LA STRAGE NON E’ FASCISTA. CIAVARDINI E’ INNOCENTE
Anche ventotto anni fa capitava di sabato. Ero in vacanza per pochi giorni con un amico. Di soldi all’epoca (all’epoca?) non se ne vedevano molti; sicché dormivamo nei prati vicino alla macchina e ci andavamo a lavare di straforo nei bagni dei camping la mattina dopo. Quel mattino mi svegliai con una sensazione pesante, di un qualcosa che incombe. E in effetti la prima sorpresa non fu divertente. A San Remo, mentre dormivamo sul prato proprio accanto all’auto parcheggiata, avevano forzato il baule e ci avevano ripuliti di tutto, ivi compresi gli scarpini da calcio nuovi ed intonsi che mi portavo dietro perché ogni estate, in un modo o nell’altro, si riusciva a metter su una squadretta per un campionato di due o tre giorni. Quel sabato non sapevo ancora, però, che le vicissitudini mi avrebbero impedito di giocare tornei e indotto ad abbandonare la mia squadra, la SS Falange, che con il mio vecchio compagno di liceo avevo istituito e che vantava buoni risultati per i campetti romani, ivi compresi un paio di tornei prestigiosi vinti, in incontri non davvero di basso livello perché vi partecipavano giocatori di categoria e persino un ex terzino del Taranto e il romanista Scarnecchia (sempre da avversari però). Malgrado la brutta sorpresa la sensazione angosciosa permaneva, sentivo come una minaccia fatale. Pensai a mia madre che era in volo dalla Tunisia a Roma, di ritorno da un meeting di lavoro. Temetti di avere avuto la premonizione di una sciagura aerea. Ma verso l’ora di pranzo riuscii a telefonarle a casa. Sono stupido pensai. Quindi mangiammo (la solita focaccia ligure con un sorso di spuma) e ascoltammo la radio in macchina, visto che l’apparecchio estraibile aveva dormito in sacco a pelo con noi ed era quindi superstite al furto. Seguivamo le Olimpiadi di Mosca, in cui, anche per via del boicottaggio americano, i nostri atleti si coprivano di onori. E fu così che compresi che quella premonizione si riferiva al mio futuro. Notizia di decine di morti veniva dalla stazione di Bologna dove, ancora si diceva, era esplosa una caldaia. Pensai subito: è terrorismo, è terrorismo di stato e se la prenderanno con noi.
Quel massacro ebbe tante conseguenze: in primis il passaggio rapidissimo allo stato d’emergenza, già di fatto pronto dal dicembre precedente, e l’avvio del consociativismo trimalcionico. L’occasione fu colta al volo per centuplicare l’azione disgregante sulle opposizioni e particolarmente su quelle più facilmente demonizzabili, perché espulse a priori dalla comunità “democratica”: i fascisti.
Quel massacro portò allo scompaginamento del nostro gruppo, tutto sommato giovanile assai, con diciottenni reclusi per quattro anni e mezzo e a volte gettati in pasto a guerre carcerarie tra mafie prima di venire assolti e senza scuse. Portò alla disperazione e all’esasperazione. Gonfiò le file dello spontaneismo armato e segnò una cesura storica. Chiudeva il ciclo variegato quanto si vuole del neofascismo per aprire la lunga stagione dei trasformismi, un po’ integralisti, un po’ ecologici, un po’ neobarkeleyani, che avrebbero oscurato e appesantito l’area dei decenni successivi. Segnò molte vite: esili, ergastoli, morti. E finì col creare una doppia e grottesca reazione dei giovani “dannati”. Per rifiutare l’accusa infamante di stragisti essi caddero un po’ troppo spesso nella tentazione di accettare il falso e terribile dogma comunista delle stragi fasciste e attribuirono con disinvoltura lo stragismo alla generazione che li aveva preceduti affrettandosi a prenderne le distanze. Eppure questo sforzo comprensibile ma non lodevole non li mondò dall’infamia. Tanto che l’unica strage che abbia come colpevoli ufficiali persone che, per caso o per vocazione, appartengono al mondo della destra radicale, è proprio quella di Bologna e tra i colpevoli - di comodo! - vede proprio chi tutto fece, ivi compreso il “ricotruzionismo storico”, per togliersi di dosso quell’accusa. Ma la vita non ha segreti: è quando si teme particolarmente qualcosa che la si suscita ed è quando ci si scalmana e si scalpita per evitarla che la si produce.
Che la strage di Bologna non sia fascista non è un segreto per nessuno, così come non lo è il fatto che alcuni vogliono che resti comunque fascista. Sulle cause e sugli autori si è detto di tutto e il contrario di tutto. Io, che ho la cattiva abitudine di leggere dietro le righe e di capire dove certi vanno a parare, sono contrario a ricostruzioni di comodo che ritengo del tutto inutili per Luigi Ciavardini e per i due che sono stati condannati con lui, ma sono a piede libero. Ho ben più che il sospetto che esse servano solo a rafforzare un partito politico trasversale e, magari, a favorire qualche carriera. Nei limiti del possibile mi sono fatto un’idea di quel massacro, ma è chiaro che non può essere certa né esaustiva. Quel che però non si capisce (no?) è come mai non s’interroghino in proposito quegli ufficiali dei servizi segreti già condannati per le costruzioni di false piste e non si domandi loro come fecero ad usare, nelle loro trappole infami, lo stesso esplosivo di Bologna prima che la perizia stabilisse qual era. Né come mai la prima pista fu confezionata tre settimane prima della strage.
Sembra poi (sembra?) che nessuno voglia mettere davvero il dito sulla piaga e ripetere, come fece a suo tempo l’onorevole Formica, capogruppo craxiano alla Camera, che il nostro Paese (non più Nazione) non ha sovranità, che per una clausola semisegreta del tempo del gran voltafaccia sabaudo/badogliano ha accettato di essere luogo di occupazione totale ma discreta. Così ci potrebbero parlare non già delle troppo facili e poco impegnative azioni libiche e palestinesi compiute nell’espressione geografica di cui parlò Metternich, ma delle più articolate azioni sovietiche, ceche, bulgare, francesi, tedesche e soprattutto dei due principali soggetti della strategia della destabilizzazione: Inghilterra e Israele. E si potrebbe concludere che la naturale politica mediterranea dell’Italia causò una serie di reazioni belliche non convenzionali e, soprattutto, da parte degli “alleati”.
Tutto questo avverrà, forse, tra una cinquantina d’anni. Prima magari passerà un’altra verità, tarocca, che servirà a coprire quella vera capovolgendola; ed è per questo che sono molto restio e sospettoso nei confronti di chi oggi presenta rivelazioni sconvolgenti. Intanto un innocente è prigioniero; non solo è bollato di un crimine infame ma è recluso. Contro di lui non c’erano neanche gli indizi per rinviarlo a procedimento ma è intervenuta la ragion di Stato (esiste uno Stato in Italia?) e, benché chiunque, da Cossiga ad Andreotti, sappia con assoluta certezza che è innocente nessuno fa alcunché per liberarlo. E questa, tra tutte le vergogne e tra tutte le atrocità che stanno dietro Bologna è la più vergognosa atrocità, è la vergogna più atroce.
Gabriele Adinolfi
Da: Il Fondo
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