venerdì 30 ottobre 2009

Stefano Cucchi: ucciso in carcere. Ora, la verità.

Un altro caso come quello di Aldrovandi, il ragazzo ucciso dalla polizia a Ferrara? Oggi i riflettori sono puntati su Stefano Cucchi. Il giovane aveva 31 anni, alle spalle la comunità di recupero, appena 43 kg di peso e in tasca circa 20 gr di marijuana, poca cocaina, 2 pasticche (di ecstasy per gli agenti, di calmanti per il padre del ragazzo). È stato condotto in carcere la notte tra il 15 e il 16 Ottobre. Ne è uscito la prima mattina del 22 dentro una bara. Fatto, di non poca rilevanza, soggiace nelle sue condizioni di salute ottime al momento dell’arresto.



Il pm sta indagando per omicidio preterintenzionale. Ma se la famiglia non avesse denunciato i fatti probabilmente tutto sarebbe messo a tacere. Proviamo a ricostruire l’accaduto. Il giovane viene fermato intorno alle 23.30 del 15 ottobre dai carabinieri che gli contestano il possesso di una piccola dose di stupefacenti. All’1.30 della mattina il ragazzo, scortato in casa dai militari, assiste a una perquisizione della sua camera, che non da frutti, per poi essere condotto in galera. La mattina dopo parteciperà al processo per direttissima con il volto evidentemente tumefatto. I medici dell’ambulatorio del Palazzo di Giustizia stileranno un referto medico che rileva “lesioni ecchimotiche in regione palpebrale inferiore, bilateralmente” inoltre “lesioni agli arti inferiori e alla regione sacrale”. Durante il processo Stefano lamenta il fatto che gli sia stato affidato un legale d’ufficio piuttosto che il suo avvocato di fiducia. Dal carcere di Regina Coeli, viste le sue precarie condizioni di salute, Stefano viene condotto all’ospedale Fatebenefratelli. Dove una radiografia evidenzierà ” la frattura corpo vertebrale L3 dell’emisona sinistra e la frattura della vertebra coccigea”. Quindi rispedito in carcere. La mattina seguente, visto l’aggravarsi della sua situazione, il detenuto verrà portato presso il padiglione detenuti dell’Ospedale Pertini. La domenica verso le 21:00 la famiglia avvertita del trasferimento del giovane si reca in ospedale. Dove un piantone, rassicuradoli per le condizioni di salute del figlio, gli impedisce il colloquio. La visita dei familiari viene impedita sino al martedì successivo. Il mercoledì il padre di Stefano ottiene un permesso del giudice del tribunale di sorveglianza per avere un colloquio con il figlio detenuto. Mancante però del visto, dunque tutto slitta ancora di un giorno. Alle ore 6.20 della mattina seguente il giovane Stefano Cucchi muore. Il referto medico dell’autopsia riferisce che il decesso sia avvenuto “per cause naturali”.



La Polizia penitenziaria e l’arma dei Carabinieri tessono vicendevolmente alibi tesi a scagionarsi. Del resto, come affermano “era debilitato”, “le nostre camere di sicurezza, che sono quelle regolamentari, non sono certo alberghi a cinque stelle”. Senza dubbio, spiegazioni poco plausibili. Che lasciano seri dubbi sullo svolgersi della vicenda dal tragico esito. La famiglia sconvolta ha, volontariamente, diffuso le drammatiche e, per certi versi, raccapriccianti immagini della salma di Stefano. Segnato da evidenti segni di percosse sul volto, tumefazioni, un occhio rientrato nell’orbita, la mascella spaccata. Immagini orribili che riportano la situazione oltre le divagazioni del caso. Oltre le dichiarazioni scandalizzate e bipartisan dei parlamentari che vogliono luce su questa vicenda. Oltre chi, con cattivo gusto e pessima scelta dei tempi, difende l’Arma. I termini medici servono a ben poco. In quel volto si legge l’orrore di una rabbia cieca e immotivata. Si legge l’innocenza di chi è con le spalle al muro. Di chi non può difendersi e cede. La tristezza di chi abbandona la vita senza il commiato della famiglia.



