Le storie di una nazione, di un popolo o del suo collante culturale sono spesso riassunte in un’immagine, in un nome che stimolino l’immaginario collettivo. In questo senso è universalmente riconosciuto che la letteratura italiana debba la sua nascita al genio di Dante Alighieri, che lo stato unitario di Germania sia nato grazie all’opera politica di Otto von Bismarck. Due esempi di importanti ed antiche nazioni europee, riunificate in tempi relativamente recenti sebbene i suoi due popoli calcassero dall’alba dei tempi quelle terre in cui si sono determinati i loro destini. Nazioni facenti parte oggi del prospero e democratico mondo occidentale, all’interno del quale è sovente – ed ostentatamente – inserito anche lo stato d’Israele, che però non deve la sua nascita né al genio di un artista né alla lungimiranza di uno statista. Almeno a detta di un suo ex Primo Ministro, fondatore e capo del movimento armato sionista Irgun (operante in Palestina con azioni terroristiche ai danni di arabi, prima e dopo la nascita d’Israele). Ecco cosa sostenne, per l’appunto, il nobel per la pace Begin nel 1951: “Senza Deir Yassin non ci sarebbe stato Israele”. Deir Yassin? Molti ignorano a cosa faccia riferimento questo nome composto da due parole e forse, ad intuito, lo riconducono ad una persona. Magari pure ad un filantropo o ad una sorta di romantico eroe nazionale che ebbe un ruolo determinante nella fondazione del “focolare ebraico” e che pertanto riceve i giusti onori da parte di un primo ministro d’Israele, insignito – lo ribadiamo – del premio nobel per la pace. Niente affatto. Deir Yassin non è il nome e cognome di una persona, bensì un luogo geografico in cui si consumò una delle pulizie etniche più efficaci – e dunque efferate – della storia recente dell’uomo. Deir Yassin è la pietra angolare di un grattacielo composto da una serie numerosissima di piani, ognuno dei quali corrisponde ad un crimine israeliano perpetrato ai danni della popolazione palestinese. Era il 9 aprile 1948 quando i destini di questo villaggio sito a pochi chilometri ad ovest di Gerusalemme mutarono improvvisamente, consentendo ad Israele di effettuare una fondamentale mossa nello scacchiere mediorientale, così da allargare i propri confini in modo arbitrario ed in barba al diritto internazionale. Il villaggio di Deir Yassin era allora posto sotto il Mandato Britannico, che avrebbe dovuto condurre alla nascita di due nazioni indipendenti e pacificamente conviventi in Palestina, come sancito da una famosa risoluzione Onu del novembre 1947: la n.181, una delle tante non rispettate da Israele. D’altronde l’obiettivo dell’esercito sionista consisteva proprio nel vanificare ogni risoluzione, stabilendo le proprie pretese esclusivistiche di “focolare ebraico” come unico diktat da imporre alla terra di Palestina. In questa prospettiva va letto il piano di impadronirsi del territorio di Gerusalemme, importante sia a livello simbolico che logistico, scacciando le truppe Onu ed eliminando gli abitanti arabi. Deir Yassin era un villaggio ubicato nella rotta individuata dai sionisti per procedere nella loro marcia verso Gerusalemme, pertanto era considerata di preminente importanza la sua conquista. Dell’incarico si fece interprete l’Irgun comandato da Begin, al quale garantì il proprio apporto anche la formazione terroristica ebraica Banda Stern, famigerata ed operante anche oltre confine mediorientale: ai suoi esponenti è da addebitare l’attentato all’ambasciata britannica a Roma nell’ottobre 1946. Per avere un’idea circa i propositi religiosi che animarono questo gruppo (il cui capo era un altro uomo che sarebbe divenuto anni più tardi primo ministro israeliano, ossia Yitzhak Shamir), basterebbe attingere elementi dagli articoli pubblicati sul loro giornale in quegli anni. Giusto qualche stralcio che, dati i toni e i contenuti, se fosse stato estratto dallo statuto di qualche movimento politico non ebraico, avrebbe fatto a più d’uno accapponare la pelle e gridare all’uso della forca: “Noi siamo decisamente lontani da esitazioni di ordine morale sui campi di battaglia nazionali. Noi vediamo davanti a noi il comando della Torah, il più alto insegnamento morale del mondo: Cancellate – fino alla distruzione. Noi siamo in particolare lontani da ogni sorta di esitazione nei confronti del nemico, la cui perversione morale è accettata da tutti”. Estremamente rispettosi di queste feroci scritture, a Deir Yassin essi cancellarono, insieme ai loro correligionari dell’Irgun comandati da Begin, fino alla distruzione, ogni traccia fisica e culturale del nemico. Deir Yassin è un incubo agghiacciante per i palestinesi che, come ogni incubo, avvenne nel cuore della notte. Sono, infatti, circa le 3.00 del mattino quando il commando della morte israeliano, favorito dal buio e dall’assenza degli uomini più forti poiché appena allontanatisi per raggiungere i luoghi di lavoro, fa il suo ingresso nel villaggio portando scompiglio. Viene fatta irruzione nelle case e vengono uccisi, senza esitazione, tutti gli arabi, nel sonno o svegliati dal fragore dovuto all’ingresso indesiderato di uomini armati. Dalle porte e dalle finestre vengono lanciate bombe incendiarie, la gente urlante