domenica 13 dicembre 2009

Intervista a Franco G. Freda.

Cos’è per lei Piazza Fontana? «Il mio predicato criminale. Farò una ri­chiesta alle autorità per aggiungerlo al mio nom de plume, Luciano Lìcandro. Voi­là: Luciano Lìcandro di Piazza Fontana. Le piace? Suona bene?».

Sempre innocente? «A questa domanda hanno già rispo­sto, autorevolmente, le corti di Catanzaro e Bari. Non si abbia l’insolenza di fingere che questa risposta che dichiara la mia non responsabilità criminale non sia stata data».



Riconosce qualche altra accusa? «Sì, l’attentato che da oltre cinquant’an­ni muovo alla visione del mondo della de­mocrazia».



«Se Freda dicesse la verità», dice il giu­dice Stiz che per primo ha indagato su di lei. «L’unica verità è che sono stati lo­ro: Freda e Ventura». Lo raccontano le sentenze. Cos’è per Freda un giudice, una sentenza? Cos’è la giustizia terrena? «Un giudice è un attaché dell’ordine giudiziario che si sente ministro sacerdo­tale della giustizia. Se la politica è la conti­nuazione della guerra con altri mezzi, la politica giudiziaria, con le sue sentenze, è anch’essa prosecuzione della guerra, gio­cata attraverso la posologia delle sanzioni. Una sentenza è una battaglia. Ma la guerra continua. Non può esaurirsi, impastata com’è di essa la vita.Giustizia è subordinazione dei peggiori ai pochissimi migliori: della massa dei peggiori ai po­chissimi migliori. E’ regime castale. E’ sot­tomissione ai ‘belli-e-buoni’. Non è certo intrisa, la giustizia, di ipocrita bava senti­mentale».



Una strage di Stato. Servizi, copertu­re, depistaggi, strategia della tensione. Cosa ne pensa? «Penso che riesca a darsi da solo la ri­sposta circa l’imbecillità di questo assem­blaggio di elementi, che può giustificarsi solo nel disordine di una rissa politica, cui non è di mio gusto partecipare. Chi ha for­mulato simili ipotesi parla di verità, ma in realtà non la persegue, voglioso di coltiva­re solo il proprio ‘particulare’ interesse. La sua è strategia di astensione dalla veri­tà».



Se qualcuno ha voluto la strategia del­la tensione per creare un nuovo ordine di idee, un cameratismo antisovietico, ha fallito. Non crede? «In qualsiasi comportamento umano c’è tensione. Forse oggi non più, tant’è ve­ro che si ricorre a sostanze psicotrope per eccitarla, oppure ai transessuali. Oggi la tattica è quella dell’entropia, della catato­nia, dell’abbassamento, dell’estenuazione. Io fin dall’adolescenza mi sono riconosciu­to in un sentimento e in una idea del mon­do radicalmente ostili alla democrazia, ov­vero all’egualitarismo, ossia al cristianesi­mo, dunque alla modernità nel suo com­plesso, alla decadenza che la connota. Vi­vendo questa ostilità, ho colto in quei regi­mi castrensi del secolo scorso, meglio no­ti come fascismi, delle forze di reazione, delle insurrezioni contro la decadenza, germinate, tutta­via, dal suolo della moderni­tà. Per impiegare una metafora: nell’autunno della decadenza, i fascismi hanno avuto il significato di una ‘estate di san martino’, che, alla fine, è un preludio alla caduta».



Che sistema ne è uscito secondo lei? « Ma è possibile che lei non avverta quanto la sua domanda sia anacronistica oggi, di fronte al nuovo paesaggio che si disegna, di guerre razziali, di conflitti etnici? Continua a parlare di assetti sociali, di antagonismi ideologici, di istanze distributive di ricchezza, mentre osserviamo le convulsioni, l’agonia in cui si dibatte la nostra razza?



Chi è Franco Freda? «E’ un uomo che ha agito come ha il do­vere di comportarsi un soldato politico, un miliziano, quando combatte dietro le linee nemiche. In questo caso, quelle della democrazia. La sua linea di condotta rima­ne quella cantata da Bertold Brecht, ebreo comunista di rango. Nella mia parafrasi: ‘Chi combatte per il sentimento e l’idea del mondo in cui si riconosce deve conti­nuare la battaglia e interrompere la batta­glia; dichiarare la verità e celare la verità; protendersi e ritirarsi; irrigidirsi e piegar­si da giunco fino a che la corrente non sia passata. Chi combatte per il senso e l’idea del mondo in cui si riconosce ha tra tutte una sola divisa: nulla tralasciare per com­pierli e realizzarli’. La mia vocazione è quella dell’uomo che abbia dignità e ri­spetto di sé».



Ordine Nuovo: un movimento, un’idea, un’illusione o cosa? «Niente. Ma non il niente del nichili­smo. Proprio niente, aria fritta».



Carlo Maria Maggi (il dottore venezia­no di Ordine Nuovo) dice: non c’erano contatti con i padovani, ci si detestava. E’ vero? «L’aria fritta si può detestarla?».



Maggi dice anche che secondo lui la pista più probabile è Valpreda. Come la vede? «Mi scusi, ma l’espressione aria fritta non esaurisce il tutto del niente?».



Secondo l’agente Spiazzi invece, sareb­bero stati gli americani. Tutti dicono la loro. Le viene da ridere? «Ci sarebbe da piangere quando i latrati e i guaiti della canaille raggiungono la lu­na».



Cos’è una strage di gente comune? «Si rivolge a me? Perché non ai dirigen­ti del Pentagono, che hanno pianificato le stragi, l’altro ieri in Serbia, ieri in Iraq, og­gi in Afghanistan? Per non ricordare Hiro­shima, Nagasaki, Dresda, la Palestina… Perché loro non sono testimoni di Evola, ma di Yahvè?…»



Piazza Fontana le ha cambiato la vita? «Non confonda il fatto con la sua proie­zione giudiziaria, processuale. Quest’ulti­ma mi ha imposto quattordici anni di clau­sura, che per me ha significato una guerra di posizione, un radicamento nella mia li­nea di fronte».



Sopporti l’ultima domanda borghese: chi è stato? «E lei sopporti questa massima di Shakespeare: ‘I segreti si affidano al cuo­re, non alla lingua’. E se per assurdo io avessi un segreto, lo affiderei alla sua gaz­zetta cursoria?».



Andrea Pasqualett, “Corriere del Veneto”, 12-12-2009

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