giovedì 7 maggio 2009

La grande rapina.

Per buona parte della sua esistenza la Banca d’Italia ha vissuto di una contraddizione. Quella di essere stata creata per perseguire un interesse pubblico e allo stesso tempo di essere stata lasciata piuttosto libera al suo interno di organizzarsi e di scegliersi il proprio Governatore. Costui era indicato dai governi in una personalità che doveva però riscuotere il gradimento della struttura di Via Nazionale della quale il più delle volte faceva parte.

Ad eleggere poi il Governatore provvedevano gli azionisti dell’Istituto, gruppi bancari, assicurativi e di previdenza, la gran parte dei quali, essendo pubblici, riflettevano la volontà dell’esecutivo pur tenendo conto degli equilibri che si erano venuti a creare nel mondo dell’economia e della finanza italiana e internazionale. Oggi le cose sono cambiate e se un Carlo Azeglio Ciampi è stato nominato con il voto delle banche pubbliche, Mario Draghi, indicato dal governo Berlusconi, è stato messo sulla plancia di comando (il riferimento al Britannia è voluto) dal voto di quelle stesse banche che nel frattempo sono state privatizzate.

Il cambiamento non è stato da poco perché con la privatizzazione, e a costo zero, è stato realizzato il trasferimento puro e semplice ad un soggetto privato di quelle quote azionarie della Banca d’Italia, già controllate indirettamente dallo Stato attraverso il Tesoro. Di conseguenza quello che era un soggetto pubblico, pensato per perseguire interessi pubblici come la difesa del valore di cambio e una sana circolazione monetaria, è stato trasformato di fatto in un organismo privato i cui proprietari sono le banche private. Giulio Tremonti in un suo provvedimento divenuto legge dello Stato aveva previsto che entro il gennaio scorso le azioni della Banca d’Italia tornassero ad un soggetto pubblico, quindi allo stesso Tesoro o a qualche altro ente.

Poi il meccanismo si è interrotto per il mancato accordo sulla cifra che lo Stato avrebbe dovuto (indebitamente) sborsare per riappropriarsi di ciò che era suo. La soluzione più giusta e più logica sarebbe stata e continua ad essere il ritorno puro e semplice, e soprattutto gratuito, di quelle azioni sotto il controllo dello Stato.

Le banche da questo orecchio non ci sentono. E alcune, per fare cassa, già pensano di rivendere la propria quota (42,6%) come ha anticipato il presidente di Intesa-San Paolo. Senza alcun diritto.

Altre pensano invece di rivalutare le azioni di Via Nazionale che si ritrovano in portafoglio. A causa degli investimenti sbagliati e delle proprie speculazioni molte si trovano infatti con bilanci patrimoniali quanto mai disastrati. E cosa c’è di meglio che giocare con le voci di bilancio?

Non è neanche peregrino il rischio di ritrovarsi con una Banca d’Italia... controllata da stranieri. La francese Bnp, proprietaria della Bnl, già è in possesso di oltre un 2% delle quote (e dei voti).

Abbiamo già perso la sovranità monetaria con il passaggio di poteri alla Bce e l’introduzione dell’euro. Perdere anche il controllo di Via Nazionale sarebbe il segno che non ci rimane proprio più nulla.



Articolo di Andrea Angelini, tratto da www.rinascita.info

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