giovedì 30 luglio 2009

BOICOTTA COCA-COLA.

La multinazionale nordamericana persegue in Colombia una politica di totale precarizzazione della manodopera, attraverso l'utilizzo di lavoratori temporanei, i quali vengono continuamente sostituiti e sono costretti ad associarsi in cooperative per essere pagati secondo il lavoro realizzato.

Con questo sistema la retribuzione può scendere al di sotto del salario minimo previsto dalla legge, che oggi è di 375.000 Pesos, circa 125 Euro al mese. Il sindacato chiede che questo tipo di flessibilità finisca, che tutti i lavoratori abbiano contratti stabili e che i salari permettano ai lavoratori di vivere bene.

Il Sinaltrainal chiede inoltre di fermare la politica di delocalizzazione e chiusura degli impianti (ne sono stati chiusi undici), con la soppressione di fabbriche che tradizionalmente hanno operato in Colombia, perchè causano disoccupazione e impoverimento delle regioni dove storicamente vi è questa presenza. Il sindacato esige che questi impianti rimangano aperti, che i lavoratori che stavano lì continuino a lavorare, che si mantengano quelle strutture anche perché i municipi e le regioni dove si trovano possano continuare ad avere delle entrate attraverso le tasse.

Altri fatti gravi riguardano la persecuzione e l'assassinio dei lavoratori che si iscrivono al Sindacato, la violazione delle libertà sindacali e gli innumerevoli casi di sequestri, intimidazioni, torture e incarcerazioni arbitrarie che spesso avvengono nel mezzo di trattative e negoziazioni con l'impresa.

Per portare avanti la massimizzazione dei profitti e la politica di contenimento dei costi attraverso la precarizzazione dei lavoratori, è necessario annientare il sindacato che a questa politica si oppone con forza.

E’ una politica violentissima che si prolunga dal 1987 .

Nel paese è in corso uno stato di guerra non dichiarata che gruppi paramilitari chiamati AUC (Autodifese Unite di Colombia),appoggiati dall’Esercito regolare e dalla polizia e coperti dal Governo (in seguito ai crimini nessuno viene processato) portano avanti contro tutte le organizzazioni sindacali, politiche, indigene e contadine colpevoli di non condividere la politica neoliberista del Governo di Alvaro Uribe Velez. Da circa 30 anni esiste un’alleanza tra proprietari terrieri, industriali, banchieri, grandi burocrati dello Stato ,partiti politici tradizionali, militari, membri delle forze di sicurezza dello Stato e nordamericani.

Questi soggetti, uniti ai narcotrafficanti, hanno disegnato un progetto di aggressione contro la popolazione su territorio nazionale. Agiscono con la guerra selettiva: assassinio dei dirigenti politici e sociali di sinistra e generalizzazione del terrore con massacri senza nessuna motivazione apparente che servono a fare in modo che la popolazione,i sindacati, i contadini non si organizzino e non protestino contro l’operato dello Stato e contro il neoliberismo (precarizzazione del rapporto di lavoro, smantellamento dello Stato Sociale), che in Colombia ha prodotto un livello di povertà estrema. Il paramilitarismo opera con impunità assoluta, colpisce in accordo con gli ordini impartiti dai capi politici: le oligarchie, le multinazionali e i capi militari. I paramilitari compiono una funzione antisovversiva, in linea con la dottrina per la sicurezza nazionale applicata dai nordamericani: distruggere qualsiasi base sociale e qualsiasi legame possa avere la popolazione con le forze insorgenti della Colombia per impedire che abbiano un appoggio politico e sociale.

L'obiettivo è quello di controllare le zone del territorio dove forti sono gli interessi del grande capitale straniero e di garantire la totale libertà d'azione delle multinazionali (perchè possano attuare una politica di privatizzazione). Per questi motivi sono stati uccisi 4.000 sindacalisti negli ultimi 18 anni in questo paese.Altri sono dovuti fuggire o sono stati incarcerati e torturati. Ci sono state pressioni anche sulle famiglie dei dirigenti.

Il Sindacato è una delle più importanti organizzazioni che cercano di contrastare tali ingiustizie. Per restringerne la possibilità di rappresentanza la Coca-cola utilizza lavoratori interinali, che in Colombia non godono di nessuna tutela, neanche del diritto al salario minimo.

Il Sindacato lotta per far finire questa persecuzione e perchè la Coca-cola smetta di violare il diritto a sindacalizzarsi: i lavoratori non sindacalizzati che hanno un contratto a tempo indeterminato vengono obbligati a rinunciare alle convenzioni collettive di lavoro e vengono isolati. Se un lavoratore parla con un lavoratore sindacalizzato l’impresa gli sospende il contratto. La Coca Cola deve rispettare le normative minime sul lavoro in vigore nel pae-se, sancite dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Deve rispettare le convenzioni collettive, smettere di operare in modo arbitrario violando tutti i passaggi determinati dalla legge colombiana e infrangendo tutti i prin-cipi stabiliti a livello internazionale sulla libertà sindacale. Non deve aggirare il riconoscimento dei diritti minimi dei lavoratori con l'assunzione di manodopera attraverso aziende di intermediazione.

Per questa politica di repressione, presso il tribunale di Atlanta, USA, il SINALTRAINAL ha depositato una richiesta di incriminazione contro la Coca-Cola, per violazione dei diritti umani.

Questi fatti hanno spinto il Sindacato colombiano a lanciare una campagna per il boicottaggio di tutti i prodotti della Coca Cola Company (espulsione dai centri educativi, dalle scuole, dalle università, dagli spazi pub-blici, sportivi, culturali e sociali) alla quale hanno aderito centinaia di associazioni di tutto il mondo.

mercoledì 29 luglio 2009

Dovia di Predappio, 29 Luglio 1883.





(Gerardo Dottori, 1934, "Il Duce")

Auguri Capitano!

Il capitano Erik Priebke compie novantasei anni.



In spregio alla giustizia e a ogni regola giuridica è stato processato tre volte per lo stesso reato, quando, come ben si sa, anche due volte sarebbe illegale.



Per fortissime pressioni esterne Priebke è stato condannato all'ergastolo al suo terzo processo. Accusato per le Fosse Ardeatine venne considerato colpevole di eccesso in decimazione. Secondo le leggi di guerra, per ogni assassinato, in un atto terroristico o di guerriglia da parte di nemici non in divisa, sono passabili per le armi dieci ostaggi. Alle Fosse Ardeatine vennero fucilati 335 ostaggi (perlopiù legati alla resistenza filo-inglese; tant'è che alcuni storici hanno ipotizzato che la rappresaglia fu pianificata appositamente dai comunisti e dai resistenti filo-americani). Ciò avvenne in risposta alla strage di via Rasella in cui erano stati assassinati 33 soldati tedeschi della sussistenza.Il tenente colonnello Herbert Kapller, che comandava la rappresaglia e cui spettava il computo dei decimandi, fucilò 335 prigionieri; fu condannato all'ergastolo per i cinque in eccesso. Nessuno ha calcolato però che, insieme ai 33 soldati nostri alleati la bomba stroncò 3 civili italiani, tra cui un bambino.