per le strade – cioè quella che è riuscita a fuggire dal proprio focolare domestico divenuto una trappola di fuoco – viene giustiziata immediatamente o rastrellata per essere poi fucilata e seviziata in gruppo. L’intento è, palesemente, quello di operare una feroce quanto celere pulizia di ogni traccia palestinese a Deir Yassin, fisica e culturale: viene pertanto distrutto anche il cimitero, ci si accanisce sulle lapidi, livellate coi bulldozer, a tal punto da non lasciare quasi più traccia della sua esistenza. I corpi di gran parte delle vittime – spesso bruciati, straziati, mutilati, testimoni di un accanimento bestiale – vengono gettati in una cava; i superstiti vengono caricati su dei camion e, a quanti viene risparmiata la fucilazione immediata, non viene risparmiata l’umiliazione di essere trasportati per le vie di Gerusalemme Ovest a mo’ di trionfo di battaglia, in pieno stile partigiano durante la II guerra mondiale. La delegazione britannica a Gerusalemme, malgrado avesse assunto un atteggiamento connivente con gli assalitori sionisti, il 20 aprile 1948, undici giorni dopo i fatti, emette un comunicato destinato all’Onu. Dalla missiva emergono gli effetti devastanti dell’eccidio perpetrato a Deir Yassin: si parla di circa 250 vittime, trattasi di civili uccisi con estrema crudeltà; i prigionieri sono stati oggetto di soprusi e torture degradanti; l’operazione è stata sospesa soltanto il 13 aprile, con l’avvenuto possesso del villaggio da parte dell’Haganah (altra organizzazione sionista paramilitare); 150 corpi si trovano ammucchiati in una cava, mentre altri 50 presso una fortificazione, tutti lasciati in stato di abbandono e di putrefazione. Nello stesso anno del massacro, durante una riunione di gabinetto del governo israeliano, il Ministro dell’Agricoltura, tale Aharon Cizling ammetterà: “Adesso , anche gli ebrei si sono comportati come nazisti e tutta la mia anima ne è scossa. Ovviamente dobbiamo nascondere questi fatti al pubblico. Ma devono essere indagati”. Tuttavia, a differenza di quanto avvenuto con i nazisti, ai loro capi, anziché un Processo di Norimberga ed un’unanime condanna pubblica, verranno riconosciuti premi nobel per la pace e posti di comando nel governo d’Israele. E’ bene ricordare che Deir Yassin era stato fino a quel momento un villaggio pacifico, dal quale mai si erano registrati attacchi verso la popolazione ebraica. Del resto, l’obiettivo dell’offensiva sionista non era certo quello di stanare presunti terroristi, bensì quello di impadronirsi di un’altra fetta di quella terra che intendevano ieri ed intendono oggi occupare totalmente, a discapito degli abitanti di etnia araba. Attualmente, al posto del villaggio di Deir Yassin sorge una località edificata dagli israeliani per far posto a quanti, in quegli anni, ebrei ortodossi provenienti dall’est Europa si trasferirono nella loro terra promessa. Oggi è nota semplicemente come “area tra Givat Shaul e l’insediamento di Har Nof”, considerata una zona inglobata nella periferia urbana di Gerusalemme. Deir Yassin, dicevamo, è solo uno e non il più violento – forse il più significativo in termini storici perché sancì la vittoria ebraica della guerra civile per il possesso della Palestina e fu il preludio della nascita, poche settimane dopo, dello stato d’Israele – dei tanti genocidi perpetrati verso gli arabi. Gli effetti di questi genocidi sono riassumibili dalle cifre: quattrocento rasure al suolo, tra villaggi e città, settecentomila espulsioni di civili per far posto, appunto, a cittadini di comprovata appartenenza al “popolo eletto”. Non ci stupisce, pertanto, l’avvenuta demolizione da parte dei bulldozer israeliani a Gerusalemme est dell’Hotel Shepherd, durante il mese scorso, per far posto a una ventina di appartamenti per coloni illegali ebrei. L’Hotel Shepherd, costruito nel ’30 e storica residenza del celebre Muftì Husseini, era considerato un simbolo della loro identità dai palestinesi. La distruzione di questo albergo va così interpretata come l’ennesimo stadio di una pulizia etnica che riguarda non solo gli esseri umani, ma anche i suoi riferimenti culturali e i suoi simboli. Stadio che ha generato la reazione decisa da parte dell’ANP, che ha parlato di gesto inconsulto di Israele che vanifica tutti gli sforzi tesi ai negoziati di pace. Pace, parola alquanto inadeguata se applicata a coloro i quali fanno di Deir Yassin – non un letterato né un diplomatico, come abbiamo visto, bensì un genocidio di centinaia d’innocenti – la propria colonna portante, il proprio orgoglio nazionale. E allora, non c’è da stupirsi se la costruzione di insediamenti di coloni ebraici continua ininterrottamente nonostante la (almeno apparente) contrarietà internazionale, se gli attacchi su Gaza e in Cisgiordania sono all’ordine del giorno malgrado la condanna mediatica provocata da Piombo Fuso due anni fa. La volontà d’Israele è evidente, basterebbe solo togliersi dagli occhi il velo ingannevole dell’antisemitismo per vederla finalmente in tutta la sua drammaticità.
http://associazioneculturalezenit.wordpress.com/2011/02/25/senza-deir-yassin/
venerdì 25 febbraio 2011
“Senza Deir Yassin…”
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento