domenica 12 dicembre 2010

In Birmania le etnie non hanno alcun diritto. Anche grazie a Fassino.


Come da noi previsto, le elezioni/farsa dello scorso novembre in Birmania non hanno cambiato il volto del regime, né hanno modificato l'andamento di un conflitto che dura da  oltre sessant'anni, con drammatiche conseguenze per centinaia di migliaia di persone.

Come una vecchia baldracca che si rifà il trucco dopo l'ennesimo svogliato amplesso ed  esce dalla sua stanza ad ore cercando di sembrare una rispettabile signora della buona  società, così il governo di Rangoon sbandiera i risultati elettorali (che hanno assegnato la  stragrande maggioranza dei voti ai partiti creati dalla giunta militare) puntando a  convincere la comunità internazionale di essere sulla buona strada verso un reale cambiamento interno. L'obiettivo più immediato (e quello più urgente viste le difficoltà  economiche in cui si trova il Paese) è l'allentamento delle sanzioni che molti governi  hanno posto nei confronti del Myanmar, e che almeno in parte hanno influito negativamente sugli affari delle gerarchie militari e dei businessmen ad esse associati.

Di fatto, almeno per ora, nessun reale passo verso un costruttivo processo di  riconciliazione nazionale è stato compiuto. Aung San Suu Khyi è stata rilasciata, ma ha un  guinzaglio attorno al collo. Non può allontanarsi troppo dalla road map del governo. ischia di strozzarsi.


“La luce del Myanmar”, giornale del regime, scrive che una nuova  conferenza che puntasse al riconoscimento del diritto all'autonomia dei differenti gruppi  etnici (conferenza auspicata in questi giorni da Suu Khyi e chiamata Panglong 2 dal nome  del primo trattato firmato da suo padre nel 1947), potrebbe avere conseguenze gravissime  sul processo di democratizzazione in corso. In altre parole: i Popoli che abitano le regioni  orientali del Paese devono rimanere dei sudditi.

A conferma della totale mancanza di volontà di apertura nei confronti delle istanze di autonomia dei gruppi etnici (alcuni dei quali contano popolazioni che superano i 7 milioni di persone) in queste settimane l'esercito birmano è impegnato in una offensiva che punta  a ridurre alla resa i movimenti armati autonomisti.

Ma a differenza delle operazioni su larga scala condotte dal Tatmadaw (le forze armate  del Myanmar) negli ultimi anni, che avevano portato alla caduta di diverse roccaforti della  guerriglia Karen, l'offensiva di questa stagione secca sta incontrando serie difficoltà. L'ammutinamento nella prima settimana di novembre di una brigata del DKBA, la milizia  che per 16 anni ha collaborato con il regime di Rangoon, ha sensibilmente aumentato le  capacità di difesa della guerriglia nel distretto di Dooplaya, obiettivo dell'offensiva in corso.

I Karen del KNLA (Esercito di Liberazione Nazionale) e gli ammutinati del DKBA stanno rispondendo con successo agli attacchi dei militari birmani.

In alcune zone i due gruppi agiscono congiuntamente, conducendo operazioni con unità  miste. Nel resto della regione KNLA e DKBA si limitano a prestarsi aiuto l'un l'altro in caso  di attacchi da parte delle truppe di Rangoon, mantenendo la propria distinta identità.

Negli scontri avvenuti in quest'ultima settimana, concentrati soprattutto in un'area a circa  40 km a sud della cittadina tailandese di Mae Sot, appena oltre il fiume che delimita il  confine con la Birmania, numerosi militari di Rangoon hanno perso la vita. Dopo aver  bombardato il villaggio di Pahlu provocando la morte di quattro donne e l'esodo di  centinaia di civili, i Birmani avevano puntato verso la cittadina di Wahlay, per portare  rifornimenti e munizioni alla guarnigione assediata da una decina di giorni dalla guerriglia Karen. Ma unità del DKBA li hanno attaccati, fermandone l'avanzata e causando diverse perdite.

Scontri tra Karen e Birmani vengono registrati in molte altre località del distretto. Il 201° battaglione (uno dei reparti agli ordini di Nerdah Mya) ha attaccato ieri i birmani nei dintorni di Boe Way Hta, mentre Le Black Forces hanno circondato la base di Maw Khee, per dare inizio ad un assedio di tipo medievale, impedendo l'arrivo di rifornimenti alla postazione ed intercettando eventuali rinforzi inviati dal governo. 


Ufficiale delle Black Forces nei dintorni della base birmana di Maw Khee ,il Vicepresidente dell'Unione Nazionale Karen, David Thackarbaw, che nell'ottobre dello scorso anno su iniziativa della Comunità Solidarista Popoli era stato in visita alla Farnesina per un incontro con il Sottosegretario Stefania Craxi, ha ribadito che non ci sarà  nessuna possibilità di negoziato con i Birmani fino a che il governo non fermerà le  operazioni militari nel territorio Karen. Per tutta risposta, Rangoon ha inviato decine di  camion di rinforzi verso le zone contese, equipaggiati con mortai pesanti.

Il Vicepresidente Tackarbaw ci ha anche chiesto cosa sta facendo l'Unione Europea, e in  particolare l'inviato speciale Piero Fassino, per convincere i Generali a fermare la guerra e  ad intavolare delle trattative. Domanda pertinente, dal momento che Popoli ha un  incarico ufficiale di rappresentanza diplomatica da parte dell'Unione Nazionale Karen per i  rapporti con le istituzioni italiane ed europee. Non siamo stati in grado di fornire risposte,  essendo da molti mesi in attesa di un appuntamento con l'Inviato Speciale. Basterebbe  però riflettere su cosa sostiene Fassino quando parla delle recenti elezioni in Birmania, per capire che forse avrebbe bisogno di farsi un giro da queste parti per vedere come stanno  le cose. Cito testualmente da un suo scritto del 26 novembre 2010: “Le minoranze etniche,  tutte, hanno partecipato ritenendo le elezioni uno spazio di agibilità da percorrere,  soprattutto nella elezione dei Parlamenti locali. La campagna elettorale ha fatto emergere,  nonostante le mille difficoltà, forze della società civile. All'indomani delle elezioni ci sarà comunque un Parlamento  - che oggi ancora non c'è - e si formerà un governo civile a cui dovrebbero essere trasferiti i poteri attualmente esercitati dalla Giunta”. Fassino finge di  non comprendere la differenza esistente tra l'avvenuta partecipazione alla farsa di candidati di partitini “etnici” compiacenti e il chiaro boicottaggio delle elezioni indetto dalle  grandi organizzazioni politiche e militari storicamente (60 anni!) riconosciute come le reali  rappresentanti delle istanze di libertà e autonomia dei popoli non birmani. La cui posizione  nei confronti delle elezioni è stata la stessa assunta da Aung San Suu Khyi, che  onestamente riteniamo più informata sulla situazione del suo Paese di quanto non siano gli uffici di Bruxelles. 

Gli scontri in corso, e la minaccia di una intensificazione delle ostilità, hanno provocato la  fuga di migliaia di civili dai loro villaggi. Ventimila soltanto nella prima settimana seguita  alle elezioni. Poi, ogni giorno, una media di 500 persone che cercano rifugio in Thailandia (da dove la maggior parte viene ricacciata nel giro di 24 ore) oppure in zone per il momento risparmiate dagli scontri.

Una emergenza che Popoli solo in parte infinitesimale riesce ad affrontare attraverso l'acquisto di cibo e coperte da far arrivare ad alcune delle famiglie in fuga dalla guerra.



Franco Nerozzi, www.comunitapopoli.org

Nessun commento:

Posta un commento