In linea di principio, dunque, il conto di Kappler non era sbagliato per eccesso di cinque ma per difetto di venticinque. E' brutto, sempre, parlare di numeri in queste circostanze, ma è la struttura dell'accusa e del processo che ci obbligano a farlo. Un processo che non è stato mosso sulla rappresaglia in quanto tale ma, appunto, sul numero.



Ogni considerazione sulla decimazione in sé sarebbe qui fuori posto perché i processi si fanno sulla base delle leggi di guerra, che o sono state violate o no, e non su quello che individualmente, in poltrona, si possa pensare a proposito di dette leggi di guerra.



E' una forzatura e al tempo stesso un'ignobile mortificazione dei tre civili massacrati in via Rasella, stabilire che il tenente colonnello abbia ecceduto nel computo degli ostaggi. La stessa condanna di Kappler perciò la si deve solo al monito antico “vae victis” e non a una sentenza equa.



Ma qualsiasi cosa si pensi in merito alla conta del tenente colonnello Kappler, è assolutamente demenziale, e non solo immensamente arrogante e oceanicamente prepotente, estendere la responsabilità ai suoi subalterni. Priebke è quindi in ogni caso un innocente prigioniero. Un innocente contro il quale non si è esitato a forzare più volte il codice giuridico e calpestarne i fondamenti di civiltà.



Qualcuno volle così.



Il Capitano, catturato da quindici anni (ottantunenne!) da allora non ha cessato di dare lezioni di stile e di dignità non solo ai suoi sequestratori ma anche a chi lo ama.



E' persona troppo grande per contare di sopravvivere ai suoi persecutori e assistere al declino fisico e alla naturale caducità delle loro vite avvelenate. E' troppo grande, egli. Ma noi siamo più piccoli.


Di Gabriele Adinolfi, tratto da www.noreporter.org

La riscossa Karen.

Il comandante Nerdah: “la simbologia del fascio c'insegna che se siamo uniti intorno a un'idea superiore nessuno, può sconfiggerci" .


Sono almeno un centinaio i miliziani del DKBA che nelle scorse settimane hanno raggiunto le posizioni dell'esercito di liberazione Karen consegnando le proprie armi ai cugini contro i quali fino a pochi giorni fa sparavano su ordine della giunta birmana.


Il numero dei disertori è in costante aumento, e soltanto un capillare controllo da parte delle truppe birmane nei confronti di quelli che venivano considerati alleati, riesce per il momento a contenere il fenomeno.


Proprio ieri altri 15 soldati del Democratic Karen Buddhist Army, la formazione che dal 1995 combatte agli ordini dei Generali di Rangoon, hanno abbandonato le proprie linee per presentarsi agli uomini della 6a Brigata del KNLA, nella zona di Boe Way Hta, dichiarando di non voler più fare i cani da guardia del regime. “I Birmani ci hanno ingannati” ha dichiarato un comandante del DKBA “ci avevano promesso autonomia e pace in cambio di collaborazione. Invece per i Karen c'è soltanto lavoro sporco contro la nostra gente. E ora vorrebbero trasformarci in guardie di frontiera ai loro ordini”.


Pare che il diffuso malcontento che ha colpito ultimamente le truppe del DKBA sia da attribuire in buona parte alla decisione di Rangoon di trasformare le milizie etniche di collaborazionisti in veri reparti armati per il controllo dei confini orientali, inquadrandole organicamente nelle forze armate birmane. Questo passo farebbe di fatto scomparire anche quel minimo di autonomia formale di cui le milizie godevano nei confronti dei comandi militari birmani.


Le defezioni sono un avvenimento atteso dai patrioti Karen. Alcuni comandanti dell'Esercito di Liberazione hanno lavorato per anni all'ipotesi di riunificazione dei gruppi armati per fare fronte comune contro le truppe di occupazione birmane. Il Colonnello Nerdah Mya è stato tra i più attivi nel tentativo di far ritrovare unità ai Karen, e ricordando l'iconografia incontrata più volte durante il suo viaggio in Italia del novembre 2007 ha dichiarato: “La simbologia del fascio ci insegna che se siamo uniti attorno ad una idea superiore, nessuno può sconfiggerci. Al contrario, se i birmani riescono con l'inganno a dividere i Karen, rimarremo dei ramoscelli facili da spezzare. Ci aspettiamo che i nostri fratelli abbandonino pensieri insani di tornaconto personale, e accorrano numerosi a difendere la causa del popolo Karen”.


In questi giorni, al comando di Nerdah Mya, il 201° e il 103° battaglione del KNLA stanno riprendendo il controllo di parti del distretto di Dooplaya, investito e travolto dalle offensive birmane iniziate nel giugno dello scorso anno.


www.comunitapopoli.org

martedì 28 luglio 2009

Via Ricci alla Vetta Orientale del Corno Grande.













Corno Grande Vetta Orientale m. 2908 per la via Enrico Ricci, dislivello m. 470, difficoltà F. (ore 2.30).



Dal rifugio Franchetti m. 2433 si prende il sentiero a mezza costa che taglia il pendio sotto il Ghiacciaio del Calderone, portandosi ai piedi di una grande rampa rocciosa ben visibile dal rifugio. Si risale con facile arrampicata questa rampa raggiungendo in alto il filo di cresta (cresta Nord della Vetta Orientale). Da questo punto ci si affaccia su di un vertiginoso abisso che sprofonda per quasi duemila metri fino ai casolari di Casale San Nicola.
Tenendosi a destra del filo di cresta si supera un risalto roccioso (corda fissa), quindi ci si sposta ancora a destra su rocce rotte (corde fisse) e superato un vasto anfiteatro roccioso in direzione sud si tocca di nuovo la cresta, un po' a sinistra dell'Anticima a m. 2.500 circa: da questo punto è splendida la vista di profilo sul Paretone. Si piega a destra seguendo il facile filo di cresta si passa a monte dell'Anticima m. 2.700 e ci si affaccia sul Ghiacciaio del Calderone, ricongiungendosi con la via normale che dal Ghiacciaio sale. Seguendo il sentiero e superando i piccoli salti rocciosi della cresta terminale si tocca la Vetta Orientale m. 2.908.




