giovedì 17 dicembre 2009

Copenhagen: Chavez urla, salvate il mondo non le banche!

Cifre ''astronomiche'' elargite dai Paesi ricchi per ''salvare banche e banchieri'' e tanto poca generosita' per la lotta ai cambiamenti climatici: ecco il mondo di oggi, nel quale ''lo spettro del capitalismo'' avanza a tappe forzate per ''devastare il pianeta''. Anche oggi non ha deluso il presidente venezuelano Ugo Chavez con il suo intervento al vertice dell'Onu in corso a Copenaghen.



Un discorso focoso come sempre, accolto da tanti applausi e diverse perplessita', ma certamente ascoltato con attenzione dalle migliaia di delegati presenti nella capitale danese. Parole dure contro ''l'imperialismo mondiale'' che regna ancora indisturbato, e il presidente Obama, atteso anch'egli al vertice di Copenaghen. Parole che hanno pero' avuto il merito di dare un soffio di energia ad un'assembblea - oggi come mai - avvolta da un pessimismo che a tratti sfiora la depressione.



Il tutto mentre le Organizzazioni non governative (Ong) lanciano un grido d'allarme e chiedono ai leader uno scatto di reni, una manifestazione di ''coraggio'' per salvare il pianeta sapendo pensare al futuro. E' questa la parte piu' emotiva di questo appuntamento ciclopico voluto dall'Onu a Copenaghen: un vertice diviso tra l'oscuro lavoro di tecnici e sherpa che lavorano ad un documento gonfio di pagine (circa 60) e cifre ed i giovani che manifestano all'esterno tra musica e lacrimogeni. Un vertice che ha lasciato fuori tanti delegati ed osservatori, sinceri ambientalisti che tremano all'idea di un fallimento di 'Cop15', come e' stato chiamato questo summit.



In questo quadro - e in attesa dei leader europei e del presidente americano - oggi si sono sentite chiare e forti le voci alternative dell'America latina: ''dobbiamo smetterla con il sistema capitalistico, con questo modello economico - ha fatto eco a Chavez il presidente boliviano Evo Morales - se vogliamo veramente salvare la terra ed il mondo''.



Meno politiche ma altrettanto drammatiche le parole del capo della delegazione di Tuvalu, il piccolo arcipelago del Pacifico che rischia di sparire con l'aumento dei livelli dell'oceano: ''mi sembra che ci troviamo sul Titanic e che stiamo affondando rapidamente'', ha detto con un efficace paragone con la famosa nave da crociera, Ian Fry, diventato il simbolo della battaglia dei piccoli stati-isola piu' vulnerabili al cambio climatico. ''Ma noi non possiamo lanciare delle boe di salvataggio perche' l'equipaggio ha deciso che noi non affondiamo e ci servono delle consultazioni informali per decidere se si affonda o no'', ha aggiunto. Una ironia amara che Ian Fry ha voluto chiudere cosi': ''e' tempo di mettere in mare le scialuppe di salvataggio. E' tempo di salvare il processo''.



Una giornata di stallo, ''persa'', dicono alcuni. E che il primo ministro del Lesotho nonche' capo dei Paesi meno sviluppati, Pakalitha Mosisili, ha cosi' sintetizzato: noi ricordiamo rispettosamente ai Paesi ricchi che voi avete la responsabilita' di raggiungere un buon accordo. Ma noi, i Paesi poveri, abbiamo il diritto di rifiutare un cattivo accordo e noi non firmeremo un patto suicida''.



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