venerdì 18 luglio 2008

Omaggio a Karl Unterkircher.

BERGAMO — Ci sono articoli, in questo strano mestiere, che non avresti mai voluto scrivere. Sono quelli che raccontano della morte di persone che conosci direttamente, amici o parenti. Stavolta, mi tocca scrivere di un amico scomparso, mentre le dita faticano a scorrere sulla tastiera, rallentate dal dolore.


Karl Unterkircher era un mio amico. Lo conoscevo da tre anni. Era una bella persona, di quelle che vale la pena incontrare. Aveva una compagna e tre figli che adorava. Così come adorava quelle montagne che sono state la sua vita e che la vita gliel’hanno tolta.


Nell’alpinismo era un “natural”. Un talento naturale, quel piccoletto tutta calma, tecnica e coraggio. Aveva dentro di sè una dote straordinaria: la serenità, che gli consentiva di passare indenne fra le bufere e raggiungere anche gli obiettivi più difficili, come la terribile parete del Gasherbrum II, lo scorso anno, o il Jasemba con Kammerlander, sempre nel 2007.


Unterkircher era un uomo vero: capace di confessare paura e stanchezza ma di mantenere i nervi saldi. Aveva negli occhi la pace e il silenzio delle montagne. Quegli spazi di bellezza infinita che tolgono fiato e parole. Sempre gentile e disponibile, educato e sorridente, Karl era una mosca bianca in un ambiente, quello dell’alpinismo, fatto per la maggior parte da boriose superstar (vere o presunte). Lui Karl Unterkircher, l’unico alpinista al mondo ad aver scalato nel giro di due mesi Everest e K2, era invece l’anti-star per eccellezza.


Modesto, aveva preso con timidezza quell’onorificienza - Cavaliere della Repubblica - con cui Ciampi lo aveva insignito per le sue imprese. Il garbo lo distingueva da tanti suoi colleghi “fracassoni”. La sua ricerca interiore e un’innata curiosità, lo avevano spinto a cercare nuove vie e un alpinismo diverso. Come nel 2006, quando insieme a altri tre temerari andò alla scoperta delle inesplorate montagne cinesi e del Monte Genyen - il cervello, come lo chiamava lui - immortalati in uno splendido film firmato dall’amico Armin Wiedmann.


Di Karl ora restano le immagini impresse in eterno su una pellicola. Così come eterni saranno alcuni ricordi legati a questo “piccolo uomo delle grandi montagne”. Pescando dal cesto del passato mi viene in mente quando m’invitò ad andare trovarlo in Alto Adige con la mia famiglia. Avevo pensato che sarebbe stato bello, per la mia bimba piccola, correre su quei prati dell’Alpe di Siusi o della Val Gardena, di cui Karl e i suoi bimbini conoscevano ogni filo d’erba. Non abbiamo fatto in tempo.


Di lui mi resterà il ricordo di un uomo sincero, fino al midollo. Dalla stretta di mano forte come una roccia e capace di piccole gentilezze. Ricordo che, ogni volta che veniva a trovarci in redazione, portava dall’Alto Adige il suo buonissimo strudel. E per noi era una piccola festa, fatta di sorrisi e pacche sulle spalle. Il suo italiano, lento e talvolta zoppicante, lo rendeva buffo. Così come buffe erano le sue pause di riflessione per tradurre le parole dal tedesco all’italiano. Il suo senso dello humor, in salsa italo-teutonica, era irresistibile. Così come le sue smorfie quando non capiva le “strane” parole del Belpaese.


E dire che per gli italiani Karl avrebbe dato la vita. Presidente dell’Aiut Alpin Dolomites, con il suo elicottero del soccorso alpino ha portato in salvo decine di persone in difficoltà sulle vette altoatesine.


Insomma aveva doti di equilibrio psichico da vendere Karl Unterkircher. E in fondo, era un po’ fatalista. Una volta una mia giornalista gli chiese se non avesse paura di morire lassù, sulle grandi montagne. Lui, con una calma olimpica che ci lasciò di sasso, rispose: “Quando il Signore ci chiama, bisogna andare”.


 


Wainer Preda, da www.montagna.org

1 commento:

  1. Dal suo blog:



    28 giugno. Riesco subito ad addormentarmi e a sognare… dopo un po’ mi sveglio, sento che il vento si alza e fissando la mia lampada frontale torno alla realtà! Siamo qui per una “missione”… quella parete… quel seracco a metà parete… non mi esce dalla testa. Ci vorranno sicuramente 10-12 ore per salire il seracco, mi chiedo se saranno ore inutili, ore che ci impediranno la salita? Cerco di riaddormentarmi, ma la mia mente è confusa da tante domande. La probabilità che il seracco piombi giù in quelle ore, è minima. Di certo non è una roulette russa. Però, mai dire mai! Siamo nati e un giorno moriremo. In mezzo c’è la vita. Io la chiamo il mistero, del quale nessuno di noi ha la chiave. Siamo nelle mani di Dio, e se ci chiama… dobbiamo andare. Sono cosciente che l’opinione pubblica non è del mio parere, poiché se veramente non dovessimo più ritornare, sarebbero in tanti a dire: “Cosa sono andati a cercare là? Ma chi glielo ha fatto fare?”. Una sola cosa è certa, chi non vive la montagna, non lo saprà mai! La montagna chiama!

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