(ASI) Leggendo i quotidiani nostrani sembra che la situazione economica in Italia non sia di una certa gravità come in altri paesi europei. Si parla sempre d’Irlanda, Spagna, Grecia e Portogallo. Nelle testate giornalistiche estere, invece, veniamo chiamati in causa alla pari degli stati sopra citati. Agenzia Stampa Italia ha incontrato il Dott. Marco Della Luna, autore tra l’altro, insieme ad Antonio Miclavez, di “Euroschiavi” – Edito da Arianna Editrice - e collaboratore di diverse riviste specializzate per fargli qualche domanda.
Ci spiega la reale situazione economica italiana?
Non è da crollo nell’immediato, ma strutturalmente va verso il fallimento o perlomeno verso un inesorabile impoverimento con incremento della pressione fiscale e contributiva. Le principali ragioni sono le seguenti: da circa 18 anni il sistema-paese è bloccato, non si fa ricerca, innovazione, infrastrutturazione; quindi si è perso in produttività e competitività rispetto soprattutto all’Eurozona. L’Italia ha alti costi di produzione (a causa della sua inefficienza e del cuneo fiscale-contributivo) e si trova a competere con paesi esportatori che sono molto più concorrenziali (Cina, India, Pakistan, Romania) per ragioni insuperabili, quali il minimo costo del lavoro, la bassa tutela sindacale, infortunistica, ambientale; inoltre la Cina è proprietaria della sua banca centrale di emissione, ed emette la sua valuta a costo zero (senza indebitarsi) per sostenere la produzione, l’esportazione e l’acquisto di assets esteri. L’Italia è quindi destinata, in un’economia mondiale guidata dall’esportazione (ossia dalla competitività nell’esportare) a perdere posizione dopo posizione. La Germania, nell’interesse della propria economia (soprattutto delle esportazioni), impone all’Italia e ad altri paesi “deboli”, ma potenziali concorrenti della Germania stessa, di mettersi a dieta, di essere virtuosi, cioè di tagliare la spesa pubblica per ridurre il deficit di bilancio e iniziare a rimborsare il debito pubblico. Ma tagliare la spesa pubblica comporta la riduzione del pil e degli investimenti infrastrutturali. E la riduzione del pil a sua volta comporta meno entrater fiscali, anche perché gli imprenditori privati, per tornare a investire, assumere, prodsurre, aspettano che sia lo Stato ad avviare la ripartenza, con investimenti qualificati, infrastrutturali. Quindi la ricetta imposta dalla Germania, dal governo Merkel, porterà recessione e aggravamento del debito pubblico in Italia. Il che è ciò che vuole la Merkel, ossia tagliare le gambe all’Italia e ad altri paesi potenzialmente concorrenti della Germania, indebolendo, soffocando le loro economie, per eliminarli dalla competizione. L’Italia, ossia la sua classe dirigente, ha scarse competenze, però ha sviluppato al massimo grado la capacità di restare al potere anche senza produrre buoni risultati per la collettività, per il sistema paese. Riesce a restare al potere nonostante la sua corruzione e incapacità grazie a una solida rete clientelare e una estesa distribuzione di privilegi, alimentati con spesa pubblica inefficiente se non illegittima, a cui non può rinunciare, altrimenti perderebbe il potere. L’Umbria, ad esempio, ha una spesa sanitaria pari a quella della Lombardia, ma ha 1/10 degli abitanti della Lombardia. Come potrebbe la politica umbra tagliare questa spesa senza tagliare i propri consenti, cioè il ramo su cui è seduta? E’ così più o meno per tutto il Sud e parte del Centro, ma, sia pure in grado minore, per tutto il paese. Quindi la classe politica italiana investe e continuerà ad erogare soldi di cui dispone, dopo il pagamento delle spese correnti, per comperare consensi e supporti, non per investimenti utili al paese; e anche quando fa investimenti utili, poi sappiamo come vengono condotte le opere, a chi vengono affidate…
Ed è quello che sta succedendo anche in Irlanda?
Le vicende irlandesi sono profondamente diverse. L’Irlanda è un paese povero fino a pochi anni fa, che ha fatto un boom industriale e finanziario, che ora si è sgonfiato. Ma mentre il boom tirava, stipendi e prezzi sono saliti alle stelle. Di buono, l’Irlanda ha politici più competenti e un debito pubblico relativamente basso.
Nel libro “Euroschiavi”, scritto da lei, insieme ad Antonio Miclavez, viene sottolineato che l’Italia è sempre più povera a causa del debito pubblico. Cosa significa?