Questo voi lo chiamate Stato di Diritto? Dov’è la tanto vantata “risposta delle istituzioni”? Questo non è Stato ma, bisognerebbe piuttosto chiedersi, chi è “Stato”? Chi ha ridotto così la patria del diritto romano, fondamento del diritto continentale? Perché chi dovrebbe difenderci, chi è addetto a far rispettare le leggi si riduce a barbaro e bruto? Ci lamentiamo della violenza gratuita, con aria da moralisti e benpensanti, e poi la dispensiamo come fosse un giocattolo? Condanniamola, emarginiamola, agiamo in modo che non si verifichi più che uno Stato si faccia carnefice e poi si mimetizzi vittima. Chi sbaglia deve pagare. Sia questo carabiniere, civile o poliziotto. Lo stato deve agire severamente nei confronti di chi commette reati di tale efferatezza.



Nicola Piras

http://www.mirorenzaglia.org/?p=10042

giovedì 29 ottobre 2009

Uccidere su facebook.

MILANO - Soffocata con del nastro adesivo e abbandonata in un fosso: questa la tragica fine della diciassettenne Ashleigh Hall, che mancava dalla sua casa di Darlington, nella contea di Durham, da domenica sera, quando aveva detto alla madre Andrea che avrebbe passato la notte da un amico. Stando, invece, ai compagni del corso di babysitter del Darlington College che Ashleigh seguiva, la giovane doveva incontrarsi con un misterioso ragazzo conosciuto su Facebook e che le aveva detto di avere 16 anni. Ma a quanto sta emergendo dalle indagini, l’appuntamento sarebbe stato, invece, con un uomo di 32, fermato dalla polizia per un banale controllo alla macchina (la sua auto era senza assicurazione) nel tardo pomeriggio di lunedì vicino a Sedgefield e che, una volta portato alla centrale, avrebbe poi confessato agli attoniti agenti «di aver ucciso una ragazza». L’uomo, che ha dei precedenti per reati sessuali su adulti (non su minori), è stato quindi arrestato con l’accusa di rapimento ed omicidio. Sarebbe stato lui stesso a portare gli investigatori nel luogo in cui giaceva il corpo senza vita e completamente vestito della povera Ashleigh, un fossato deserto sul retro di un ristorante (il Little Chef), a pochi metri di distanza dal posto di blocco della polizia e spesso meta di coppiette in cerca di intimità. A quanto scrive il “Sun”, il presunto omicida avrebbe continuato a sostenere che la morte della ragazza sarebbe stata accidentale, mentre sono in corso gli esami autoptici per stabilire le esatte cause del decesso e se c’è stata violenza sessuale.






L’INCONTRO ONLINE - «È un caso davvero terribile – ha confermato al tabloid l’ispettore Paul Harker, a capo dell’inchiesta – legato ad una serie di tragiche circostanze. Crediamo che i due si siano incontrati online e per questo non mi stancherò mai di ripetere a genitori e ragazzi di essere assolutamente certi dell’identità della persona con la quale chattano e di non incontrare nessuno se non si è sicuri di chi sia. Ashleigh aveva detto alla madre che avrebbe passato la notte fuori e che sarebbe stata di ritorno lunedì all’ora di pranzo, ma quando non si è vista i familiari hanno cominciato a chiamarla sul cellulare, senza però ricevere risposta. A quel punto, si sono preoccupati e ci hanno chiamato. Il corpo della ragazza è stato trovato poco dopo l’arresto del 32enne per una banale infrazione del codice della strada, ma solo dopo che lo abbiamo portato alla centrale di Middlesbrough l’uomo ha raccontato agli agenti quello che aveva fatto». La polizia ha chiesto aiuto a chiunque abbia visto la Ford Mondeo del sospettato, targata S148JNK, fra le 7 di sera della domenica e le 5.40 del pomeriggio del lunedì, mentre il tabloid ha raccolto le testimonianze di quanti conoscevano la ragazza, definita “solare e sempre sorridente” dall’amica Elisha Currie. «Ashleigh aveva conosciuto uno su Facebook – ha raccontato Danny Fischer, coetaneo della vittima e suo compagno di studi – e lui le aveva detto di avere 16 anni, ma ovviamente si trattava di una bugia». La giovane viveva con la madre single e tre sorelle, Olivia, Ellie ed Evie, rispettivamente di 6, 4 e 1 anno. «Mettete in guardia i vostri figli sull’uso di Internet – ha supplicato la signora Hall sul “Daily Mail” – e non lasciate che usino Facebook o siti simili se sono minorenni. Tutto quello che vi chiedo ora è di aiutare la polizia per evitare che ci siano altre vittime. Vedere che la mia Ashleigh mi è stata strappata in questo modo è difficile da accettare, ma non voglio che altre famiglie debbano vivere il mio stesso dramma».


