Fabio Polese intervista Daniele Scalea
(ASI) Agenzia Stampa Italia ha incontrato Daniele Scalea, segretario scientifico dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), redattore della rivista di studi geopolitici Eurasia, autore de “La Sfida Totale” e co-autore, insieme a Pietro Longo, di “Capire le rivolte arabe”.
E’ sempre più difficile ottenere notizie indipendenti su quello che sta succedendo in Libia. I media mainstream rimbalzano la notizia di una Libia liberata dal Rais Muhammar Gheddafi. Cosa sta succedendo e chi c’è dietro questa rivolta?
Sta succedendo che, dopo l’assassinio del generale Younes (comandante militare del CNT) da parte degli estremisti islamici, il fronte dei ribelli si è spezzato. La NATO, nel timore che la missione si concludesse con un clamoroso insuccesso, ha preso in mano la situazione e, con l’ausilio di ribelli islamisti in loco ma principalmente servendosi delle sue forze speciali, di mercenari stranieri e d’intensissimi bombardamenti aerei, è riuscita a conquistare Tripoli. I governativi hanno opposto una fiera resistenza, ma ormai appaiono quasi completamente debellati nella capitale. Tuttavia, ritengo che la situazione in Libia sia ben lungi dal potersi considerare stabilizzata. La guerra, a mio giudizio, proseguirà ancora a lungo, sebbene i media occidentali la proporranno da oggi in poi come “lotta al terrorismo” o qualcosa di simile. Il punto è che i vertici del Governo libico sono stati scacciati da Tripoli, ma non eliminati. Ed allo stato attuale possono contare ancora sul controllo di molte città e l’appoggio della maggior parte delle tribù. Certo possibili mediazioni e corruzioni potrebbero far deporre le armi ai lealisti, ma bisogna rendersi conto che, dopo Gheddafi, il quadro libico risulterà ancor più frastagliato e confuso. Lui è l’elemento di stabilità nel paese, ed il CNT è ancora un’entità poco rappresentativa e che riunisce componenti molto, troppo eterogenee al suo interno (dagli ex affiliati a Al Qaeda ai liberali espatriati negli USA). Inoltre, il ruolo decisivo delle truppe straniere nella vittoria della battaglia di Tripoli (ed eventualmente della guerra civile) non farà che ridurne il prestigio presso la popolazione ed i capitribù. La caduta di Tripoli, in realtà, aumenta il rischio di fare della Libia una nuova Somalia. La soluzione negoziale che sembrava stesse uscendo dagl’incontri di Djerba avrebbe garantito un futuro migliore tanto al paese quanto alla regione mediterranea. Ma, evidentemente, non è questo l’obiettivo dell’alleanza atlantica.
Ieri per la prima volta fonti della difesa britannica hanno confermato che uomini dei S.A.S. – i corpi d’elite britannici – sono da settimane in Libia dove hanno avuto un ruolo chiave nella presa di Tripoli. Cosa potrebbe succedere nel “dopo regime”? Verrà inviata una missione di peacekeeping internazionale o il mantenimento della sicurezza verrà affidato al Consiglio di Transizione Nazionale libico?
Le truppe straniere – atlantiche e delle monarchie arabe – sono già nel paese, e dunque non se ne andranno. Il CNT, per quanto visto finora, non è in grado di assumersi l’onere di stabilizzare il paese. Credo che l’invasione di Tripoli abbia segnato una svolta nella guerra di Libia: la sua trasformazione in una vera e propria invasione ed occupazione straniera del paese. Anche se, ovviamente, le parti in causa eviteranno di chiamarla per il suo vero nome. Minimizzeranno il ruolo dei soldati stranieri nel conflitto, e non parleranno più di guerra, ma di lotta del nuovo governo (plausibilmente un governo fantoccio degli occupanti) contro i resti del passato regime per pacificare il paese.