(Dalla guida Abruzzo con lo zaino di Adriano Barnes, ediz. Mediterranee)

I Talebani capiscono l'inglese.

La Folgore in prima linea; in quale guerra nella guerra?



             In Afghanistan ancora fuoco sulla Folgore. La “missione di pace “ laggiù ha, ovviamente, una motivazione ufficiale ma fasulla e altre reali ma inconfessate.



 



I motivi del conflitto



 



Per le principali potenze presidiare la regione ha un ruolo strategico, sia per la posizione che riveste sullo scacchiere che per la presenza nel suo territorio dei giacimenti di gas (che si trovano in enorme quantità anche nell'adiacente Turkmenistan non lontano da Farah ove è di stanza la Folgore). Ma soprattutto il Paese è appetibile per il papavero da oppio da cui si ricava l'eroina. L'opinione pubblica lo ignora ma qualunque osservatore appena appena documentato sa che l'economia mondiale si fonda in gran parte sul narco-business, inteso come speculazioni finanziarie ed investimenti e non al semplice stadio di traffico sui marciapiedi. Da oltre trent'anni il narcodollaro è asse portante del sistema globale, inferiore come volume, forse, solo al petrolio e da decenni le diverse potenze si contendono il controllo delle rotte e impongono sacche di transito dei capitali. In quest'ottica va inquadrata e valutata la priorità della questione afgana.



Come in ogni conflitto che si rispetti, diverse sono le guerre che si combattono in contemporanea. Una di queste vede contrapposti gli alleati di uno schieramento ai combattenti dell'altro; una seconda, intestina e non ufficializzata, è quella che impegna i grandi gruppi di speculazione, di potere, di sfruttamento ed è, sempre, trasversale e fondata sul doppiogiochismo; un'ultima è quella che ogni singolo alleato combatte contro gli altri.



Sono diverse guerre parallele che hanno vita sotto l'ombrello della “missione di pace”.



 



Guerre parallele



 



Proviamo a ricapitolare le diverse ragioni del conflitto afgano.



La prima, che accomuna tutti i centri di potere finanziario mondiale, è la produzione dell'oppio. Affinché questa non scemi e, pur non calando, non faccia diminuire i costi, è essenziale che la zona sia destabilizzata. E' una costante strategica della politica delle multinazionali. Nel primo quaderno di Polaris “La geopolitica della droga e del petrolio” lo abbiamo spiegato in modo articolato.



Ci sono poi le motivazioni geostrategiche. Queste contrappongono, almeno a prima vista, le mire anglo-israelo-americane alle russe. I cinesi, dal canto loro, hanno piani compatibili con gli uni e con gli altri e allo stesso tempo completamente diversi dai loro.



Il mosaico di partite a scacchi che ne consegue dà adito ad altre sfide parallele con tanto di regolamenti di conti. Inglesi, israeliani e americani hanno, infatti, politiche in buona parte competitive tra loro e si contendono zone d'influenza e porzioni di potenza. Con l'andare del tempo proprio gli inglesi, cioè quelli che da un secolo e mezzo esercitano la loro influenza sulla regione, stanno perdendo terreno; sia nei confronti degli israeliani che in quelli degli americani e, in ultimo, anche dell'Iran; questo mentre altrove riculano anche nei riguardi di Germania e Francia.



Gli inglesi arretrano ma sono tenaci e s'incattiviscono.



 



Italiani allo scoperto



 



Ultimamente i nostri soldati sono sempre più sulla linea del fuoco. Possiamo sempre accogliere la tesi ufficiale che addebita questo nuovo scenario all'escalation determinata dalle imminenti elezioni afgane e quindi considerarlo un evento contingente.



C'è però un'altra chiave di lettura possibile, ed è quella che, improvvisamente, anche il nostro contingente sia considerato strategico. Non tanto per il suo ruolo specifico quanto perché l'Italia è tornata in guerra. Non in quella propagandistica “tra Occidente e Islam” e neppure in quella mafiosa per il dominio dell'Afghanistan, in cui continuiamo a essere comparse. Ma in guerra contro l'Inghilterra, o meglio da parte dell'Inghilterra, perché la ripresa della politica mediterranea sulla falsariga craxiana ha eccitato il nemico storico sul Mare Nostrum; in guerra contro gli Usa e Israele, o meglio da parte di Usa e Israele, perché il partito dell'Eni ha scelto di gradire il campo della Russia più del gasdotto afghano-iranico-turco che Tel Aviv e Washington vorrebbero imporre e sul quale è tornato a porre l'accento Biden nella sua visita guerrafondaia in Georgia.



Ci hanno allora dichiarato guerra? In modo non convenzionale, non totale, magari aritmico; forse più corretto sarebbe dire che ci troviamo in uno stato di insidiosa ostilità prolungata che con intensità e interesse diversi viene animato dalle tre capitali del “partito atlantico”.



Ed ecco che, per la prima volta da quando nel 2001 iniziò la spedizione per l'oppio, i nostri soldati si ritrovano seriamente invischiati in una guerra obliqua di tutti contro tutti.



 



I talebani parlano l'inglese



 



Definire con certezza la paternità di mine, bombe e autobombe è impossibile, ragion per cui non si può mai dare per scontata la matrice esatta di molti degli attentati contro i militari; se vogliamo però escludere l'intervento diretto di intelligence “alleate” possiamo restare in una lettura lineare, quantomeno in apparenza; una lettura che non ne esclude però una seconda più sensata e più complessa.



Non siamo in grado di definire la portata delle infiltrazioni e delle influenze che questi o quei clan d'Afghanistan possono subire e accettare; sappiamo però dagli innumerevoli precedenti che hanno sempre saputo neutralizzarle o giocarle a proprio favore. Non vogliamo quindi assolutamente affermare che i combattenti afgani siano manovrati a bacchetta; sosteniamo invece che sanno leggere le situazioni e che sono in grado di cogliere l'attimo propizio, magari concentrandosi su chi è oggetto di attenzioni distruttive da parte di alleati potenti. Certe sollecitazioni non possono non capirle al volo e se le ritengono di loro interesse non si vede perché mai non dovrebbero rispondervi fulmineamente: d'altronde una delle prime qualità di chi combatte una guerra di guerriglia è quella di concentrarsi sugli obiettivi nel momento in cui sono più vulnerabili o meno difesi.



Ultimamente la Cia per spiegare gli scarsi successi nella zona ha confessato di aver trovato pochissimi agenti in grado di parlare pashtun. Ma i talebani l'inglese lo parlano benissimo, e si vede.



Vediamo d'inziare a capirlo anche noi e possibilmente d'impartire a nostra volta qualche lezione a chi a El Alamein era dall'altra parte e non lo ha mai dimenticato.



Di Gabriele Adinolfi, da Noreporter

venerdì 24 luglio 2009

A come affari.

I media sono tornati a mettere in prima pagina notizie relative alla famosa influenza tipo A, conosciuta anche come H1N1 oppure, assai impropriamente come influenza suina.

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha già dichiarato la pandemia ed individuato in Usa, Messico e Gran Bretagna le zone attualmente a maggior rischio ed in tutto il mondo cresce la paura di contagio.

Il ricordo, ormai lontano e forse per questo anche un po’ mitizzato, della pandemia causata dalla terribile “Spagnola” è forse l’origine di tanto diffuso terrore. Quell’epidemia causò più decessi della Grande Guerra, appena conclusa, ma le condizioni sono completamente mutate da allora e tanta paura è totalmente ingiustificata.

Nel 19918-20 l’Europa era debilitata dalla guerra e la medicina non poteva allora contare sui farmaci antivirali, ma soprattutto sugli antibiotici e la maggior parte delle morti fu da attribuire alle complicanze polmonari che l’influenza favoriva. Inoltre la lenta avanzata del virus favorì una sua modificazione, rendendolo più resistente alle cure.

Oggi i trasporti aerei fanno viaggiare anche i virus ad alta velocità e questo certo impedisce ogni possibilità di contenimento, ma ugualmente non concede al virus troppo tempo per modificarsi ed adattarsi.

In pratica stiamo parlando di una qualsiasi influenza stagionale. Nel Regno Unito, appunto tra le nazioni più colpite, ci sono finora stati solo 29 morti (e 53 persone in terapia intensiva) ma il ministero della Salute ha riferito di 55.000 già nuovi contagi e più di 650 persone ricoverate in ospedale. L’H1N1 potrebbe uccidere fino a 65mila persone in GB (ma la stima più accreditata parla di 19mila morti). Cifre inquietanti, ma purtroppo simili a quelle prodotte dalle complicazioni di ogni epidemia influenzale stagionale. Itamar Groto, capo del servizio pubblico al ministero della Sanità di Tel Aviv, prevede 2 milioni di contagi in Israele nei prossimi mesi ma anche che nel 99,99% dei casi i malati saranno in piedi nel giro di due o tre giorni.

Dal prossimo ottobre sarà disponibile il vaccino contro l’influenza H1N1, ma questa volta saranno molte di più le persone che si vaccineranno invece delle solite categorie a rischio solamente e questo diventerà un affare enorme per le case farmaceutiche che lo produrranno. Il terrore generato dai media con la diffusione di notizie minacciose diventerà certo una promozione efficacissima e certo molti acquisteranno il vaccino, ad un costo previsto di circa 20 euro per dose (compreso il richiamo). Pensate che la sola Gb ha ordinato 132 milioni di dosi di vaccino.

Tutto questo mentre l’Oms ha fatto sapere qualche giorno fa che non diffonderà più bilanci perchè la pandemia si propaga a ritmi esponenziali che possono sfuggire al controllo ma è stato dato poco rilievo ad un’altra dichiarazione della stessa Oms, nella quale si motiva questa impossibilità di conteggio preciso del contagio con un elevato numero di pazienti, con i sintomi più lievi, che in molti casi decidono di non rivolgersi ad un medico.

Il mondo ha già subito altre pandemie, nel 1957 e nel 1968. E se la “Spagnola causò addirittura 50 milioni di morti, l’influenza nota come “asiatica” causò due milioni di decessi, non pochi rapportati alle mutate condizioni della sanità nel mondo. L’H1N1 probabilmente batterà ogni record di contagio, vista la globalizzazione ormai anche dei virus, ma anche le previsioni più pessimiste individuano la cifra dei decessi non oltre le 600mila unità. E’ terribile dirlo, ma nell’assoluta normalità, il prezzo che la natura impone praticamente ogni anno. La vaccinazione di massa non eliminerà il problema, sarà solo un grosso affare per qualcuno. Sarà proprio un’influenza di tipo “a”, a come affari.



Articolo di Decio Siluro, tratto da www.rinascita.info

giovedì 23 luglio 2009

...Non era forse un massacro?

Apprendiamo che la Cassazione di Roma ha deciso di accogliere il ricorso di Elena Bentivegna, figlia di due tra i più noti artefici della strage di Via Rasella del marzo '44, che chiedeva di essere risarcita in seguito ad un articolo comparso sul quotidiano 'Il Tempo' nel quale si sosteneva che "la Cassazione da' la patente di eroi ai massacratori di civili in via Rasella". Ricorso indirizzato alla decisione della Corte d'Appello che nel maggio 2004 non aveva ritenuto diffamatorio l'epiteto utilizzato dal quotidiano ritenendolo "un legittimo giudizio storico negativo" che non trascendeva "in attacchi personali". Quali le motivazioni di cui si è avvalsa oggi la III Sezione civile per annullare la sentenza del maggio 2004? Ebbene, una vorticosa piroetta dialettica secondo cui "l'uso del termine 'massacratori' in innegabile sinergia con la parola 'civili', con evidente inequivoco effetto di accostare l'atto di guerra compiuto dai partigiani all'eccidio di connazionali inermi assume senz'altro aspetti contenutistici né metaforici in punto di immediate evocazione non già di negativi giudizi storici, ma di vere e proprie affermazioni lesive della dignità e dell'onore dei destinatari". Fortunatamente la lingua italiana continua a confortarci, nonostante i tentativi di imbarbarimento perpetrati a suo danno: stando a quanto ci suggerisce un qualsiasi dizionario definendo il termine massacro un sinonimo di "Strage, macello di molte persone, che non si difendono o che si difendono male (da www.etimo.it)", non possiamo che ritenere l'attribuzione adatta a quanti attuarono l'esplosione che provocò il decesso di 41 militari in marcia di rientro in caserma e di tre civili malcapitati, in un numero totale di 44 morti a causa dell'atto dinamitardo dei partigiani.


E’ bene ricordare, provocatoriamente, che i tre civili erano tutti italiani ed inermi; dunque, secondo i requisiti addotti dalla Corte di Cassazione quest’oggi (rileggasi, a tal proposito, la sopracitata motivazione) - a meno che non si ponga importanza al rischio di incappare in incongruenze - i crismi per poter considerare massacro quell’evento sembrerebbero esserci tutti. Evidentemente di diverso avviso la Magistratura italiana, che ha così perso occasione di vedersi emancipata da una soggezione verso la retorica resistenziale che prosegue incessante un suo percorso smaccatamente ideologico di lettura degli eventi storici. Dal canto nostro, continuiamo ad attenerci al significato racchiuso nelle parole: strage è sinonimo di massacro, ne consegue che chi perpetra un massacro è un massacratore.


 


Tratto da: assculturalezenit.spaces.live.com

martedì 21 luglio 2009

Quest'influenza è una porcata.

La pandemia l'hanno creata le case farmaceutiche? Ripulendo quest'articolo dalle paranoie...

Con l’avvicinarsi della data prevista per la distribuzione del vaccino anti virus influenzale pandemico A/H1N1 della Baxter, una giornalista investigativa austriaca avvisa il mondo che sta per essere commesso il più grande crimine della storia dell’umanità. Jane Burgermeister ha recentemente sporto denuncia presso l’FBI contro l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le Nazioni Unite (ONU) e molti dei funzionari di più alto rango di governi e società in merito al bioterrorismo e ai tentativi di provocare massacri. Ha inoltre preparato un’ingiunzione contro l’obbligo di vaccinazione, che è stata presentata in America. Queste azioni seguono le accuse che ha lei stessa presentato lo scorso aprile contro la Baxter AG e l’austriaca Avir Green Hills Biotechnology per aver prodotto un vaccino contaminato contro l’influenza aviaria, sostenendo che sia stata un’azione intenzionale per causare una pandemia e trarne profitto.


Bioterrorismo?




Riassunto delle accuse e allegazioni presentate all’FBI in Austria il 10 giugno 2009

Nelle sue accuse la Burgermeister presenta prove di atti di
bioterrorismo, ossia in violazione della legge degli USA, da parte di un gruppo operante all’interno degli USA secondo le direttive di banchieri internazionali che controllano la Federal Reserve, come pure l’OMS, l’ONU e la NATO. Tale bioterrorismo è finalizzato a provocare un genocidio di massa contro la popolazione statunitense mediante l’uso del virus della pandemia influenzale geneticamente ingegnerizzato con l’intento di causare la morte. Questo gruppo si è impossessato di alti uffici governativi negli USA. In modo specifico vengono portate le prove che gli imputati come Barack Obama, presidente degli Stati Uniti, David Tabarro, coordinatore ONU per l’influenza umana e aviaria, Margaret Chan, direttore generale dell’OMS, Kathleen Sibelius, segretario alla salute e ai servizi sociali, Janet Napolitano, segretario del dipartimento di sicurezza nazionale, David de Rotschild, banchiere, David Rockefeller, banchiere, George Soros, banchiere, Werner Faymann, cancelliere austriaco, e Alois Stoger, ministro della sanità austriaco, ed altri fanno parte di questo gruppo criminale internazionale che ha sviluppato, prodotto, accumulato ed utilizzato armi biologiche per eliminare la popolazione degli USA e di altri paesi per motivi economici e politici. (Evidentemente lo scopo terroristico dei bioprogrammatori non può essere tanto quello di commettere genocidio quanto quello di creare panico e produrre un business miliardario per le case farmaceutiche n.d.r.)


Armi biologiche segrete




I capi d’accusa sostengono che questi imputati abbiano cospirato tra loro e con altri per ideare e finanziare, nonché partecipare alla fase finale dell’attuazione di un programma internazionale segreto di armi biologiche, che avrebbe coinvolto le società farmaceutiche Baxter e Novartis. Hanno fatto questo bioingegnerizzando e poi distribuendo agenti biologici letali, specificamente il virus dell’influenza “aviaria” e il “virus dell’influenza suina” per avere il pretesto di attuare un programma di vaccinazione obbligatoria di massa che sarebbe stato il mezzo per poter somministrare un agente biologico tossico per provocare la morte e altre lesioni alla popolazione degli Stati Uniti. Quest’azione è in diretta violazione del Biological Weapons Anti-terrorism Act.

Le accuse mosse dalla Burgermeister comprendono le prove che la Baxter AG, la sussidiaria austriaca della Baxter International, ha deliberatamente fatto uscire 72 chili di virus vivo dell’influenza aviaria, fornito dall’OMS durante l’inverno del 2009 a 16 laboratori in quattro paesi. Sostiene che ciò offra una chiara prova che le società farmaceutiche e le stesse agenzie governative internazionali sono attivamente impegnate nella produzione, nello sviluppo, nella fabbricazione e nella distribuzione di agenti biologici classificati come le più letali armi biologiche sulla terra al fine di provocare una pandemia e causare una strage.

Nei capi d’accusa di aprile, ha notato che il laboratorio della Baxter in Austria, uno dei presunti laboratori di biosicurezza più sicuri al mondo, non ha rispettato le norme più basilari ed essenziali per la conservazione dei 72 chili della sostanza patogena classificata come arma biologica in modo sicuro separandola da tutte le altre sostanze secondo le rigorose regolamentazioni del livello di biosicurezza, ma ha lasciato che venisse mischiata con il virus dell’influenza comune e l’ha inviata dai suoi stabilimenti di Orth nel Donau.

A febbraio quando un membro dello staff al BioTest nella Repubblica Ceca ha testato su dei furetti il materiale destinato ai vaccini candidati, i furetti sono morti. Questo incidente non è stato seguito da alcuna investigazione da parte dell’OMS, né dell’UE o delle autorità sanitarie austriache. Non c’è stata alcuna indagine sul contenuto del materiale virale, e non vi è alcun dato sulla sequenza genetica del virus messo in circolazione.

In risposta alle domande del parlamento il 20 maggio Alois Stoger, ministro della sanità austriaco ha rivelato che l’incidente non era stato trattato come un errore di biosicurezza, come avrebbe dovuto essere, ma come un’infrazione del codice veterinario.
stato mandato un medico veterinario al laboratorio per una breve ispezione.


 


Pandemia di livello 6




Il dossier della Burgermeister rivela che la messa in circolazione del virus sarebbe stata un passo essenziale per provocare una pandemia che avrebbe permesso all’OMS di dichiarare una pandemia di livello 6. Elenca le leggi e i decreti che avrebbero permesso all’ONU e all’OMS di prendere il controllo degli Stati Uniti nel caso di una pandemia. Sarebbero inoltre entrate in vigore leggi che richiedono di osservare l’obbligo di vaccinazione negli Stati Uniti in condizioni di pandemia dichiarata.