Tratto da: www.corriere.it

Dalla parte del Popolo.

Si è svolta sabato 24 Ottobre a Perugia da Via Birago a Via della Pallotta la manifestazione contro il degrado organizzata da Forza Nuova. Di seguito il video:






 


mercoledì 28 ottobre 2009

Si avvera l’incubo: primi morti a causa del vaccino H1N1‏.

Perche’ non vaccinarsi al “Virus A”


Il discusso vaccino distribuito per cercare di ostacolare il diffondersi dell’influenza H1N1 ha presumibilmente prodotto le prime morti (voce modificata a seguito della confusione generata dall’uso del termine “morti accertate” utilizzato poichè allo stato attuale la vaccinazione è l’unica causa del decesso che viene valutata), sono quattro donne svedesi che, in quanto infermiere, rientravano nelle categorie a rischio indicate dai governi e si sono sottoposte a vaccinazione usando il farmaco Pandemrix della GlaxoSmithKline, un preparato contenente mercurio e squalene.


Aumentano anche i casi di effetti tossici dovuti all’inoculamento del vaccino. Sono ormai centinaia i ricoveri avvenuti a causa delle forti reazioni allergiche seguite alla vaccinazione; i primi sintomi che si denunciano sono febbre, dolori muscolari, mal di stomaco, mal di testa, vertigini, stanchezza seguiti da forti dolori in sede di iniezione e da un senso di costrizione toracica che causa dispnea.


Sono più frequenti i fatti che rendono sempre più difficile inquadrare il reale peso del problema legato all’influenza da H1N1:



  • mentre il presidente degli USA Obama dichiara lo stato di emergenza trapela la notizia che non farà vaccinare le sue due figlie

  • a Milano, prima città italiana in cui giunge il vaccino, sei medici su dieci rifiutano il vaccino.


Pochissime le fonti reperibili per approfondire questo annoso dilemma; l’unico quotidiano che ha pubblicato un chiaro articolo di denuncia è lo svedese Expressen o il sito web Flucase.


Tratto da: http://www.theflucase.com

Profilo di una maschera.

