mercoledì 23 febbraio 2011

Il mercante di Venezia.


Lo stile e l’eleganza dell’opera di William Shakespeare rivivono grazie all’intuizione del regista Michael Radford e all’interpretazione di un eccellente cast di attori. Il merito di questa pellicola è quello di far tuffare lo spettatore in scenari storici, sociali, giuridici che appartengono ad un tempo passato e di riproporne alcune particolari contingenze, ma al tempo stesso di stimolare riflessioni intorno alla vita tutt’altro che obsolete. La commedia si svolge a cavallo tra sedicesimo e diciassettesimo secolo a Venezia, città che a quei tempi, in cui godeva dell’apporto datole dal mare che la sovrasta sfruttandolo come rotta commerciale, viveva fasti dei quali oggi resta solo un ricordo sbiadito che riecheggia lungo le calli e fa sospirare turisti dall’immaginazione fervida. La capitale della Repubblica Serenissima è in quei tempi anche capitale della frenesia mercantile, caratteristica che la rende proficuo approdo di avventurieri avvezzi al danaro. Nella Venezia del ‘500 non è affatto inusuale esser risucchiati dal trambusto di un affollato mercato in cui si sovrappongono le urla dei venditori e gli odori di spezie esotiche, ove è d’uopo incrociare facce straniere e poter constatare quanto il richiamo dei soldi riesca a muovere uomini in lunghi viaggi e ad impegnarli in estenuanti contrattazioni. Laddove regna l’oro e si sviluppano questi caotici scenari di promiscuità proliferano le brame materialistiche, che incatenano l’uomo e lo conducono verso quei disdicevoli nidi di serpi che praticano l’usura. E’ in simili contesti che può prevalere non il più saggio, non il più virtuoso, bensì il più scaltro, il più avido, colui che non conosce altra luce che non sia il luccichio della moneta sonante. Imbattersi nella voracità di un prestasoldi ad interesse è la prassi per ciascuno abbia speso ingenti somme in investimenti e ne abbia fatto la propria preoccupazione principale, così da lasciarsi coinvolgere dall’atmosfera bieca che aleggia tra le acque di Venezia. Eppure, in mezzo a tanto peccato, perdura ancora una stilla di purezza che fa di uomini come l’Antonio descrittoci da Shakespeare un esempio di virtù e di osservanza cristiana. Uomini che, seppur coinvolti in affari importanti, rifiutano di rivolgersi all’usuraio, a costo di veder le proprie attività commerciali limitate se non addirittura compromesse. Il disprezzo che nutre Antonio nei riguardi di quella categoria di impostori è noto a tutta Venezia, nulla potrebbe mai farlo vacillare e portarlo a tradire la propria coerenza. Nulla che risponda a personali esigenze economiche, per l’esattezza. Sì, perché uomini di siffatta foggia conoscono il valore dell’amicizia e, pur di vivificarlo, sono disposti a deludere le proprie abitudini. Proviene infatti dalla richiesta di un suo giovane e caro amico, Bassanio, la molla che spinge Antonio a rivolgersi ai servigi dell’ebreo Shylock, dedito all’usura. Bassanio, ragazzo pieno di entusiasmo e brio tutti giovanili, desidera candidarsi come pretendente della bella e facoltosa Porzia, ereditiera dell’isola dalmata di Belmonte. Al fine di poter esercitare seriamente la propria candidatura tra numerosi e potenti pretendenti che raggiungono Belmonte da ogni latitudine, Bassanio stima in 3.000 ducati la cifra necessaria da investire nel corteggiamento. Chiede un prestito al fidatissimo e più maturo amico Antonio, che però – nonostante conceda spesso prestiti gratuiti al fine di intralciare la pratica usuraia facendo abbassare i tassi d’interesse di tutta Venezia – non può permettersi di accordarglielo in quanto i suoi averi sono interamente investiti in traffici commerciali. E’ così che i due amici si recano da Shylock, il quale presta i 3.000 ducati a Bassanio con Antonio come garante. L’ebreo però, forte della sua posizione che lo vede, in via del tutto straordinaria, creditore rispetto all’odiato cristiano, vuole concedersi una sadica pretesa: in caso di mancato pagamento gli dovrà esser corrisposta una libbra di carne di Antonio. Nonostante le forti resistenze di Bassanio che teme di minare la vita dell’amico per le sue velleità di corteggiatore, Antonio accetta le condizioni di Shylock e il patto viene siglato in questi termini: entro tre mesi la somma più il tasso d’interesse dovranno esser restituiti all’usuraio. Bassanio può dunque usare l’ingente somma per recarsi con degne credenziali alla corte della bionda Porzia e sottoporsi ad un indovinello voluto dal defunto padre per sancire il fortunato vincitore della galante contesa: scegliere, tra tre scrigni di tre materiali diversi arrecanti criptiche frasi che lambiscono il tema dell’amore, quello contenente il ritratto di Porzia. Bassanio, spinto da acute riflessioni che corrispondono evidentemente a quelle del padre di Porzia che architettò l’enigma, sceglie di aprire lo scrigno giusto e ciò gli vale l’ottenimento di quanto agognato. Intanto tutte le navi di Antonio, come colpite da un comune destino di sciagura che si abbatte sul loro proprietario, naufragano e gettano verso l’epilogo più drammatico gli accordi economici instaurati con