Ci ostiniamo a considerarli giorni di “festa”, per convenzione, quasi per inerzia. Ma i giorni che concludono l’anno, quelli racchiusi nella seconda metà di dicembre, hanno ormai ben poco della festa come celebrazione autentica di una ricorrenza religiosa o civile. In questi giorni il giogo del conformismo si fa più gravoso e opprimente; sono i giorni in cui regnano la frenesia e le costrizioni. Lo spirito natalizio, dissacrato e da tempo confinato nelle pagine immortali di Dickens, viene completamente fagocitato da una sequela di obblighi sociali. Dai regali ai cenoni, dagli auguri alle veglie di capodanno. Lo “stress da feste”, ormai una patologia conclamata, s’innesca ben prima del Natale; ben prima della cerimonia del panettone; ben prima della festa dell’oblio; ben prima del giorno della “bontà”, qualsiasi cosa essa significhi nella mentalità corrente. S’inizia con i doni. O, meglio, con la negazione del dono nel senso più nobile del termine: si oscilla tra l’ansia borghese di non regalare mai abbastanza e l’ansia, squallida, di non ricevere abbastanza. In uno stordimento scintillante, con scarsa spontaneità e con molta attenzione alla reciprocità, ci si tuffa nella corsa agli acquisti. Nei giorni scorsi, in base alle statistiche, ogni italiano ha speso in media 400 euro per regali di ogni tipo: tra questi l’utilissima stazione barometrica che proietta le previsioni del tempo, l’essenziale televisore tascabile o l’indispensabile dinosauro che cresce e si comporta come un cagnolino. Fare doni è un bene, soprattutto in tempi di crisi, quando l’economia ha bisogno di linfa. Forse ha ragione Pierluigi Battista: il superfluo è consustanziale alla democrazia, la logica del consumo non è disdicevole. È però almeno discutibile l’artificiosità che troppo spesso trasuda da certi gesti. Il regalo natalizio è ormai, tendenzialmente, un mesto rituale: in qualsiasi cosa consista vale certamente meno, ad esempio, del fiore estemporaneo che il marito - senza pressioni e ragioni particolari - decide di donare alla moglie in qualsiasi giorno dell’anno. A Natale, non di rado, si va in scena. Il 25 dicembre può essere un’occasione di ritrovo attesa e agognata; ma anche una finzione. Se non ci si vede per tutto il resto dell’anno, un motivo ci sarà pure. E non è detto che sia solo la scarsità di tempo. Le “feste”, in questo caso, diventano rese dei conti o momenti ideali per indossare splendidi sorrisi di cera. Gli stessi auguri, del resto, possono diventare mero flatus vocis. Per la serie “c’è sempre una parte da recitare”.Ai diktat socio-familiari si aggiunge il bombardamento mediatico. I telegiornali superano la soglia del ridicolo più e più volte, in maniera stucchevole. Con disinvoltura si passa dai drammi dell’umanità a servizi che rasentano il demenziale. Si va dagli imperativi mangerecci a lunghe dissertazioni sul malcostume a tavola (le lasagne - ha ben spiegato un servizio di tre minuti - non si tagliano con il coltello…); dallo stupore per il maltempo (chissà perché a dicembre dovrebbe esserci il solleone) alla meraviglia per la constatazione che email ed sms - particolarmente insignificanti quando, monocordi, vengono mandati ad intere rubriche - hanno sopravanzato i biglietti d’auguri; dai consigli per la minestra maritata al calcolo degli affettati che inonderanno i cenoni; dai suggerimenti per i fuochi d’artificio ai dettami sugli abiti da indossare per San Silvestro; dagli incentivi all’obesità dilagante all’evocazione salvifica di palestre e diete. Proprio così: come recita una vecchia canzone, non a caso intitolata O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai, “il giorno che è nato Cristo diventiamo più ciccioni”. Ingozzarsi è obbligatorio. Poco importa, come denunciato da Coldiretti, che un terzo del cibo acquistato per le “feste” natalizie finisca nella spazzatura…Tra “cinepanettoni” più o meno indigesti si arriva al culmine del dover essere: il capodanno. Quasi un fastidio, non una festa. “A capodanno si fa un gran casino. Siccome l’anno vecchio muore tutti ci ridiamo su. (…) A casa mia si fa il cenone, con tutti che mangiano e bevono come matti”: è la voce semplice, raccolta nel volume Maledetti Promessi sposi, era meglio se vi sposavate. I temi più esilaranti d’Italia (l’autore è lo stesso de La classe fa la ola mentre spiego), di un bambino di quinta elementare. Chissà che non abbia già capito tutto. Quando coincidono con la cancellazione di ogni forma di naturalezza e sobrietà, quando diventano l’esaltazione del ridicolo e del banale, le “feste” diventano una iattura ciclica. Al 6 gennaio non manca molto. Che peccato.
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