A vederlo sembra davvero efficace nel persuadere i cittadini – nient’altro che potenziali elettori -, coi suoi modi ostentatamente gentili ed una dialettica affabile. Egli deve apparire come un modello, un esempio di ligia condotta e di stucchevole buonismo da esibire pubblicamente al fine di far spifferare al gregge “è proprio un brav’uomo, una persona affidabile”. Possiede una felice ed invidiabile famiglia, con dei figli bellissimi e diligenti ed una moglie di cui è fortissimamente innamorato, oggi più di quando l’ha vista per la prima volta. E’ con loro che passa tutto il tempo che il suo lavoro gli concede; lavoro tanto faticoso quanto estremamente affascinante poiché svolto con nobile vocazione. Abbracciato insieme alle sue uniche ragioni di vita - col suo vestiario sportivo, semplice, da uomo umile minimamente intaccato dall’insolenza che contagia i potenti – compone un quadretto famigliare perfetto, da copertina di “Famiglia cristiana”. Egli è infatti un uomo magnanimo, tanto magnanimo da definirsi senza indugio un cattolico, cresciuto nei sani ambienti parrocchiali tra pallone e panini all’olio, tenendo lontana ogni deviante tentazione. Il suo cuore grosso non sa esimersi dal donare amore e solidarietà a chi, più sfortunato di lui, ne ha bisogno. Insieme a tante persone comuni, proprio come fosse uno tra i tanti, partecipa a gare di solidarietà e di beneficienza, organizzando tornei sportivi nei quali la leale competizione regala un sorriso. Egli conosce bene anche il senso del dovere; ha conseguito una laurea in tempi rapidi e con profitto lodevole. Laurea che gli ha consentito di intraprendere una carriera lavorativa coraggiosa ma densa di soddisfazioni, ripercorrendo un percorso professionale tracciato già da suo padre e, prima ancora, dal padre di suo padre, così da creare un inalterabile circuito nepotistico (nel senso buono, s’intende…). La carriera professionale lo ha aiutato a sviluppare un’ulteriore propensione all’altruismo - si è associato a fondazioni no-profit, ONG, ONLUS… a tutto ciò che ha lo scopo di far del bene al prossimo – ed uno spiccato senso democratico: egli detesta gli estremismi, tacciandone i membri di non esser degni di appartenere alla società moderna di cui egli è fiero e pulito ambasciatore, e tenta, contro ogni aberrazione intellettuale di chi vorrebbe sminuire il tragico peso della Storia, di battersi; ma senza violenza ed impeto, semplicemente trasmettendo attraverso il suo sguardo colmo di pietà - raccolta visitando i luoghi testimoni degli eventi tragici - gli atroci effetti delle dittature. Questo è il suo profilo, ciò che appare in superficie, ciò che è stato costruito a mestiere con l’obiettivo di attirare consenso, di ammansire un gregge che non sa osservare oltre una maschera, che sa solo correr dietro a stereotipi convenzionali figli delle apparenze. Ma ora che la maschera è caduta? Appaiono le reali sembianze e destano scalpore. Egli - l’ineccepibile modello d’uomo, l’affidabile politico – è ora messo a nudo e mostra tutti i connotati che teneva ben nascosti dal dominio pubblico. Emergono dagli angoli inesplorati della sua ambigua personalità le infime perversioni. Tra l’imbarazzo provocato dal tema tabù, si ode levarsi dal gregge un unico sospiro scandalizzato che sa di condanna all’emarginazione. Et voilà, il consenso si trasforma in rifiuto…


La commedia è finita. L’attore si ritira dal palcoscenico.


Associazione Culturale Zenit

I KAREN, POPOLO DIMENTICATO. DA OGGI UN PO' MENO.

Una delegazione dell'Unione Nazionale Karen, l'organismo che rappresenta le istanze di  libertà di un popolo di 8 milioni di persone perseguitate da 60 anni dal regime birmano, è  stata ricevuta ieri al Ministero degli Esteri dal Sottosegretario Stefania Craxi.

L'incontro, definito dal capo-delegazione, David Thackarbaw, vice presidente dell'Unione  Nazionale Karen molto incoraggiante, ha permesso ai delegati di descrivere la  drammatica situazione esistente nella Birmania Orientale a causa delle operazioni militari condotte dall'esercito di Rangoon contro i civili Karen .

“Il Sottosegretario ha dimostrato sensibilità e reale preoccupazione per quello che accade alla nostra gente - ha dichiarato il Colonnello Nerdah Mya dell'Esercito di Liberazione  Nazionale - e si è già attivato per compiere dei primi passi diplomatici che riteniamo di  vitale importanza per il miglioramento della situazione. Ho avuto l'impressione di parlare  con una persona amica” 

Da sempre in prima linea nella lotta alla produzione ed al traffico di eroina e di anfetamine, i Karen difendono la loro terra dallo sfruttamento indiscriminato perpetrato da  multinazionali occidentali e compagnie cinesi in combutta con la narco-dittatura birmana.

