Abbiamo incontrato ed intervistato Mohammad Hannoun, Presidente dell’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese, approfittando della sua presenza a Marino, in occasione della manifestazione organizzata dalla Casa della Famiglia con un triangolare di calcio tenutosi lunedì scorso allo scopo di raccogliere fondi per inviare un defibrillatore e altri strumenti ad uno dei campo profughi palestinesi in Libano.
Con Hannoun, c’erano Giovanni Sorbello, Responsabile dell’Associazione Popoli per i Progetti in Libano e in Palestina che ha fatto da tramite tra la Casa della Famiglia e l’Associazione di Hannoun e Franco Nerozzi, Presidente di Popoli. Insieme portano in giro per l’Italia questa macchina di solidarietà che mira, oltre che a raccogliere aiuti, anche a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla sorte degli oltre 400 mila profughi palestinesi sparsi nei campi in Medio Oriente. Visto il tema di estrema attualità, non poteva mancare un pensiero al volontario italiano, Vittorio Arrigoni, ucciso da una cellula salafita la scorsa settimana a Gaza.
Signor Hannoun, ci parli della sua associazione. Quando nasce e dove e di cosa si occupa?
L’Associazione Benefica di Solidarietà con il Popolo Palestinese nasce a Genova nel 1994 e da allora si adopera per inviare aiuti concreti ai palestinesi sparsi nei campi profughi in Giordania, Siria, Libano e Palestina nei territori occupati. Ci dedichiamo in particolare alle adozioni a distanza perché da dopo la prima intifada, nel 1987, il numero degli orfani e delle famiglie senza padre sono aumentate a dismisura e la situazione è sempre più grave. Stiamo cercando di sensibilizzare italiani e musulmani in Italia su questa situazione.
In concreto, in cosa consistono gli aiuti?
Distribuiamo cartelle scolastiche, regali ai bambini come i giocattoli, abbigliamento, tutte cose che qui sembrano banali, ma che nei campi profughi e in Palestina, dopo l’embargo, sono difficilissime da trovare. Ovviamente aiutiamo non solo gli orfani, ma anche i bambini e le famiglie più bisognose. In questi luoghi c’è bisogno di tutto, dalla ricostruzione delle case, ai farmaci per gli ospedali. Tanti non sanno in occidente cosa vuol dire vivere, anzi sopravvivere, in un campo profughi.
Voi li avete visitati in prima persona, raccontateci al vostra esperienza.
Siamo andati nel dicembre scorso in questo campo profughi libanese e già per entrare è stato difficilissimo. Attese lunghissime, controlli estenuanti e scuse varie per non dare il permesso. Alla fine abbiamo dovuto minacciare una denuncia sui giornali e siamo riusciti ad entrare solo per vedere con i nostri occhi una situazione tragica. Condizioni di vita ed igieniche tremende, i profughi non possono uscire dai campi, non possono costruirsi una casa, non possono avere accesso a cure adeguate. Anche se sono laureati, è proibito ai profughi esercitare ben 63 professioni. Se un profugo palestinese è medico o ingegnere, ad esempio, non può esercitare e al massimo può farsi impiegare in nero. Nel campo non entra niente, quindi anche gli aiuti come i macchinari medici, se arrivano dall’estero vengono sequestrati.
E come farete voi, allora?
L’unico metodo è andare in Libano con i soldi e comprare gli strumenti medici lì e poi farli entrare, bisogna rilasciare una dichiarazione dettagliata che descrive cosa si acquisterà e per quanti soldi e poi si può procedere.
Come è nata la collaborazione con Popoli, Signor Nerozzi?
Con Hannoun ci conosciamo da anni, abbiamo iniziato dalle adozioni e ora con loro possiamo andare direttamente sui luoghi in cui serve un aiuto concreto, come è successo con la Birmania. A Marino abbiamo sempre trovato un’accoglienza incredibile, soprattutto grazie al lavoro e all’impegno di Cinzia Minucci che è la nostra responsabile qui e che è riuscita a far sposare queste cause all’amministrazione comunale e a tanti cittadini che ora operano anche come volontari. Ora iniziamo questa nuova avventura in Libano, grazie ad Hannoun, e speriamo di riuscire a dare una mano, anche se la situazione è davvero preoccupante.
Tornando al Presidente Hannoun, è d’obbligo una domanda di estrema attualità: l’uccisione di Vittorio Arrigoni. Cos’ha significato quest’atto terroristico per i Palestinesi?
Quest’atto tremendo e insensato è stato un colpo anche per noi palestinesi. Vittorio Arrigoni e tutti i pacifisti e volontari che vengono ad aiutarci e a darci una mano, sposando la nostra causa, sono per noi eroi, e questo assassinio non è un atto solo contro la sua vita e la sua opera, ma anche contro la stessa Palestina. Vittorio viveva in Palestina dal 2008, aveva passato tante disavventure per aiutare il nostro popolo, era stato minacciato, imprigionato ed espulso da Israele. Aveva difeso gli agricoltori e i pescatori nei territori occupati, ha rischiato la vita per noi, questo per noi significa essere un leader. Il Governo di Gaza ha chiesto giustizia immediata e la pena di morte per i colpevoli, perché uccidere un amico che veniva ad aiutarci significa macchiare l’immagine della Palestina e della sua lotta. Per noi Vittorio è un martire di Stato e il Governo gli ha dedicato una via a Gaza e gli ha dedicato i funerali di Stato. Non lo riporterà certo alla mamma, che ho sentito per telefono, ma è una piccola dimostrazione della riconoscenza del popolo palestinese per quanto ha fatto per noi. Ora la giustizia speriamo faccia il suo corso, perché chi compie questi atti non è con noi, ma probabilmente un collaboratore pagato da altri per minare la nostra lotta.
Di Francesca Marrucci, http://www.paconline.it/wordpress/blog/archives/50884
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