Nel cosidetto sud-est asiatico, terra di conquista per abili affaristi occidentali, si sta combattendo dal 1948 (…sessant’anni…NdA…) in un territorio sottoposto al dispotico governo della giunta militare birmana, il Karen State, per l’autodeterminazione di un popolo: i Karen appunto. Come mi è stato ricordato più volte nella giungla da essi stessi, i Karen sono un popolo di abili guerrieri ma anche di grandi valori umani e spirituali oltre ad eccellenti contadini, molte volte i militari stessi coltivano la loro terra… ed è qui il punto centrale: questa terra è il simbolo della loro lotta per l’autodeterminazione, nel nome della tutela della loro identità e della loro tradizione.
I villaggi Karen vivono sotto continui attacchi e minacce da parte dell’esercito birmano, il quale se può massacra donne, bambini, anziani e contadini inermi; contro tutto questo ogni giorno l’esercito Karen (un esercito regolare e gerarchizzato, non bande di terroristi…NdA) svolge la sua funzione di difesa della popolazione, e i soldati combattono coraggiosamente (…e volontariamente… NdA) dedicando la vita e il suo eventuale sacrificio a ideali che da noi sembra siano scomparsi, quando non male interpretati.
Tra le cose che colpiscono sicuramente ci sono la naturalezza con cui affrontano la loro vita di tutti i giorni, la dignità con cui si rapportano a chi porta loro aiuto e l’orgoglio di essere quello che sono, un popolo in lotta per la libertà.
Per fortuna ci sono alcuni personaggi che si muovono senza voglia di protagonismo e senza ipocriti individualismi per dare una mano, ma anche loro lottano contro una situazione sempre controversa e in cui ultimamente si è imposto un protagonista non indifferente: gli Stati Uniti.
Il paese che non dà la cittadinanza nemmeno a pagarla oro (…o forse a pagarla si?) di colpo ha scoperto di avere un cuore… si, fatto di dollari però: ufficialmente le frontiere statunitensi sono aperte a tutti i Karen, nei campi profughi in territorio tailandese campeggiano poster con case all’americana, macchine all’americana… naturalmente tutto è possibile, ma pagando… cosi chi arriva negli USA, già indebitato per il biglietto aereo, si indebita anche per avere una casa, una macchina e cosi via nel vortice del consumismo… ma non finisce qui, perchè il vero fine di questa immigrazione è un’altro, perchè indebitati da quando scendono la scaletta dell’aereo i Karen vengono costretti a lavorare come schiavi nelle fabbriche che li aspettano a braccia aperte per sfruttarli come nuova forza lavoro, a basso costo ovviamente… quanto sono buoni…
Naturalmente a nessuno è venuto in mente che in questo modo oltretutto si sta cercando di sdradicare un popolo dalla sua terra, annacquandolo nel mondialismo globalizzato occidentale.
Non posso infine non scrivere che vedere quello che ho visto è stata un’esperienza particolare, e il mio pensiero non può certo fare a meno di notare quanto possiamo imparare da questo popolo che lotta unito per dare un futuro ai propri valori, alla propria terra, ai propri figli.
I villaggi Karen vivono sotto continui attacchi e minacce da parte dell’esercito birmano, il quale se può massacra donne, bambini, anziani e contadini inermi; contro tutto questo ogni giorno l’esercito Karen (un esercito regolare e gerarchizzato, non bande di terroristi…NdA) svolge la sua funzione di difesa della popolazione, e i soldati combattono coraggiosamente (…e volontariamente… NdA) dedicando la vita e il suo eventuale sacrificio a ideali che da noi sembra siano scomparsi, quando non male interpretati.
Tra le cose che colpiscono sicuramente ci sono la naturalezza con cui affrontano la loro vita di tutti i giorni, la dignità con cui si rapportano a chi porta loro aiuto e l’orgoglio di essere quello che sono, un popolo in lotta per la libertà.
Per fortuna ci sono alcuni personaggi che si muovono senza voglia di protagonismo e senza ipocriti individualismi per dare una mano, ma anche loro lottano contro una situazione sempre controversa e in cui ultimamente si è imposto un protagonista non indifferente: gli Stati Uniti.
Il paese che non dà la cittadinanza nemmeno a pagarla oro (…o forse a pagarla si?) di colpo ha scoperto di avere un cuore… si, fatto di dollari però: ufficialmente le frontiere statunitensi sono aperte a tutti i Karen, nei campi profughi in territorio tailandese campeggiano poster con case all’americana, macchine all’americana… naturalmente tutto è possibile, ma pagando… cosi chi arriva negli USA, già indebitato per il biglietto aereo, si indebita anche per avere una casa, una macchina e cosi via nel vortice del consumismo… ma non finisce qui, perchè il vero fine di questa immigrazione è un’altro, perchè indebitati da quando scendono la scaletta dell’aereo i Karen vengono costretti a lavorare come schiavi nelle fabbriche che li aspettano a braccia aperte per sfruttarli come nuova forza lavoro, a basso costo ovviamente… quanto sono buoni…
Naturalmente a nessuno è venuto in mente che in questo modo oltretutto si sta cercando di sdradicare un popolo dalla sua terra, annacquandolo nel mondialismo globalizzato occidentale.
Non posso infine non scrivere che vedere quello che ho visto è stata un’esperienza particolare, e il mio pensiero non può certo fare a meno di notare quanto possiamo imparare da questo popolo che lotta unito per dare un futuro ai propri valori, alla propria terra, ai propri figli.
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