Soltanto negli ultimi tre anni, le operazioni militari della giunta hanno provocato la fuga di oltre 90.000 civili dalle loro case. Quasi 500 villaggi sono stati dati alle fiamme dalle truppe  di Rangoon. E un impressionante corollario di stupri e di torture ha accompagnato i rastrellamenti e le deportazioni della popolazione.



www.comunitapopoli.org

venerdì 23 ottobre 2009

Più avanti ancora.



"Morirò in una buca, contro una roccia o nella corsa di un assalto ma, se potrò, cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora".



Filippo Corridoni

Sindacalista Rivoluzionario





Pausula, 19 agosto 1887

San Martino del Carso, "Trincea delle Frasche", 23 ottobre 1915








giovedì 22 ottobre 2009

Sabato 24 Ottobre, fiaccolata per la sicurezza.

Faccio un riassunto!", inizia così l'intervento di Riccardo Donti, segretario cittadini di FN.

"Perugia: task force super specializzate, pattugliamenti anticrimine, guerra alla droga e alla prostituzione. Risultati:a Via della Pallotta rapina con botte,in Via Birago rapina "semplice" , in zona San Ferdinando,quotidiani furti di macchine con scasso, in Via della Pallotta e in via Jacopone, furti in casa con le conseguenze psicologiche devastanti che non staremo qui a descrivere;tralascio per carità cristiana il problema prostitute."

"Va meglio però per lo spaccio;prendete alla lettera questa frase" sorride amaro Donti "intendo proprio dire che gli affari per lo spaccio a Perugia VANNO MEGLIO; cioè non hanno affatto risentito delle varie taskforce, anzi....lo spaccio s'è fatto itinerante:un regalo ai pusher soprattutto magrebini, ancora più sfuggenti ed imprendibili.Via G.B. Vico, via Macchiavelli, il parco adiacente a piazzale Giotto e il parco di s. Anna sono i più rinomati bazaar, ma Perugia è tutta un gran mercato a cielo aperto della droga".


"Se le istituzioni non sono in grado di ridare spazio alla gente onesta, fermando l'immigrazione che campa di delinquenza e soprusi, sia ben chiaro che saranno gli italiani, prima o poi, più prima che poi, a prendere in mano la situazione"

Conclude Donti: " Non si può tirare la corda all'infinito.Se si esagera, quando inevitabilmente si romperà, la caduta sarà rovinosa" "La manifestazione di FN serve a ribadire la nostra volontà di essere ancora una volta con il popolo, la nostra volontà di spezzare quella corda che sta diventando per le persone perbene, per gli italiani, un cappio mortale.


Chi è con noi, chi ha a cuore il proprio presente ed il futuro dei propri figli intervenga alla fiaccolata!"


Ufficio stampa Forza Nuova Perugia, www.fnperugia.org

mercoledì 21 ottobre 2009

McDonald’s vs Mac Bun.

Arroganti. Arroganti e aggressivi. Arroganti, aggressivi e anche ottusi. Perché vanificano, con un gesto arrogante, aggressivo e ottuso, milioni di euro d’investimenti pubblicitari per farsi un’immagine positiva. Le minacce del colosso americano McDonald’s, re mondiale del fast-food, a una microscopica agri-hamburgeria di Rivoli, in provincia di Torino, avrebbero anche un risvolto comico se non ci fossero di mezzo avvocati e carte bollate.

