Una delle vie conoscitive ancora disponibili per l'uomo 'differenziato' è quella alpinistica. Molti potranno trovare l'accostamento addirittura risibile, vittime di un paradigma modernista che presuppone un'invalicabile separazione tra azione fisica e azione conoscitiva. In realtà, già la conoscenza è una forma di azione o prassi mentre l'azione è la manifestazione di un sapere ad un dato livello. Solo la volgarità dell'epoca presente poteva artificiosamente separare ciò che si dà soltanto unito ed estrarre due tronconi scissi dall'unità originaria: un sapere astratto e intellettualistico, arido e privo di vita interiore, da una parte; ed una attività meccanica e parossistica, cieca e priva di ogni interiore significato, dall'altra. Nell'alpinismo alcuni spiriti tra i più nobili e avventurosi dello scorso secolo, l'epoca in cui con maggior forza si fece sentire la crisi dovuta alla dissoluzione nichilista della civiltà europea, trovarono la via di fuga da un mondo alla deriva e, al contempo, la strada maestra per un ritorno, per la congiunzione di due lembi separati che sembravano per sempre lacerati e irricomponibili: volontà e pensiero, natura e cultura, vita e trascendenza, pericolo mortale e gioia contemplativa.
Due furono a mio avviso gli interpreti di maggior spicco di questa tendenza all'azione eroica e conoscitiva in montagna tra le due guerre: il triestino Emilio Comici (1901-1940) e l'austriaco Georg Lammer (1863-1945). Quest'ultimo, si contrappose decisamente all' "alpinismo delle guide", che ancora interpretava l'alpinismo come privilegio di pochi montanari professionisti accompagnatori di turisti passivi.
L'assalto condotto da Lammer a questa mentalità fu travolgente e si accompagnò ad una pratica spregiudicata, estrema e solitaria della conquista in montagna. A differenza di un Comici, davvero un artista mediterraneo di grazia e arditezza, l'austriaco caratterizzava come una sfida superba il suo rapporto con le vette. Rey, alpinista tipico "delle guide", sosteneva: "La fatica, il modo in cui il povero essere mortale si sforza di arrivare ai monti...mi è parso sempre cosa secondaria." Al contrario, per Lammer, "la cosa secondaria fu la montagna e ciò che soltanto m'importava, fu il modo di dominarla esteriormente e di appropriarmela interiormente. No, non era la montagna che io bramavo, ma il mio sforzo a cercare la via, l'alternativa ostinata tra vittoria e sconfitta, la battaglia leale senza aiuti e assicurazioni di chiodi, il nudo pericolo." La consapevolezza anche filosofica di questi uomini eccezionali è testimoniata da frasi come questa: "Le contraddizioni e le crepe minacciose nella muraglia della nostra cultura e dell'anima moderna non dovrebbero essere cementate e intonacate, ma denudate senza pietà." E ancora: "La nostra vita odierna mi sembra come a Nietzsche sommamente pericolosa e il mio compito finora fu sempre fare del male a me stesso e agli altri, in quanto smuovo sotto i nostri piedi il sasso apparentemente sicuro."
Georg Lammer, sopravvissuto incredibilmente,a differenza di altri suoi discepoli, a numerose catastrofi in arrampicata, è considerato padre spirituale dell'alpinismo estremo e il suo libro-manifesto del 1922 Jungborn (Fontana di giovinezza), fu bollato come un classico maledetto e mai più ristampato in Italia dagli anni Trenta. Fu proprio animato dalla indomita generazione alpinistica germanica successiva alla prima guerra mondiale che prese corpo quel fenomeno affascinante e sulfureo del cinema di montagna tedesco di Arnold Franck, Louis Trenker e Leni Rifensthal, "la regista di di Hitler". Giovani nordici legati al culto della natura e forgiati nella "volontà di potenza" nicciana trovarono, nella sfida alle grandi pareti, un dovere assoluto cui consacrare le proprie più intime energie e degno persino di essere pagato con la vita. Lammer morì vecchio e di stenti negli ultimi durissimi mesi della seconda guerra mondiale. La sua eredità spirituale, che ieri fu raccolta dai "profeti del sesto grado", sopravvive forse oggi nelle grandi imprese dei potenti himalaysti contemporanei, a cominciare da Reinhold Messner.
Emilio Comici fu anch'egli un grande alpinista, un'alpinista dallo stile eccezionale ed ineguagliato: per lui l'arrampicata era una composizione ed un'opera d'arte. Mai egli la ritenne, però, separabile dall'azione 'sacra' della conquista ardita, che in lui si accendeva di una particolare veemenza erotica, di un afflato talvolta davvero mistico con la montagna-Dea.
Per Comici, lo 'sforzo' della conquista non poteva essere isolato da una commossa partecipazione estetica ed emozionale alla maestosa vastità, severa e solare, delle Vette. Comici aveva una consapevolezza profonda della sofferenza, del patimento, del lungo e rischioso assedio alla linea verticale da vincere. La sua stessa scelta di lasciare Trieste e andare vivere a Selva di Val Gardena, dove scontò amaramente una solitudine senza rimedio, fu dettata da una lucida ricerca del compimento del suo destino; che, nel caso del più grande e nobile alpinista italiano di tutti i tempi, dovette essere beffardamente ineludibile. "Noi viviamo solo di sensazioni, intese nel senso più nobile della parola. Ognuno ha le proprie, altrimenti la vita sarebbe inutile e vuota. Ma per vivere compiutamente, bisogna pure arrischiare qualche cosa. Il Duce ha insegnato così". La raccolta Alpinismo Eroico, che contiene la descrizione delle straordinarie imprese di Comici, è una lettura che testimonia la totale alterità dell'alpinismo di quei tempi rispetto al nostro, laddove ci appaiono mondi di una ingenuità cristallina pronti al sacrificio di sè per l'ideale purissimo della Vetta.
Le parole di Comici ne sono una chiara evidenza. In lui si alternano emozioni di oscurità a descrizioni di slanci, da momenti di venerazione incantata si passa ad attimi di stupore euforico tesi fino all' autentico rapimento,fino ad abissi di disperazione risuonanti di incessanti preghiere. Comici era l'uomo "gioioso quando arrampicava, malinconico in vetta", nei bivacchi notturni "parlava con le stelle".
Vittima di un amore non corrisposto decise di arruolarsi volontario in guerra ma la sua domanda fu respinta per rispetto dal Ministero. Partito con alcuni amici ed amiche per una breve e facile arrampicata sui monti vicino casa Emilio Comici si sporge da una cengia legato ad vecchio chiodo con un cordino usurato che si spezza. Muore così, il 19 ottobre 1940, neanche quarantenne, il più prodigioso talento alpinistico italiano forse di sempre.
Articolo di Mario Cecere, www.controventopg.splinder.com
Due furono a mio avviso gli interpreti di maggior spicco di questa tendenza all'azione eroica e conoscitiva in montagna tra le due guerre: il triestino Emilio Comici (1901-1940) e l'austriaco Georg Lammer (1863-1945). Quest'ultimo, si contrappose decisamente all' "alpinismo delle guide", che ancora interpretava l'alpinismo come privilegio di pochi montanari professionisti accompagnatori di turisti passivi.
L'assalto condotto da Lammer a questa mentalità fu travolgente e si accompagnò ad una pratica spregiudicata, estrema e solitaria della conquista in montagna. A differenza di un Comici, davvero un artista mediterraneo di grazia e arditezza, l'austriaco caratterizzava come una sfida superba il suo rapporto con le vette. Rey, alpinista tipico "delle guide", sosteneva: "La fatica, il modo in cui il povero essere mortale si sforza di arrivare ai monti...mi è parso sempre cosa secondaria." Al contrario, per Lammer, "la cosa secondaria fu la montagna e ciò che soltanto m'importava, fu il modo di dominarla esteriormente e di appropriarmela interiormente. No, non era la montagna che io bramavo, ma il mio sforzo a cercare la via, l'alternativa ostinata tra vittoria e sconfitta, la battaglia leale senza aiuti e assicurazioni di chiodi, il nudo pericolo." La consapevolezza anche filosofica di questi uomini eccezionali è testimoniata da frasi come questa: "Le contraddizioni e le crepe minacciose nella muraglia della nostra cultura e dell'anima moderna non dovrebbero essere cementate e intonacate, ma denudate senza pietà." E ancora: "La nostra vita odierna mi sembra come a Nietzsche sommamente pericolosa e il mio compito finora fu sempre fare del male a me stesso e agli altri, in quanto smuovo sotto i nostri piedi il sasso apparentemente sicuro."