Il portavoce del ministero degli esteri cinese ha dichiarato: “Sappiamo dei recenti cambiamenti nella situazione libica e chiediamo il rispetto della scelta del popolo della Libia. La Cina è pronta a cooperare con la comunità internazionale per giocare un ruolo attivo nella ricostruzione della Libia”. Che ruolo potrebbe avere la Cina – sempre attenta alle vicende globali – nel post Gheddafi?
La Cina si comporta sempre allo stesso modo: non rifiuta il dialogo con nessuno, non ingerisce negli affari interni di nessuno. A Pechino sarebbe stata bene la permanenza al potere di Gheddafi; ora sta bene l’insediarsi del CNT. Il suo unico interesse è tornare a commerciare al più presto con la Libia, convinta che l’amicizia del paese nordafricano s’otterrà coi rapporti economici e finanziari.
Fra pochi giorni ricorre l’anniversario della firma del trattato di amicizia Italia-Libia. Il trattato è stato sospeso unilateralmente e l’Italia ha preso parte all’attacco militare della NATO. Quali effetti economici e strategici ha portato e porterà per l’Italia questo cambiamento?
In questo momento il ministro Frattini, tra i principali artefici dell’intervento italiano contro la Libia, sta godendosi il suo momento di gloria: alla fine la fazione scelta pare abbia vinto la guerra, e promette di non rivedere in negativo i rapporti con l’Italia. Il fatto che tali risultati si siano ottenuti con un plateale ed indecoroso voltafaccia e tradimento, basterebbe già da solo ad invitare a non fregarsi troppo le mani. Ma il gongolare è ancor più ingiustificato perché, purtroppo per Frattini e per l’Italia, difficilmente i suoi sogni si realizzeranno. La Libia rimarrà a lungo instabile, in preda a scontri intestini. Il flusso di petrolio e gas riprenderà ma in maniera meno regolare che in passato. E gli architetti della guerra e del cambio di regime – Gran Bretagna, Francia e USA – non lasceranno certo che l’Italia continui a godersi la fetta più grossa della torta libica.
Contemporaneamente a quello che sta accadendo in Libia si è parlato spesso della situazione in Siria. Nei telegiornali scorrono esclusivamente le immagini di quella che, dagli occidentali, è stata chiamata “rivoluzione siriana”. Secondo lei, è vicina una risoluzione ONU contro il governo di Bashar al-Assad? E come potrebbe reagire la Russia che ha l’unica base militare nel Mediterraneo proprio in Siria?
Questa è una previsione molto più difficile da fare, poiché vi sono segnali contrastanti. Da un lato, il successo finale (o percepito tale) dell’attacco alla Libia potrebbe suggerire alla NATO di ripetere l’esperimento in Siria. D’altro canto, la Libia potrebbe trasformarsi in un grattacapo ancora maggiore, e di lunga durata, se come ho ipotizzato le truppe straniere dovessero stabilirvisi per pacificarla (ecco perché il ministro La Russa ha auspicato lo stanziamento di soldati africani e arabi, anziché europei e nordamericani). Inoltre, in Siria sembra apparentemente passato il momento peggiore per il governo: ha concesso riforme importanti, gode dell’appoggio della maggioranza della popolazione (perché anche il grosso dell’opposizione è ostile alla lotta armata ed all’intervento straniero), è riuscita a reprimere le insurrezioni armate, per quanto permangano ancora focolai di violenza, spesso alimentati da oltreconfine. Le monarchie autocratiche del Golfo faranno pressione per un intervento della NATO in Siria, perché sperano di instaurare – come in Libia – una nuova monarchia islamista, e di sottrarre un alleato all’Iran. La Russia, a rigor di logica, dovrebbe opporsi ad un nuovo tentativo d’erodere la sua influenza nel mondo, ma l’atteggiamento arrendevole l’ha già portata a piegarsi più volte, soprattutto quando la posta in palio si trovava al di fuori dello spazio post-sovietico.
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