La vicenda è abbastanza nota perché, dopo essere uscita sulle pagine locali de La Stampa, è stata ripresa da blog e siti internet di mezza Italia. Agli intraprendenti Gaetano Scaglia e Francesco Bianco, imprenditori e allevatori del Torinese, è venuto in mente di mettere in pratica quel che da tempo predicano tanti teorici del mangiar sano e dei principi ecologici applicati alla filiera agroalimentare: aprire un fast-food a “chilometri zero”. Cioè con prodotti certificati e di qualità provenienti dal territorio. Quindi polpette di carne proveniente dall’allevamento della stessa famiglia Scaglia, vino del Monferrato, birra artigianale della Val Susa, patate locali fritte in olio di semi prodotto nel Cuneese, pane di un piccolo forno della zona.



Per dare un tocco simpatico allo slow-fast-food, Scaglia e Bianco hanno deciso di chiamarlo “Mac Bun”, che se da un lato fa indubbiamente venire in mente il gruppo multinazionale del “mangiare veloce”, dall’altro rimanda esplicitamente alla lingua piemontese (mac bun=solo buono). Ancora una volta local contro global, insomma. Ma gli avvocati della McDonald’s a quanto pare non conoscono il piemontese. E non hanno nemmeno il gusto dell’ironia. Pochi giorni dopo aver depositato il marchio alla Camera di Commercio, i due imprenditori di Rivoli si sono visti arrivare una diffida dai legali del Re del panino.



Quel “Mac”, secondo loro, richiama un po’ troppo il nome dell’enorme catena di fast-food, che campeggia da New York a Buenos Aires, da Pechino a Johannesburg. Proibito quindi usarlo nell’insegna del piccolo locale di Rivoli, pena una causa milionaria nella quale è facile prevedere chi la spunterebbe. Arroganti, aggressivi e pure preventivi, come hanno imparato ad esserlo gli americani anche in questioni più importanti e tragiche di una polpetta. Ma sempre ottusi.



Perché i due piccoli imprenditori, sia pure un po’ spaventati, non si sono dati per vinti. Hanno affidato a un avvocato il compito di tutelarli in sede legale e hanno aperto ugualmente il locale, infischiandosene delle minacce del signor McDonald’s. Anche se a scanso di equivoci, per ora hanno esposto un’insegna autocensurata: M** Bun.



Insomma, un po’ la ripetizione in salsa padana della storia - vera - del piccolo fornaio di Altamura che anni fa sconfisse il McDonald’s che aveva aperto davanti a lui, battagliando con cheeseburger e Big Mac a suon di pizzette e focacce con le olive pugliesi. Una vicenda sfociata persino in un film con Michele Placido.



E’ un po’ presto per capire se anche Mac Bun sconfiggerà il Moloch d’oltreoceano, ma per ora ha già vinto la battaglia mediatica. Più o meno tutti - dalla Coldiretti a Carlin Petrini di Slow Food, dai politici locali agli chef stellati - si sono schierati dalla parte del fast-food local e ai soci di Mac Bun già arrivate un paio di proposte per l’apertura in franchising di altre agri-hamburgerie, oltre a un invito a partecipare al Forum internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione di Cernobbio. E sabato scorso fuori dal locale di Rivoli c’era la coda, con gente disposta ad aspettare anche un’ora pur di assaggiare i panini con polpette a “km zero”.



Il Re del Fast Food per il momento tace. Forse in cuor suo rimpiange di aver provato a schiacciare quel fastidioso microbo, che in definitiva non gli avrebbe arrecato nessun danno economico. E che invece gli sta provocando parecchi grattacapi sotto il profilo dell’immagine. E magari maledice quella città - Torino - che già un paio d’anni fa gli aveva fatto uno sgambetto mediatico.