Georg Lammer, sopravvissuto incredibilmente,a differenza di altri suoi discepoli, a numerose catastrofi in arrampicata, è considerato padre spirituale dell'alpinismo estremo e il suo libro-manifesto del 1922 Jungborn (Fontana di giovinezza), fu bollato come un classico maledetto e mai più ristampato in Italia dagli anni Trenta. Fu proprio animato dalla indomita generazione alpinistica germanica successiva alla prima guerra mondiale che prese corpo quel fenomeno affascinante e sulfureo del cinema di montagna tedesco di Arnold Franck, Louis Trenker e Leni Rifensthal, "la regista di di Hitler". Giovani nordici legati al culto della natura e forgiati nella "volontà di potenza" nicciana trovarono, nella sfida alle grandi pareti, un dovere assoluto cui consacrare le proprie più intime energie e degno persino di essere pagato con la vita. Lammer morì vecchio e di stenti negli ultimi durissimi mesi della seconda guerra mondiale. La sua eredità spirituale, che ieri fu raccolta dai "profeti del sesto grado", sopravvive forse oggi nelle grandi imprese dei potenti himalaysti contemporanei, a cominciare da Reinhold Messner.
Emilio Comici fu anch'egli un grande alpinista, un'alpinista dallo stile eccezionale ed ineguagliato: per lui l'arrampicata era una composizione ed un'opera d'arte. Mai egli la ritenne, però, separabile dall'azione 'sacra' della conquista ardita, che in lui si accendeva di una particolare veemenza erotica, di un afflato talvolta davvero mistico con la montagna-Dea.
Per Comici, lo 'sforzo' della conquista non poteva essere isolato da una commossa partecipazione estetica ed emozionale alla maestosa vastità, severa e solare, delle Vette. Comici aveva una consapevolezza profonda della sofferenza, del patimento, del lungo e rischioso assedio alla linea verticale da vincere. La sua stessa scelta di lasciare Trieste e andare vivere a Selva di Val Gardena, dove scontò amaramente una solitudine senza rimedio, fu dettata da una lucida ricerca del compimento del suo destino; che, nel caso del più grande e nobile alpinista italiano di tutti i tempi, dovette essere beffardamente ineludibile. "Noi viviamo solo di sensazioni, intese nel senso più nobile della parola. Ognuno ha le proprie, altrimenti la vita sarebbe inutile e vuota. Ma per vivere compiutamente, bisogna pure arrischiare qualche cosa. Il Duce ha insegnato così". La raccolta Alpinismo Eroico, che contiene la descrizione delle straordinarie imprese di Comici, è una lettura che testimonia la totale alterità dell'alpinismo di quei tempi rispetto al nostro, laddove ci appaiono mondi di una ingenuità cristallina pronti al sacrificio di sè per l'ideale purissimo della Vetta.
Le parole di Comici ne sono una chiara evidenza. In lui si alternano emozioni di oscurità a descrizioni di slanci, da momenti di venerazione incantata si passa ad attimi di stupore euforico tesi fino all' autentico rapimento,fino ad abissi di disperazione risuonanti di incessanti preghiere. Comici era l'uomo "gioioso quando arrampicava, malinconico in vetta", nei bivacchi notturni "parlava con le stelle".
Vittima di un amore non corrisposto decise di arruolarsi volontario in guerra ma la sua domanda fu respinta per rispetto dal Ministero. Partito con alcuni amici ed amiche per una breve e facile arrampicata sui monti vicino casa Emilio Comici si sporge da una cengia legato ad vecchio chiodo con un cordino usurato che si spezza. Muore così, il 19 ottobre 1940, neanche quarantenne, il più prodigioso talento alpinistico italiano forse di sempre.
Articolo di Mario Cecere, www.controventopg.splinder.com
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