La Burgermeister sostiene che l’intera questione della pandemia di “influenza suina” si poggia su un’enorme menzogna e che non esista virus in natura che rappresenti una minaccia per la popolazione. Porta le prove che inducono a credere che sia l’influenza aviaria che l’influenza suina siano state in effetti bioingegnerizzate in laboratorio usando i finanziamenti forniti dall’OMS e da altre agenzie governative, insieme ad altri. Questa “influenza suina” è un ibrido in parte dell’influenza suina, in parte dell’influenza umana e in parte dell’influenza aviaria, una cosa che può solo venire da un laboratorio secondo molti esperti.

L’asserzione dell’OMS che l’“influenza suina” si sta diffondendo e che deve essere dichiarata la pandemia ignora le cause fondamentali. I virus che sono stati messi in circolazione sono stati creati e messi in circolazione con l’aiuto dell’OMS, e l’OMS è enormemente responsabile della pandemia in primis. In aggiunta i sintomi della presunta “influenza suina” sono indistinguibili da quelli della comune influenza e del raffreddore. L’“influenza suina” non provoca la morte più spesso di quanto faccia la comune influenza.

[La Burgermeister] nota che i dati relativi ai decessi registrati per l’“influenza suina” non sono coerenti e che non c’è chiarezza in merito a come è stato documentato il numero dei “decessi”.

Non c’è potenziale per una pandemia a meno che non vengano effettuate vaccinazioni in massa per usare l’influenza come un’arma con il pretesto di proteggere la popolazione. Esistono motivi ragionevoli per credere che i vaccini obbligatori saranno contaminati deliberatamente con malattie che sono progettate specificamente per provocare la morte.


Meglio il virus del vaccino




Viene fatto riferimento ad un vaccino approvato della Novartis contro l’influenza aviaria che ha ucciso 21 persone senza tetto in Polonia durante l’estate del 2008 e che aveva come “misura primaria di outcome” un “tasso di eventi avverso”, rientrando pertanto nella definizione di arma biologica dello stesso governo statunitense (un agente biologico progettato per causare un tasso di eventi avversi, ossia morte o lesioni gravi) con un delivery system[1] (iniezione). [la Burgermeister] sostiene che il medesimo complesso di società farmaceutiche internazionali e di agenzie governative internazionali che hanno sviluppato e messo in circolazione il materiale della pandemia abbia tratto profitto dall’aver causato la pandemia mediante contratti per la fornitura dei vaccini. I media controllati dal gruppo che sta ingegnerizzando l’intero ordine del giorno dell’ “influenza suina” sta diffondendo notizie false per convincere la popolazione degli Stati Uniti a sottoporsi alle pericolose vaccinazioni.

I cittadini degli USA subiranno danni e lesioni sostanziali ed irreparabili se verranno obbligati a sottoporsi a questa vaccinazione [di efficacia] non provata senza il loro consenso secondo il Model State Emergency Health Powers Act, il Natonal Emergency Act, la National Security Presidential Directive/NSPD 51, la Homeland Security Presidential Directive/HSPD-20, e l’International Partnership on Avian and Pandemic
Influenza. (ma è molto più probabile che il virus sia stato propagato per vendere poi un vaccino inefficace che non per ammazzare la gente col vaccino... n.d.r.)

La Burgermeister accusa coloro che sono menzionati nelle sue allegazioni di aver attuato e/o accelerato a partire dal 2008 negli USA l’implementazione di leggi e regolamentazioni ideate per togliere ai cittadini statunitensi i loro legittimi diritti costituzionali di rifiutare un’iniezione. Queste persone hanno creato disposizioni o hanno lasciato in essere disposizioni tali da rendere criminale il rifiuto di un’iniezione contro i virus pandemici. Hanno imposto altre sanzioni eccessive e crudeli come l’imprigionamento e/o la quarantena nei campi FEMA impedendo al tempo stesso ai cittadini americani di presentare domanda di risarcimento per lesioni o morte causati dalle iniezioni forzate. Questo viola le leggi che disciplinano la corruzione federale e l’abuso di ufficio, come pure [quelle] della costituzione e della Bill of Rights. Attraverso queste azioni, gli accusati citati hanno gettato le basi di un genocidio di massa.


Come se laggiù non comandassero già i gangsters




Usando l’ “influenza suina” come pretesto, gli accusati hanno prepianificato la strage della popolazione statunitense per mezzo della vaccinazione forzata. Hanno installato una rete estesa di campi di concentrazione FEMA nonché identificato siti per tumulazioni di massa, e sono stati coinvolti nell’ideazione e nell’attuazione di uno schema per consegnare il potere in tutta America ad un sindacato criminale internazionale che usa l’ONU e l’OMS come una facciata per coprire le attività criminali organizzate influenzate da un racket illegale, in violazione alle leggi che disciplinano il tradimento.

[La Burgermeister] accusa il complesso di società farmaceutiche di cui fanno parte la Baxter, la Novartis e la Sanofi Aventis di essere coinvolto in un programma di armi biologiche basato all’estero con un duplice scopo, finanziato dal predetto sindacato criminale e progettato per attuare stragi di massa e ridurre la popolazione mondiale di oltre 5 bilioni nei prossimi dieci anni. Il loro piano è di spargere il terrore per giustificare l’atto di obbligare la gente a rinunciare ai propri diritti, e per costringerla a quarantene di massa nei campi FEMA. Le case, le società e le fattorie, le terre di quelli che venissero uccisi saranno nelle mani di questo sindacato.

Eliminando la popolazione del Nordamerica, l’élite internazionale avrà accesso alle risorse naturali della regione quali l’acqua e le terre con giacimenti di petrolio non sviluppate. Ed eliminando gli USA e la loro costituzione democratica includendoli in un’unione nordamericana, il gruppo criminale internazionale avrà il controllo totale del Nordamerica.



L'impianto analitico della Burgmeister soffre sicuramente di alcune paranoie psico-ideologiche che inquinano e talvolta ridicolizzano i dati che ha raccolto. Questi ultimi invece andrebbero presi seriamente in considerazione perché aiutano a spiegarci il perché di un allarmismo eccessivo. Il business ultramiliardario è palese, così com'è chiaro che i cointeressati agiranno senza alcuno scrupolo, come è loro abitudine, pur di incassare faraonici dividendi sulla nostra pelle.


In particolare va rilevato che secondo quello che riporta la Burgmeister la “suina” sarebbe stata creata in Usa. Prima che le fosse affibbiato questo nome, scelta peraltro non priva di una nemmeno troppo subliminale motivazione idologica, ci venne rifilata come “messicana”. Ma è probabile che il Messico si sia fatto pagare per distogliere dalla primissima denominazione internazionale che era quello di “influenza nordamericana”. Nata in Usa? Senza dubbio. Nei laboratori americani? E' probabile.


Tratto da: www.naturalnews.com e www.comedonchisciotte.org


11-12-13 Settembre - Perugia

Dove la montagna l'ha chiamata a sé...

VICENZA - Aveva appena conquistato il Broad Peak quando è precipitata in un crepaccio, davanti agli occhi del suo compagno che non ha potuto fare nulla per salvarla. Cristina Castagna, 31 anni, tra le più promettenti alpiniste italiane, è morta precipitando per decine di metri sul Broad Peak, noto come K3, montagna di oltre 8mila metri nella catena del Karakorum in Pakistan. Lo riferisce oggi il Giornale di Vicenza, la città dove la giovane lavorava come infermiera al pronto soccorso dell'ospedale San Bortolo.

E' stato proprio il suo compagno, l'alpinista italiano Gianpaolo Casarotto, anche lui vicentino, a dare la notizia. A casa i familiari hanno trovato un biglietto dove Cristina, prima della partenza, aveva lasciato scritto di suo pugno: "Se mi succederà qualcosa lasciatemi dove la montagna mi ha chiamato a sé".



La giovane ma esperta alpinista, soprannominata "el Grio", il grillo - che era anche il nome che aveva dato al suo sito - aveva appena conquistato la vetta e stava scendendo dal Broad Peak (8.047 metri), conosciuto come K3, dodicesima montagna più alta del pianeta. Il suo programma prevedeva, dopo il Broad Peak, di scalare successivamente il Gasherbrum I (8.068 metri).



All'attivo aveva già quattro cime sopra gli ottomila metri: lo Shisha Pangma conquistato nel 2004, al Gasherbrum II (2005), al Dhaulagiri (2007) e al Makalu (2008), prima donna italiana ad arrivare in vetta.


Tratto da: www.repubblica.it

venerdì 17 luglio 2009

Censura su Belfast in rivolta.

Gli accordi di pace del 10 aprile 1998 - firmati dal Sinn Fein, da Londra e dagli unionisti filo-britannici - sono ormai, nel Nord Irlanda, un mero pezzo di carta.

Fino alle 4 della notte tra lunedì e martedì, è divampata la rivolta dei repubblicani irlandesi contro le marce dei cosiddetti “unionisti”, volte a celebrare la vittoria di Guglielmo III d’Inghilterra (d’Orange) nella battaglia del Boyne del 1690 con la definitiva occupazione britannica dell’Irlanda. I disordini si sono estesi a tutte le città e i borghi del Nord dell’isola, da Belfast a Derry, da Armah a Rasharkin.

Soltanto a tarda sera uno sparuto gruppo di miliziani pro-britannici, sì e no un centinaio di persone, blindato da un ingente dispositivo di polizia, è riuscito ad attraversare (e questa era la consueta provocazione studiata a tavolino contro i residenti cattolici) il quartiere dell’Ardoyne di Belfast. Gerry Kelly, ex Ira e ora Sinn Fein, è stato allontanato dai militanti indipendentisti Repubblicani, criticato e schernito per i compromessi anti-sociali (il disagio delle famiglie e la precarietà del lavoro che colpisce la “minoranza” irlandese) e contro l’indipendenza siglati con il governo di Londra. Da tempo il Sinn Fein è accusato di aver trasformato le strutture del suo partito in covi di spie e di collaborazionisti degli inglesi.

La protesta repubblicana è stata voluta anche per ricordare all’Europa di Bruxelles, quella delle “guerre umanitarie” e dei cosiddetti “diritti umani” che ben 30 prigionieri politici nord-irlandesi sono da tempo ristretti nelle carceri di Belfast e sottoposti a regime di semi-isolamento e a maltrattamenti.

Quello che è più grave è che nessun organo di (dis)informazione di massa della “democratica” Unione europea, giornali e radiotv italianai in primis, ha ritenuto politicamente corretto informare i propri lettori, spettatori e sudditi su quanto avviene ed è avvenuto in Irlanda.

Come si conviene in “democrazia”, la migliore repressione contro chi si batte contro l’occupazione anglosassone - o atlantica - di una qualunque delle terre europee diventate colonia, Italya compresa, è il silenzio.



Articolo di Ugo Gaudenzi, tratto da: www.rinascita.info

mercoledì 15 luglio 2009

...Un senso di ribrezzo ci perquote.





Riceviamo, condividiamo e pubblichiamo l'articolo scritto dall'Ass. Cult. Zenit di Roma riguardo all'ennesima ingiustizia…  Sicuri che la giustizia nell’aldilà non tarderà.




Non siamo stati colti certo da stupore ieri sera, dopo la lettura della sentenza di primo grado che condanna l’agente di Polizia Spaccarotella a sei anni di reclusione, riconoscendogli il reato di omicidio colposo. A colgierci tuttalpiù è il senso di ribrezzo, di nuovo; da quel maledetto 11 novembre del 2007 ci ha accompagnati lungo una serie interminabile di vicende, di calunnie giornalistiche, atte a coprire di densa coltre il gesto inconsulto di un scellerato, per il semplice fatto che lo scellerato indossa una divisa. Quello di ieri è stato solo l’ennesimo sussulto che ci scuote ed accresce in noi la diffidenza che riponiamo verso la giustizia, almeno verso quella terrena. E' di pochi giorni prima una sentenza altrettanto gonfia di polemiche: condannati al primo grado per omicidio colposo altri due agenti di polizia accusati nel settembre 2005 di aver pestato a morte un diciottenne a Ferrara, Federico Aldrovandi. Quale la colpa di questo giovanissimo, disarmato e solo, per meritare una così efferata e tragica punizione da parte di un gruppo di tutori dell'ordine? C'è da chiederselo? E' la stessa colpa di Gabriele: essersi imbattuto su di uno sfortunato, terribile destino. Nulla potrebbe giustificare un gesto palesemente folle, nessuna discrezione personale può legittimare un omicidio; ed al cospetto della legge non dovrebbero esistere eccezioni di sorta. Il sistema può avere delle falle - è forse normale che le abbia, è pure eufemistico parlare di falle se si pensa al sistema che vige oggi -, ma del resto chi rappresenta il potere esecutivo dello Stato nelle strade può sbagliare: è accaduto in passato e potrebbe riaccadere in futuro. Ciò che il sistema non deve permettersi, laddove conservi la volontà di rendersi credibile, è l'incapacità di fare giustizia, di condannare un pubblico ufficiale, di ammettere giuridicamente un mea culpa; di farlo quando massacra di botte un giovane inoffensivo e quando uccide sparando ad altezza d'uomo un proiettile che attraversa diverse corsie d'autostrada. Condannare così come condannerebbe un altro qualsiasi cittadino, comportandosi in modo equo, imparziale agli occhi di migliaia di persone che invano continuano ad attendere un segnale in tal senso. Attesa vana che crea disillusione verso l'autorità dello Stato, ed ancora dolore, rabbia, rancore... Il sistema è cinico; sta già fagocitando con spietata freddezza l'ennesimo atto di ingiustizia, assorbendolo lo plasma secondo il proprio gradimento ed è subito pronto a sputarlo fuori, infettando le coscienze di cittadini ingenui che si approcciano ai suoi mezzi di informazione e contrastando in modo smisurato il percorso di chi agisce in buona fede. Tutto ciò forse ha già iniziato a farlo, già da qualche ora...

martedì 14 luglio 2009

Umbria Jazz 2009...