McDonald’s aveva licenziato una cameriera colpevole di aver regalato una bibita e un cartoccio di patatine a un bambino che elemosinava sotto i portici. Prezzo alla cassa: 4 euro. “All’azienda non ho rubato nulla”, si era difesa la donna messa alla porta, “Faceva parte del pranzo che mi spettava”. Niente da fare. Licenziata in tronco per giusta causa. Anche in quel caso c’era stato qualcuno - un avvocato - che ci aveva messo un pizzico di coraggio. E una dose di sana follia per affrontare il colosso a mani nude. In primo grado il giudice aveva dato torto alla lavoratrice, ma poi la notizia uscì sulla prima pagina di un giornale. L’appello venne fissato in pochi mesi e la corte di secondo grado ribaltò la sentenza, costringendo Golia a riassumere Davide. Una bella lezione di vita. Ma i colossi dell’economia non imparano mai: restano arroganti, aggressivi e ottusi.


Giorgio Ballario, http://www.mirorenzaglia.org/?p=9831

Resoconto della Conferenza sulla libera stampa e giornalismo partecipativo [Free Press Perugia, 17 Ottobre 2009]

CONVEGNI - Si è conclusa con successo l'iniziativa organizzata dell'associazione Tyr



Libera stampa e giornalismo partecipativo nella realtà locale




Diceva Pasolini: “La verità non sta più in un sogno ma in tanti sogni”, ma oggi di illusioni ne sono rimaste poche e allora; che fine ha fatto la verità? Mentre a Roma si scendeva nelle piazze per difendere la libertà di stampa, a Perugia (sabato 3 ottobre), l’Associazione culturale Tyr organizzava un incontro su “Libera stampa e giornalismo partecipativo nella realtà locale” dove intervenivano come relatori il nostro direttore Maurizio Vignaroli, Ettore Bertolini, direttore di Tifogrifo.com e Leonardo Varasano, giornalista e consigliere comunale del PDL. “Un incontro - per Fabio Polese, vicepresidente di Tyr - che nasce dalla constatazione di come l’informazione sia subordinata ai sistemi di potere” ma anche un modo alternativo di levare la protesta, a partire dal panorama editoriale locale. Se per Bertolini, la situazione andrebbe inquadrata in un generale ribaltamento di valori che annulla le identità, per Varasano è un problema d’insulto. O meglio, per dirla con le parole di Ostellino, di un giornalismo di fazione che dice troppo, quindi insulta, o di un giornalismo istituzionale che dice poco. Sarà un caso che Freedom House, organizzazione autonoma con sede negli Stati Uniti che promuovere la libertà nel mondo, declassi l’Italia da “paese libero” a “parzialmente libero”? E’ vero, da noi la libertà di stampa è costituzionalmente garantita, ma il problema è la concentrazione insolitamente alta della proprietà dei media rispetto allo standard europeo. “Per fortuna l’Europa – dice Bertolini - è intervenuta a difesa di Internet bloccando i tentativi di controllo proposti prima dal governo Prodi poi da Brunetta e Bonaiuti.” Eppure, le voci fuori dal coro, quelle del web tanto per intenderci, che per alcuni sono “paccottiglia” nei prossimi anni diventeranno un punto di riferimento. La realtà locale in Umbria è grigia. Lo denuncia Maurizio Vignaroli che pone una domanda: esiste per i giornalisti la possibilità di fare il proprio mestiere? Come può un giornale, di proprietà di un gruppo economico, fare opinione e critica quando il suo editore è indissolubilmente legato ai potentati politici? Le insidie cui è sottoposto il giornalista sono tante. Si va dalle pressioni politiche a quelle finanziarie, fino alle intimidazioni giudiziarie. Se i professionisti possono permettersi maggiori libertà, i pubblicisti no. Sono fuori da ogni tutela. Scatta così l’autocensura ma la cosa più grave è che neanche la Federazione Nazionale Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti riescono a fare nulla. Anzi, sembrano darsi la zappa sui piedi. Un esempio per tutti. L’accesso all’Albo dei Pubblicisti in Umbria è ora condizionato oltre che ai consueti due anni di collaborazioni retribuite ad un corso di 40 ore a pagamento tenuto dall’Ordine e un colloquio-esame. Una misura preventiva dato che la “trovata” entra in vigore solo dal 2010 e che dire dell’ingiustificato allarmismo che lancia l’Associazione Stampa Umbra, per la possibile l’apertura di un nuovo giornale? Invece di essere grati a chi, in un momento di crisi editoriale, vuole aumentare il pluralismo e forse i posti di lavoro, si minacciano indagini e verifiche. Strano paese il nostro, strano modo di vedere la libertà di stampa. Vien da pensare che chi predica bene razzola male…ma noi siamo sicuri di una cosa: il lettore saprà scegliere e valutare.



