All’attuale società dello sviluppo, vi è chi contrappone quella dell’equilibrio e della sobrietà. Quale dovrà essere il rapporto quotidiano con i mezzi tecnologici (di qualunque tipo, dalla TV al computer) in un tale modello di società? In altri termini, è possibile pensare ad una società diversa comunque intrecciata con la tecnologia? Oppure gli stessi mezzi tecnologici sono – in virtù della loro sola presenza – i « cavalli di troia» dello sviluppo?
Alain de Benoist. La politica è allo stesso tempo l’arte del possibile e l’arte di rendere possibile ciò che è necessario. Il realismo impone di prendere la società per quella che è, non certo per assecondarla, piuttosto perché ogni progetto ha bisogno di basarsi sulla realtà, non sui fantasmi o sulla nostalgia. La tecnologia funziona «da se» nel senso che il suo intrinseco principio dice che tutto ciò che è tecnicamente possibile, verrà effettivamente realizzato. Per rapportarsi ad essa, ritengo che ci siano tre semplici regole da rispettare. La prima consiste nell’effettuare delle scelte riguardo alle nuove tecnologie, chiedendosi quali siano quelle di cui abbiamo realmente bisogno. Il computer mi è molto utile, la televisione decisamente meno. Riguardo al telefono cellulare, personalmente non lo possiedo – e non vedo per cosa potrebbe servirmi. Essere «raggiungibile in ogni momento» per me non è un vantaggio, quanto piuttosto un incubo. (Per esser franco, non ho mai compreso la passione degli Italiani per il loro telefonino, soprattutto quando si tratta di italiani ostili al dispiegamento della tecnoscienza e della globalizzazione). La seconda regola riguarda l’utilizzo che si fa della tecnologia. Può esistere un uso « intelligente » (guardare alla televisione un programma specifico, che si reputa interessante) o un uso stupido (fare passivamente zapping da un canale all’altro). Infine la terza regola : prendere coscienza dell’ambiguità o dell’ambivalenza intrinseca dell’intero « progresso » tecnologico. Internet, per esempio, è un evidente vettore della globalizzazione (con l’abolizione dello spazio e del tempo), ma può anche essere uno dei mezzi più appropriati per combatterla.
Gruppo Opìfice. La « sensibilità ecologica» appare l’unica in grado di contrastare « la necessità dello sviluppo» . Il superamento della concezione sviluppista presuppone una decrescita? Se sì, cosa si intende e come si realizza?
Alain de Benoist. Sarebbe errato immaginare la «decrescita» come un appello ad un ritorno al passato o ad una brutale degradazione del livello di vita. Questo tema è stato lungamente studiato da Serge Latouche nella sua critica allo «sviluppo sostenibile» (che non è altro che un modo di rinviare o ritardare le scadenze). Prima ancora che una prospettiva economica, le cui implicazioni tecniche non possono essere qui esaminate, la «decrescita» riguarda la sfera della mentalità. Si tratta di cominciare a far «decrescere» l’idea che lo «sviluppo» degli scambi mercantili sia una legge naturale della vita. Il messaggio che pubblicità e media diffondono continuamente è che il benessere passa attraverso il consumo, ovvero attraverso l’appropriazione continua di una quantità sempre maggiore di oggetti. L’assimilazione di tale messaggio dalle coscienze equivale ad una vera e propria colonizzazione dell’immaginario simbolico, dunque non a torto si può parlare di un mutamento antropologico (l’uomo concepito esclusivamente come produttore-consumatore). Per rompere con il primato dell’economia, è necessario imparare ed essere capaci di dire, in numerose circostanze : «è sufficiente» oppure «è abbastanza» piuttosto che: «sempre di più!»
Tratto da: it.novopress.info
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