E’ morto John Bachar.

NEW YORK — Aveva scalato in free solo le pareti più vertiginose del pianeta. Ma l’ironia della sorte ha voluto che il 52enne John Bachar morisse sulla falesia dietro casa, in California. Il leggendario climber americano è stato trovato morto qualche giorno fa ai piedi del Dike Wall, vicino al Mammoth Lakes dove viveva, dopo un tragico volo di 31 metri durante una delle sue scalate solitarie senza corda. La notizia ha avuto un enorme risalto sui media di tutto il mondo. Tra gli addetti ai lavori, che lo consideravano il più forte arrampicatore Usa dai tempi di Royal Robbins, negli anni 50, è un vero e proprio choc che, dai blog ai forum online, ha subito fatto scoppiare un rovente dibattito tra i sostenitori dell’arrampicata libera (o free climbing) e quelli della scalata artificiale. Mentre la seconda contempla l’utilizzo di aiuti «artificiali», nella prima l’arrampicatore affronta l’ascensione con il solo utilizzo di mani nude e piedi, ma anche appoggiando e incastrando il corpo intero o sue parti. Anche se, per limitare i danni in caso di caduta, la libera non esclude a priori l’utilizzo di attrezzatura, (come corde e moschettoni) Bachar non ne faceva mai uso, essendo il fiero pioniere del free solo: sport estremo e senza «paracaduti », compiuto a rischio della propria vita.



Il fatto che «il più bravo di tutti » sia morto proprio su una roccia che aveva già scalato centinaia di volte, dimostrerebbe secondo alcuni il rischio della sua disciplina. «Chi pratica free solo sa esattamente a quali rischi va incontro. E li accetta», teorizza mazzysan sul sito web quotazero. com. «Il free solo è come il gioco dei dadi — gli fa eco Curt dal forum di rockclimbing.com —. Il risultato è sempre un’incognita ». Ma se qualcuno adesso vorrebbe addirittura metterlo al bando, per la maggior parte degli appassionati di questo sport Bachar resta un’icona dell’etica alpinistica per il suo approccio purista ed ecologico che l’aveva portato a condannare chi chioda le vie scendendo in doppia. «Non credeva nell’uso di chiodi o spit — racconta il climber australiano John Middendorf —. Aveva un approccio Zen e si rifiutava di usare qualsiasi strumento che lasciasse un segno permanente sulla roccia». Con l’avvento del cosiddetto «stile francese» (coi suoi super gadget), a partire dagli anni 80 Bachar era caduto in disgrazia. Per essere riscoperto un decennio più tardi, con l’avvento di una nuova generazione di scalatori «puri» che rifiutavano l’utilizzo di accessori, giudicandoli «disonesti». Behar era il loro mito, per il suo rigore nell’allenamento e nell’alimentazione che l’aveva portato ad inventare l’omonima «scala Bachar»: appesa al soffitto, inclinata di circa 20 gradi, si percorre attaccandosi ai pioli con le mani e oggi è usata dai climber per allenare i muscoli delle braccia e della parte superiore del corpo.






Nel 2006, quando rimase gravemente ferito in seguito ad un incidente d’auto, la comunità degli scalatori Usa, molti giovanissimi, organizzò una colletta per pagargli le spese sanitarie che lui non poteva permettersi, non avendo l’assicurazione medica. Figlio di un docente di matematica all’università californiana Ucla, Bachar aveva abbandonato gli studi per dedicarsi a tempo pieno alla roccia. Era arrivato nella Yosemite Valley all’inizio degli anni 70, soltanto con un paio di scarponi, un sassofono e un fisico da adone greco (si era allenato col coach di Carl Lewis) unendosi ad un gruppo di giovani scalatori noti col nome di Stonemasters, maestri della roccia. «Nessuno ha mai meritato quel nome più di lui», ha scritto il fondatore del movimento John Long in una biografia dedicata al gruppo. Nel 1981 aveva addirittura offerto una ricompensa di diecimila dollari a chi fosse riuscito a seguirlo nelle sue scalate per un’intera giornata. Ma nessuno osò mai raccogliere quella sfida. La sua leggenda è scritta sulle cartine topografiche del Yosemite Park dove oggi numerosi sentieri portano il suo nome.



Alessandra Farkas

lunedì 13 luglio 2009

C’e’ chi puo’ e chi no.

Il discorso iraniano non fa una piega: voi (Occidente) condannate noi (Iran) per le violenze (presunte!) contro i manifestanti, e allora noi condanniamo voi per gli arresti contro i manifestanti del g8. Trovate qualche piega?!



Tratto da www.azionetradizionale.com



TEHERAN (IRAN) - Un attacco diplomatico che ha il sapore della rivalsa dopo le proteste dei Paesi occidentali alla repressione nel sangue delle manifestazioni in Iran. L’Iran «condanna l’uso della forza da parte della polizia italiana per reprimere le manifestazioni degli oppositori» al summit G8 dell’Aquila, invitando il governo italiano a rispettare gli impegni internazionali. È quanto si legge sull’agenzia ufficiale iraniana Fars, che riporta anche come l’ambasciatore Alberto Bradanini sia stato convocato oggi al ministero degli Esteri di Teheran.






LA DICHIARAZIONE - La protesta di Teheran arriva dopo che nel documento finale i leader del G8 hanno espresso preoccupazione per i recenti sviluppi in Iran. Hanno deplorato la violenza post elettorale nel paese, l’interferenza rispetto ai media, la detenzione ingiustificata di giornalisti e gli arresti di cittadini stranieri. Nella bozza del testo si fa riferimento anche all’impegno per trovare una soluzione diplomatica al fallimento continuativo da parte dell’Iran nell’adempiere ai suoi obblighi internazionali rispetto al suo programma nucleare. Gli otto leader hanno anche condannato le dichiarazioni del presidente Ahmadinejad che negano l’Olocausto.


Tratto da: www.corriere.it