Shylock, ossia verso la perversa ricompensa quantificata in carne di cristiano. Ma la ormai scontata inadempienza di Antonio che fa fregare le mani all’ebreo fa il paio con un episodio che, al contrario, getta Shylock nella disperazione: sua figlia Jessica, sfiancata dall’imposizione paterna che la relega tra quattro mura in attesa che un ricco ebreo ne chieda la mano e logorata nella sua gioventù dall’atmosfera spilorcia che regna in casa, fugge con un giovane veneziano di nome Lorenzo e lo sposa in una chiesa lontana dalla minaccia del padre, non senza aver portato via con sé cospicue ricchezze. Due differenti espressioni di avvilimento insidiano l’umore dei due uomini che presto si troveranno davanti la corte del Doge pronta a risolvere la controversia: la consapevolezza di esser presto destinato ad abbandonare la vita terrena in un modo estremamente efferato e dovuto alla cupidigia vendicativa è il tarlo che assilla il cristiano Antonio, la perdita di una immensa somma di gioielli e soldi, l’affrancamento della sua unica figlia che ha scelto l’amore sincero per un ragazzo e la via della conversione al Cristianesimo i tormenti dell’ebreo Shylock. Una lettera, vergata con parole cariche di un affetto smisurato e di una dignità che solo chi è fermamente convinto che alcuni valori dei quali è degna interprete l’amicizia possano addirittura trascendere l’importanza della propria vita, giunge a Belmonte all’indirizzo di Bassanio da parte di Antonio, e crea un solco nel suo cuore e in quello della sua amata Porzia; solco profondo a tal punto da spingere quest’ultima a concedere il doppio della somma che sarebbe dovuta esser riconosciuta a Shylock pur di evitare ad Antonio l’atroce destino, solco profondo a tal punto da muovere Bassanio immediatamente presso la corte di Venezia per far desistere l’ebreo dal suo macabro desiderio proponendogli cotanto in cambio. Bassanio giunge giusto in tempo in tribunale, in mezzo ai due antagonisti e al cospetto del Doge che sta per emettere la sentenza che consentirà a Shylock di far valere i propri diritti di fronte alla legge: squartare il corpo di Antonio come si trattasse di quello di un capretto. Bassanio è però convinto che la somma di 6.000 ducati riesca ad estinguere il debito, tuttavia l’odio dell’ebreo per i cristiani e la sete di vendetta che cova nel suo animo sono più forti della concupiscenza: Shylock reclama la sua libbra di carne cristiana che gli spetta di diritto stando agli accordi; lo fa a gran voce, lo fa con un rancore che è accresciuto dalla fuga di sua figlia e dal vilipendio quotidiano a cui è sottoposto un usuraio ebreo in una città del diciassettesimo secolo. Egli ha finalmente l’occasione di riscattarsi da una condizione sociale miserabile a cui è condannato chi non conosce altra gratificazione che non provenga dall’accumulo di denaro. La sua implacabile affermazione non poteva aver sede migliore che la corte di giustizia di quello Stato presieduto da odiati cristiani. Affila la spada che gli concederà questo macabro sollievo con solerzia Shylock, quando l’improvviso arrivo di un tal Baldassarre – dottore in legge proveniente da Roma, ma in realtà Porzia sotto mentite spoglie – sconvolge l’esito scontato della sentenza. Baldassarre tenta in un primo momento di far desistere Shylock invitandolo alla misericordia – questa sconosciuta nell’animo dell’usuraio! – ed accettando i 6.000 ducati offertigli da Bassanio. L’invito è vano e Baldassarre, a questo punto, finge di essere d’accordo con Shylock e cita la legge come supremo giudice della contesa, salvo però fare una precisazione fondamentale: se Shylock dovesse versare una sola goccia di sangue cristiano, nell’atto di squartare, i suoi beni sarebbero divisi tra Antonio e lo stato, e l’ebreo condannato a morte. Il cavillo giudiziario fa trasalire Shylock che già pregustava la propria vendetta, gettandolo poi nella più oscura disperazione quando Antonio propone una nuova condizione: sostituire la condanna a morte con la conversione al Cristianesimo. Il provvidenziale intervento di Porzia travestita da avvocato salva la vita ad Antonio, impedisce uno spettacolo di disumanità che avrebbe squalificato l’onorabilità del Doge e della Serenissima tutta ed umilia, infine, il povero Shylock, costretto a rinunciare ai suoi diritti da contratto pur di non perdere i propri denari, la propria vita, la propria identità di ebreo. Shylock esce di scena sconfitto e solo, come è da inevitabile destino per chiunque serba in cuor suo soltanto avarizia, inclinazione al complotto ed inclemenza; Antonio ha salva la vita e riesce ad affermare, attraverso il suo gesto di coraggio che l’ha condotto a pochi centimetri da una lunga lama affilata che gli avrebbe dilaniato il corpo, i valori supremi dell’amicizia e della parola data che si manifestano mediante il sacrificio. Il genio di Shakespeare, dunque, propone tuttora attualissimi spunti di riflessione intorno a temi esistenziali e ne dà un’interpretazione che esprime chiaramente quelle che furono la coscienza e la sensibilità del poeta e drammaturgo inglese.



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