A livello mondiale, l’aumento del debito, pubblico e privato, della società verso il sistema bancario, è continuo. Anzi, è una curva esponenziale, ossia che diventa sempre più ripida col passere del tempo. Bisogna allora capire due punti: a) che cosa ciò comporta; b)perché ciò avviene. Primo punto: questa crescita continua ed esponenziale comporta che una crescente quota dei redditi (delle imprese, delle famiglie, del settore pubblico) deve essere destinata a pagare gli interessi sui debiti (aumentando il debito capitale, aumenta anche la quantità di interessi che si devono pagare); quindi i redditi disponibili gradualmente si riducono, e così pure la redditività degli investimenti (soprattutto di quelli produttivi), finché conviene non investire più, e disinvestire (deindustrializzazione), perché il denaro che si prende a prestito per investire costa più del reddito che produce. Da qui la tendenza alla recessione. Secondo punto: la ragione per cui l’indebitamento complessivo delle società verso il sistema bancario continua ad aumentare ed aumenta a velocità crescente, è matematica, insuperabile, e si può esprimere concisamente nei seguenti termini: premesso che praticamente tutto ciò che usiamo come denaro (dalle banconote ai conti correnti ai bonifici) è generato mediante un indebitamento (lo stato dà titoli di debito pubblico per ottenere valuta legale; cittadini e imprese si finanziano prendendo denaro a prestito dalle banche); e premesso inoltre che tutto questo debito genera interessi passivi che si aggiungono al debito capitale e generando nuovi interessi nel periodo successivo (anatocismo); ciò premesso, la conseguenza automatica e inevitabile è che la quantità di debito (capitale + interesse) di denaro esistente è sempre maggiore della quantità di denaro esistente, e che la differenza, la forbice, continua ad aumentare a velocità crescente. Ne consegue che c’è molto meno denaro che debiti, quindi l’insieme (aggregato) dei debiti non potrà mai essere estinto. Già si ammette che i grandi debiti pubblici non potranno mai essere estinti, rimborsati. Ma la ragione fondamentale di questa impossibilità non è che essi sono particolarmente grandi, bensì sta nella natura del denaro, che è creato come denaro-debito(per tutti) e denaro-credito(per le banche che lo creano). Qualcuno, qualche individuo, qualche imprenditore, qualche paese, può riuscire a ripagare i propri debiti; ma lo può fare solo togliendo agli altri, salendo sulle loro spalle. E’ quello che il governo tedesco sta facendo verso altri paesi come l’Italia.
Oggigiorno le monete non sono coperte da riserve d’oro e di conseguenza non sono convertibili. E’ vero?
Sì, è vero. Dal 1929 è stata praticamente abbandonata la copertura aurea della cartamoneta – copertura che peraltro era parziale, ossia se la quantità di cartamoneta era 100, la copertura in oro era, diciamo, 10. Dal 1971 è cessata completamente la convertibilità in oro, ossia il diritto di chi ha una banconota di esigere dalla banca centrale che la ha emesse la sua conversione in oro. Questo diritto era peraltro limitato, dal 1944 (Bretton Woods) al Dollaro e ai governi. Si tenga però presente che la cartamoneta (banconote) costituisce solo l’8% di tutto ciò che usiamo come denaro, e serve solo per il 2% del valore di tutte le transazioni che avvengono nel mondo. Il grosso di ciò che usiamo come denaro, ossia l’82% o il 98% (a seconda che consideriamo lo stock o il flusso) è costituito da promesse di pagamento emesse dalle banche (assegni circolari, attivi di conti correnti, lettere di credito, medium term notes, etc.), carte di credito/debito.
Ci parla del Signoraggio?
Il signoraggio è il profitto che si realizza attraverso il potere di creare moneta. La banca centrale emette una banconota da 100 Euro o Dollari che le costa zero (perché non la deve coprire con oro) e la scambia con un titolo del debito pubblico che vale 100, che poi rivende realizzando 100. In tal modo ha guadagnato 100 netti e dovrebbe pagare le tasse su questi 100, oppure girarli allo stato. Però fa figurare in contabilità che quando dà la banconota da 100 in cambio del BOT da 100 in realtà si tolga 100 dal patrimonio, ossia contabilizza come se produrre la banconota le costasse 100 anziché zero. In tal modo non figura realizzare questo profitto e non paga tasse su di esso. Le banche di credito fanno una cosa analoga. Ossia, non è che prestino il denaro (la cartamoneta) depositata dai risparmiatori. Non ne hanno bisogno. Quando vai in banca a chiedere un mutuo, la banca ti dà un assegno circolare che stampa sul momento, a costo zero, senza bisogno di avere una copertura in cartamoneta (che del resto non potrebbe esserci, dato che la cartamoneta costituisce solo l’8% di tutto ciò che si usa come denaro). Però, come la banca centrale, fa figurare contabilmente un’uscita di valore, come se si togliesse il denaro di tasca per prestartelo, allo scopo di annullare contabilmente il ricavo che ha realizzato sottoforma di credito di capitale (e interesse) verso di te. In tal modo, non paga le tasse su questa creazione di denaro contabile, o virtuale, o scritturale. In sostanza, il signoraggio è il metodo con cui il cartello delle banche, monopolista del denaro e del credito, estrae a costo zero ricchezza dalla società produttiva.
Come possiamo difenderci?
Conviene evitare di indebitarsi e di tenere beni al sole. Valutare anche l’opportunità di emigrare verso un sistema-paese meglio organizzato e con migliori prospettive. Ciò vale soprattutto per giovani, tecnici, imprenditori non inseriti nel sistema della “casta”. Chi rimane, per i prossimi anni, ha interesse a farsi furbo, a non affidare i soldi al mercato mobiliare, a puntare su investimenti concreti, su monete complementari e alternative, ma soprattutto sul carpe diem, ossia cercare di vivere bene giorno per giorno, realizzandosi nel presente, senza fare piani di lungo termine, perché, oggi più che mai, del domani non v’è certezza.
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