cambio di campo da parte di un gruppo armato Karen che nel 1995 ha preso il nome di Esercito Democratico Buddista, e che ancora oggi collabora attivamente con le truppe birmane nel tentativo di controllare l'intera regione.

"Il giorno peggiore della mia vita - prosegue il colonnello - è stato quando i nostri fratelli ci hanno venduti al nemico. Da quel giorno ho dovuto iniziare a pensare che non mi sarei potuto fidare più di nessuno"..

Ai giornalisti che lo intervistano al termine della spartana ma solenne cerimonia in ricordo dei caduti, Nerdah Mya annuncia che per il suo popolo il 2010 sarà un anno molto diverso dal precedente.

"Abbiamo formato delle unità speciali, che non dipendono da alcun battaglione. Sono corpi franchi che hanno lo scopo di colpire il nemico dove è più vulnerabile. Ora siamo pronti a riprenderci il territorio perduto lo scorso anno. I nostri volontari si sono addestrati con scrupolo, nella certezza di cacciare il nemico dai villaggi Karen. La popolazione attende solo di vederci arrivare per liberarla dalle violenze e dalle angherie che sta subendo. Alla nostra gente diciamo: siamo già in marcia".

Indiscrezioni arrivate da Rangoon parlano di una richiesta per un prestito di duecento milioni di dollari che il regime birmano avrebbe avanzato al governo di Pechino per finanziare una offensiva su larga scala contro la resistenza. Una cifra che fa paura,

specialmente se vista da questo accampamento di teli di plastica e di bambù. Dalla risposta cinese dipenderà la sorte non soltanto dei Karen, ma anche di altri gruppi etnici che rifiutano di sottomettersi al controllo di Rangoon.

Intanto a Mae Sot, cittadina tailandese sul confine con la Birmania, è scattato l'allarme per i dirigenti dell'Unione Nazionale Karen, l'ala politica della resistenza. Dei sicari avrebbero il compito di colpire almeno uno dei leader del gruppo, per cercare di convincere il movimento a scendere a patti con il regime. David Thackarbaw, il Vice Presidente della KNU che lo scorso ottobre aveva compiuto una visita in Italia ed era stato ricevuto dal Sottosegretario agli Esteri Stefania Craxi, esce dal suo rifugio "solo se strettamente necessario". Fa uno strappo alla regola per invitarci a pranzo in un locale sulle colline che sovrastano il corso del fiume Moei. "Negoziare con i Birmani? - chiede di fronte alle insistenti pressioni che giungono dalle diplomazie - Voi negoziereste con chi violenta le vostre donne, uccide i vostri figli e brucia il vostro raccolto? Crediamo che la prima

condizione per un vero negoziato sia l'immediata cessazione di ogni attività dell'esercito birmano e dei suoi alleati nel territorio Karen".

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