Maria Cristina Mancini

http://perugiafreepress.wordpress.com

sabato 17 ottobre 2009

LA TESSERA DEL TIFOSO E LE BANCHE.















Quando si parla della Tessera del Tifoso, si è sempre pensato che questa equivalga solamente ad una tessera di fidelizzazione del tifoso alla propria società calcistica e che lo stesso sostenitore, da essa, possa tranne innumerevoli vantaggi. Non è esattamente così, la Tessera del Tifoso è un altro strumento di controllo e di marketing a guadagno soprattutto degli istituti finanziari di maggiore importanza, come se, gli assurdi aiuti dello Stato alle banche, a discapito di piccole e medie imprese, non fossero già troppo. Il meccanismo è semplice e basta soffermarci su dei piccoli particolari per capire come gli istituti di credito possano trarne vantaggio. La Tessera del Tifoso, per quasi tutte le società calcistiche, ha un costo pari a dieci euro, nulla di strano se questa tessera fosse una semplice affiliazione al proprio club, peccato che, con la Tessera del Tifoso, si accetta, silenziosamente, una vera e propria carta di credito ricaricabile con annesso codice IBAN - International Bank Account Number – che costringerà il tifoso affiliato a degli innumerevoli movimenti bancari per l’acquisto dei tagliandi di ingresso alle partite e, inevitabilmente, verranno fatti sconti e agevolazioni sul materiale dei club per stuzzicare ancora di più il tifoso, diventato ormai cliente, ad usarla. Non a caso, nel sito dell’Osservatorio Nazionale delle Manifestazioni Sportive, sotto la dicitura ‘a cosa si ha diritto’ viene riportato: “E’ favorita la concessione di facilitazioni, privilegi e/o benefici da parte delle società (accumulo di punti, diritto di prelazione per l’acquisto di biglietti, convenzioni con altre società private come Ferrovie dello Stato, Autogrill, sponsor, ecc.). E ancora, ma questa volta sul sito della Lega Pro - ex serie Cper incentivare l’affiliazione si legge: “Ottenere una carta di pagamento ricaricabile Visa con un proprio IBAN (...) consente di  (...) trasferire in real time denaro da una carta all'altra (card to card) (...) Maggiori servizi e benefici concreti:  premi, merchandising, biglietti, convenzioni (...) La tessera rappresenta un borsellino elettronico che consente di fare operazioni di varia natura, acquisti online, prelevare contanti, trasferire denaro, ricaricare il telefonino”. Ci troveremo dunque davanti a centinaia di migliaia di movimenti a guadagno di società – banche comprese -,  che nulla hanno a che vedere con il calcio e, come se questo non bastasse, enti terzi, avranno migliaia di dati di potenziali clienti a cui potranno offrire i propri servizi. Basta fare due ricerche, anche su internet, e si scopre che Giancarlo Abete, presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, favorevole alla Tessera del Tifoso è il fratello di Luigi Abete, vicepresidente dell'Associazione Bancaria Italiana e presidente della banca romana BNL… Ma questa è un’altra storia! Nell’era della sicurezza gridata a gran voce e voluta ad ogni costo, tutto questo accade nel silenzio più totale dei mass media italiani che indicano come la tessera sia solamente un gran beneficio per il tifoso. Possiamo essere Uomini o continuare ad essere manichini di una società del consumo, sta a noi scegliere.









Articolo di Fabio Polese, Free Press Perugia 17 Ottobre 2009