Alla fine del mese scorso una notizia scuote il mondo della cinematografia: Roman Polanski, uno dei registi più osannati dall'ambiente, viene arrestato all'arrivo in Svizzera, laddove si era recato per ritirare l'ennesimo premio alla carriera. La causa dell'inconveniente è una vecchia storia, risalente al 1978 quando il grande regista drogò e violentò una bambina di 13 anni, Samantha Geimer, ammettendo successivamente l'accaduto, ma sostenendo che la ragazza fosse consenziente. Dopo pochi giorni di carcere Polanski riuscì a fuggire verso la comprensiva Francia, da sempre approdo certo per la più svariata gamma di esuli. Ora, lungi da noi procedere con un approccio eccessivamente giustizialista, anche perchè commutare lo stupro di un' adolescente in pena è davvero cosa ardua, più sensato è tuttavia analizzare il processo mentale per cui la società accetta alcuni comportamenti e ne condanna degli altri, concede etichette d'intoccabilità ad alcune caste e fa delle crociate per "debellarne" altre. Il fatto che l'olimpo dello spettacolo si schieri "senza se e senza ma" contro la possibile estradizione del regista, che la diplomazia degli stati di cui Polanski è cittadino, ossia Francia e Polonia, si prodighi nell'inviare missive ufficiali a Hilary Clinton per chiederne la grazia e che l'informazione tenda a difendere quello che fu un povero bimbo fuggito dai campi di concentramento, è indicativo della miseria umana e della forte ipocrisia della società occidentale, che da un lato introduce il reato di "stalking", facendo sì possa divenire motivo di condanna una innocua chiamata di troppo all'amata che non condivide più tale sentimento, e tende a creare personaggi a cui si possa perdonare la sodomizzazione di una tredicenne. Tornando a Polanski e al suo mito, per comprendere come la cultura post-moderna sia deviata, è utile ricordare come tale personaggio abbia potuto crearsi quest'alone di santità. A livello cinematografico due sono i cavalli di battaglia di Polanski: "Rosemary's Baby" e "Il pianista".Il primo film intreccia una vicenda quantomeno inquietante, che ci vede spettatori di sabba satanici e della nascita del figlio del diavolo; rappresentazioni molto esplicite dei rituali, chiari richiami alla magia nera e, come ciliegina sulla torta, un' apologia finale per la nascita dell'anticristo, acclamato come colui che porterà l'egualitarismo nel mondo. Molto curiosa è la citazione tra i ringraziamenti al fondatore della "chiesa di satana", tal Anton LaVey. Dopo tre anni dall'uscita del film, a portare nuova linfa alla fama del regista, fu la tragedia che scosse la sua famiglia: un gruppo pseudo-satanista, introdottosi nella villa di Polanski, massacrò efferatamente, in sua assenza, la bellissima moglie (l'attrice Sharon Tate) all'ottavo mese di gravidanza. Quest'episodio rimase sempre avvolto nel mistero e fu bollato come l'atto di un gruppo di pazzi, Charles Manson e la sua banda. L'altro film , "Il pianista", tratta invece le vicende di un ebreo durante l'olocausto, tema conseguentemente portatore di sicuro guadagno, sicura fama e gloria, tanto più se l'artefice è chi in tenera età visse in prima persona quel dramma. Secondo un nostro soggettivissimo giudizio, la collettività ha veramente pochi motivi per ringraziare Polanski, eppure sembrerebbe l’opinione pubblica non essere dello stesso avviso. Forse al Berlusca sarebbe bastato girare un paio di film in maniera oculata, piuttosto che spendersi in mille fatiche, per garantirsi l'approvazione del "lodo Alfano". Del resto, ciò che sostengono esimi attori universalmente apprezzati (per es. Monica Bellucci) non è forse che i meriti professionali del grande regista Polanski siano sufficienti per concedere una grazia, un perdono allo stupratore Polanski? Questa vicenda del mondo moderno ci fa comprendere come siano lontani i tempi in cui regnanti molto più savi, considerando la cinematografia come "l'arma più potente", erano soliti intervenire e censurare laddove un messaggio palesemente negativo per la collettività fosse contenuto in pellicole prossime alla proiezione. Così, a farne le spese nella Germania degli anni '30 fu uno che aveva tutti i crismi per essere un intoccabile, Fritz Lang. Esso era all'epoca, se non il migliore, uno dei più grandi registi a livello mondiale, Hollywood era ai primordi e l'espressionismo tedesco rappresentava l'avanguardia della cinematografia mondiale. Lang oltretutto era l'autore della pellicola preferita dal Fuhrer: Metropolis. Il finale di questo film, strabiliante per gli effetti speciali e avvincente per la trama, descrive una società futuristica e immaginaria, e termina con l'incontro tra il proprietario d'azienda e l'operaio… "Cervello e braccia sono inutili se non è il cuore a mediare", questa frase finale del film colpì molto Hitler che tenne sempre in grande considerazione tale regista. Tuttavia, qualche anno dopo si trovò costretto a non consentire l'uscita di due film socialmente inadeguati: "Il dottor Mancuse" e "Il mostro di Dusseldorf". In particolare il secondo narrava le vicende di uno stupratore e uccisore di bambine e terminava con un messaggio di comprensione verso l'individuo malato. Questo non può tuttavia essere tollerato da qualsivoglia Stato etico per due motivi: all’errore dell’individuo viene riservato un grado di comprensione tale per cui il danno che egli può arrecare alla collettività viene trascurato; dunque si lancia un input poco raccomandabile ad una moltitudine di persone, certamente comprensiva anche di menti più o meno deboli, soggette ad essere persuase e suggestionabili, non certo pronte a recepire con indifferenza messaggi così delicati. Al tempo stesso a Lang fu offerta una carica al ministero della propaganda ma egli, convinto di essere vittima di un complotto, decise di fuggire oltreoceano. A riprova della bontà della proposta del Fuhrer, la carica venne affidata alla moglie di Lang, che decise di rimanere in Germania e di non seguire le scelte del marito. Ora, la differenza tra chi subordina l'intrattenimento all'educazione sociale, tra chi reputa un messaggio di comprensione verso un reato eticamente molto grave e chi ne difende l'esecutore, in quanto permeato dall'alone di intoccabilità datogli dall'averci mostrato nei proprio film come si stringono patti demoniaci, pare evidente. Ad essere in ballo non è la legittimità dell'estradizione di Polanski, bensì l'ipocrisia di una società fucina di falsi miti in cui l'intrattenimento, i giullari, i vip dello spettacolo la fanno da padroni. Idolatrati a tal punto da non essere considerati imputabili per un reato come quello pedofilo. Chiunque altro fosse stato accusato di tale reato, anche se non reo-confesso come il famoso regista, seppur con minori prove a carico, sarebbe vittima di linciaggio mediatico. Ma i nostri miti non si toccano, anche a costo di mentirsi, di screditarsi. Così come già successo in altri casi, a torto o a ragione, in questi casi si difende un idolo, un intoccabile. Intoccabili creati artificialmente, secondo criteri soggettivi nei salotti e propinati agli spettatori del circo mediatico con lo scopo di distrarre. La società pluralista, multietnica, precaria distrae, senza avere un riferimento, un centro, bensì dilatandosi caoticamente tra labirinti catodici; gli idoli che emergono da questa miseria non possono che essere squallidi intrattenitori.
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