Lo splendore del luogo e la bellezza del suono insieme a Orvieto, tappa di un viaggio incantato favorito dalla maestria e dal buongusto di Laura Musella, creatrice nel 2002 del “Progetto Omaggio all’Umbria”, e artefice diretta del successo della proposta che ha creato un sistema d’attese nel pubblico e ormai superato i limiti della Regione. Infatti gli eventi proposti da “Omaggio all’Umbria” attraverso la RAI che riprende ogni anno le manifestazione di maggiore spicco per poi riproporle sul canale principale per un pubblico non solo nazionale, nel corso degli anni hanno finito per diventare un momento fra i più attesi per chi ama la buona musica.
Sotteso da un pensiero organizzato, da un progetto appunto, ecco proposto anche “Assisi nel Mondo”, un festival che è emanazione di “Omaggio all’Umbria”, che consiste in una serie di ben 17 appuntamenti che si concretizzeranno attorno alle esibizioni di giovani e giovanissimi artisti provenienti da ogni parte del mondo che porteranno il loro talento in diverse città umbre, e che avrà fra i suoi punti di forza l’esibizione il 3 maggio di Uto Ughi con l’orchestra I Filarmonici di Roma nella splendida Valle Fiorita di Castelluccio di Norcia. “Assisi nel Mondo” accompagnerà il pubblico umbro e non solo fino al 23 luglio, quando nel Duomo di Orvieto risuoneranno le note della Lincolnshire Youth Orchestra, una formazione composta di 82 elementi con età variabile dai 12 ai 20 anni che sarà diretta da Nigel Marley.
Il momento più atteso, espressione più fulgida dell’amore che l’artista e manager culturale folignate Laura Musella destina alla sua Regione, è certamente il grande concerto di Pasqua, ideale inizio della stagione festivaliera umbra, che si muove attorno al direttore di levatura internazionale Zubin Mehta e alla sua orchestra e al Coro del Maggio Musicale Fiorentino. Quest’anno il programma consisteva nel Requiem di Giuseppe Verdi, risuonato nel Duomo di Orvieto reso se possibile più suggestivo da una cura dell’illuminazione del tutto straordinaria, studiata per una perfetta sincronia con i momenti musicali, che sono stati sottolineati dal cambiamento delle luci che incendiavano del rosso infuocato della passione tormentosa dell’uomo di fronte al terribile mistero della morte o che si elevavano con gli azzurri più eterei nei momenti più rasserenati.
Altre lucette diffuse come stelline rendevano più evidenti le belle volte e i colori degli affreschi. E qui, in un baluginio d’oro, l’ambientazione così particolare e sintonica con l’opera presentata, i suoni dell’orchestra, la musicalità del coro e le voci dei quattro solisti, coordinati dalla classe direttoriale di Mehta, ancora una volta hanno permesso il riprodursi dell’incanto e della magia. Dalle mani del direttore, che formavano aerei merletti nell’aria, scendeva sul pubblico attento come un desiderio di riflessione che andava al di là del mero ascolto e attingeva di più ad una partecipazione attiva. E certo l’opera di Verdi, grandioso affresco di emozioni umane, con la sua teatralità e il groviglio di sentimenti che racconta ha sempre una penetrazione emotiva. La Messa da Requiem era stata suggerita al maestro di Busseto dalla volontà di celebrare la morte di Gioacchino Rossini, avvenuta nel 1868. Verdi avrebbe voluto comporre un requiem a più mani, una sorta di mosaico al quale avrebbero partecipato grandi musicisti dell’epoca. Allo scopo era stata nominata una commissione che avrebbe fatto delle scelte tecniche e artistiche. L’iniziativa, brillante sulla carta, era fallita ben presto per le gelosie degli esclusi. Alcuni anni dopo, alla morte di Alessandro Manzoni, Verdi riprese in mano il progetto, decidendo di applicarsi da solo alla composizione di una messa da morto da eseguire ad un anno esatto dalla scomparsa del celebre scrittore. Così il 22 maggio del 1874, nella Chiesa di San Marco, con Giuseppe Verdi sul podio e solisti del calibro del soprano Teresa Stolz, Maria Waldemann, mezzosoprano, con il bravo Capponi tenore e il basso Maini, si potè finalmente ascoltare quest’opera religiosa e profana insieme, ricca di valori plastici, di immaginazioni suggestive e di pathos, dove l’immagine dell’uomo di fronte all’ineludibile morte racconta la paura e l’angoscia dell’ignoto. Nel Duomo di Orvieto Zubin Mehta ha saputo cogliere la profondità e il senso sacrale della vita e della morte, la ritualità del passaggio e ha condotto con mano sicura e consueta sensibilità la grande Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, appena tornata da una tournée in Giappone interrotta per il terribile terremoto e le sue devastazioni. Ottima anche la prestazione del coro, istruito da Piero Monti.
Non da meno il gruppo dei solisti, perfettamente amalgamati e di alta qualità vocale e artistica. Sul palco, abbiamo apprezzato Kristin Lewis, soprano di colore, che unisce alla bellezza di un fisico prorompente e fascinoso la voce particolarmente espressiva e di smagliante colore. Non da meno Elena Maximova, mezzosoprano russo che sarà Carmen Alla Scala e al WienerStaatsoper, e ancora Massimiliano Pisapia, tenore e Roberto Scandiuzzi, basso, tutti applauditissimi meritatamente con una standing ovation.
Di Franzina Ancona, www.rinascita.eu
sabato 30 aprile 2011
Omaggio all’Umbria: riflessioni sulla soglia dell’eterno.
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