MYANMAR: VECCHIE STORIE DI VIOLENZA, NUOVI INTERESSI STRATEGICI EDECONOMICI
Non era mai successo che la politica americana si interessasse così intensamente alle condizioni dei numerosi prigionieri politici e delle etnie che sono giornalmente attaccate dai militari del Myanmar. La recente visita di Hillary Clinton (a fine novembre 2011) nella ex-Birmania, secondo il più alto rappresentante della politica estera americana, sarebbe servita per incoraggiare le riforme democratiche e per consolidare i rapporti tra i due Paesi.
Di sicuro, il Myanmar, vuole aprirsi economicamente agli Usa e ad altri paesi occidentali ma non vuole perdere lo storico alleato cinese. Tant’è che poco prima che la Clinton si recasse alla tre giorni birmana, il ministro della difesa del Myanmar, il generale Min Aung Hlaing, era volato a Pechino dove ha siglato un accordo di cooperazione difensiva e Xi Jingping, vice presidente cinese, aveva affermato l’intenzione di rafforzare la collaborazione strategica tra i due Paesi. Il presidente del Myanmar, Thein Sein (foto), alla fine della scorsa settimana ha liberato diversi dissidenti birmani, considerati di primo piano, dopo anni di detenzione e ha attuato uno sconto di pena per quelli rimasti ancora in prigione. Nelle stesse ore, una delegazione birmana, guidata dal ministro ferroviario Aung Min, ha incontrato diciannove membri della delegazione della commissione di pace dell’Unione Nazionale Karen (KNU), per una trattativa volta ad un cessate il fuoco. La riunione tra gli esponenti del governo birmano e quelli del KNU, ha portato ad una dichiarazione d’intenti che non equivale ad un cessate il fuoco come gli organi di stampa internazionali hanno riportato. Le trattative, secondo il vice presidente del KNU, David Thackarbaw, saranno molto complesse e avranno bisogno di tempo. Subito dopo questi avvenimenti, Hillary Clinton, attraverso un comunicato pubblico, ha dichiarato: “Abbiamo visto progressi su diversi fronti. Mi unisco al presidente Obama nel dare il benvenuto alla notizia che il governo birmano ha liberato centinaia di prigionieri politici, molti dei quali sono stati in carcere per decenni. Questo è un sostanziale passo in avanti nel dichiarato impegno del governo del Myanmar per la riforma politica – e ha continuato – voglio anche dare il benvenuto alla notizia di un cessate il fuoco che è stato firmato tra il governo e l’Unione Nazionale Karen”. Come detto sopra, non è stato ancora siglato nessun cessate il fuoco, anche perché, nel Myanmar, solo il presidente ha l’autorità per firmare un accordo di così elevata importanza e, per il KNU, solo il comitato centrale. A fermare l’entusiasmo statunitense per il nuovo governo del Myanmar, civile solamente di nome, che ha “rimpiazzato” la giunta militare al potere da dopo la fine del secondo conflitto mondiale, non dovrebbero essere solo le parole di David Thackarbaw, ma anche quelle di una nutrita parte della popolazione che vede in queste presunte riforme democratiche una farsa alla quale sono abituati ormai da tanti, troppi anni. Molte etnie sanno per esperienza che, mentre i birmani parlano di pace, continuano a fare la guerra. Lo sanno bene i volontari dell’Esercito di Liberazione Karen e i soldati del Kachin Independence Army che ogni giorno sono pronti a difendere i propri villaggi, scontrandosi con l’esercito birmano. Secondo Nant Bwa Bwa Phan, membro del consiglio della Rete Europea Karen, nell’ultimo anno il numero della popolazione civile costretta a fuggire dalle proprie case, a causa degli attacchi dei soldati regolari, è aumentato e le violazioni dei diritti umani sono raddoppiate, passando da una media annuale di circa 70.000 caso a quasi 150.000. Anche l’uso sistematico dello stupro da parte dei militari birmani, che spesso colpisce anche i bambini, è cresciuto. Moon Nay Li, portavoce della Kachin Women’s Association Thailand, ha dichiarato al quotidiano The Irrawaddy che “la situazione invece di migliorare è peggiorata sempre di più; l’impunità sancita nella costituzione per i vertici militari, non aiuta a punire i casi di abusi commessi dall’esercito nei confronti della popolazione civile e in particolar modo alle donne”. Lo stesso presidente Thein Sein, quando vestiva i panni del generale e prestava servizio nello Stato Shan, permetteva ai suoi soldati di violentare, uccidere e saccheggiare i civili. Il nuovo governo birmano (emanazione della giunta militare), vuole migliorare la propria immagine internazionale per far rimuovere le sanzioni occidentali e, soprattutto, per conquistare la presidenza dell’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale (Asean). Dall’altra parte abbiamo gli Stati Uniti che, puntando a un ridimensionamento degli affari economici della Repubblica Popolare Cinese (ormai turbo capitalista), si vuole avvicinare al Myanmar sia dal punto di vista geopolitico, sia dal punto di vista commerciale. Non a caso, prima della storica visita di Hillary Clinton in Myanmar, in occasione del vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation ad Honolulu Barack Obama aveva dichiarato che la regione Asia-Pacifico è assolutamente importante per la crescita economica degli Stati Uniti. Mr. Obama, poi, ha recentemente affermato che la nuova strategia militare americana prevede di rafforzare la presenza yankee nella regione dell’Asia-Pacifico riducendo, progressivamente, i soldati presenti in Europa. Il Myanmar è un paese dall’alto profilo strategico, a cominciare dalla posizione geografica, fino ad arrivare alla ricchezza di numerose risorse naturali. Come se questo non bastasse, non bisogna sottovalutare le relazioni che il governo birmano intrattiene con la Corea del Nord, soprattutto per quanto riguarda la cooperazione in campo balistico e nucleare. Questo potrebbe essere un ulteriore motivo che spinge la politica statunitense a voler piantare un’altra bandiera nella nuova capitale birmana di Naypyidaw. Anche dietro l’inattesa sospensione della costruzione della diga idroelettrica cinese di Myitsone sul fiume Irriwaddy (un progetto che valeva miliardi di dollari), mascherata da opposizione popolare al progetto, potrebbe esserci la mano a stelle e strisce. Intanto, nel sud-est asiatico, secondo un rapporto diffuso dal dipartimento Onu per la droga e il crimine, la coltivazione di oppio dal 2006 ad oggi è raddoppiata, in particolare nel paese di Thein Sein, ha avuto un incremento del 14% solo nel 2011. Forse, anche questo, fa parte della (presunta) democrazia economica verso la quale si sta avviando il Paese.
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