di Fabio Polese, www.agenziastampaitalia.it
(ASI) Nel giorno della sentenza in appello, Perugia è nuovamente invasa da giornalisti americani che proclamano l’innocenza della loro connazionale. Più di quattrocento sono stati i giornalisti accreditati al processo dell’anno. Alcuni, addirittura, hanno trascorso la notte davanti all’ingresso del tribunale per essere in prima fila nell’ultimo atto – per ora – di questo tristissimo show mediatico.
Diversi giornalisti statunitensi sono stati intervistati da tv locali e nazionali e, come dei pappagalli addomesticati, hanno urlato fino alla nausea l’innocenza della loro connazionale Amanda Knox. Sinceramente, non mi sono mai occupato del caso giudiziario in questione, anche perché, da perugino, ho avuto sin da subito la nausea. La mia città è stata violentata, definita la città dello sballo e della droga tout court. Tra l’altro, non considerando che la vicenda è a tutti gli effetti una violenza privata e che, anche volendo, nessuno sarebbe potuto intervenire. E, non in ultimo, non è stato neanche considerato che tra i protagonisti della triste storia non c’è nessun perugino. Detto questo, però, mi sono incuriosito leggendo le reazioni dei media, delle autorità e dell’opinione pubblica statunitense, subito dopo la sentenza di primo grado che aveva condannato a 25 e 26 anni Amanda Knox e Raffaele Sollecito, per l’omicidio della giovane studentessa inglese Meridith Kercher.
La senatrice Usa Maria Cantwell, riferendosi al processo di Perugia, aveva sottolineato che la condanna della ragazza americana era arrivata nonostante una evidente «mancanza di prove» rilevando «una serie di difetti nel sistema di giustizia italiano» e aveva dichiarato che «l’antiamericanismo può avere inquinato il processo». Subito dopo queste dichiarazioni, Hilary Clinton, segretario di Stato, si era resa disponibile a prendere in esame la vicenda. Il Ministro degli Esteri Franco Frattini, aveva parlato di un interessamento legittimo da parte dei politici statunitensi. Anche il primo cittadino di Seattle – città gemellata con Perugia -, Mike McGinn, incredulo dopo la sentenza, aveva deciso di sospendere l’iniziativa di intitolare un parco di Seattle proprio a Perugia. Articoli deliranti di testate a stelle e strisce scrivevano che la storia era basata su errori giudiziari e pregiudizi.
Insomma, dall’altra parte dell’oceano, si pensava, che la signorina Knox, era la vittima scelta dalla magistratura italiana. Ieri, la Corte d'assise d'appello di Perugia ha assolto Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall'accusa di aver ucciso, nel novembre 2007, la studentessa inglese Meredith Kercher. La decisione, dopo otto ore di consiglio, è stata presa in base al primo comma dell'articolo 530 del codice di procedura penale, che prevede l'assoluzione perché «il fatto non sussiste». Il mio primo pensiero, appena è arrivata la notizia, è stato un titolo di un articolo apparso sulla testata giornalistica Newser che recitava: «Amanda is America». Detto fatto, se Amanda è l’America, non potevamo certo pensare in un verdetto di condanna. Tra l’altro, nell’aria, nella Perugia «bene», la notizia circolava da tempo. E così, anche l’opinione pubblica e i politici americani, dopo le forti critiche al sistema giudiziario italiano sono passati alle congratulazioni. «Gli Stati uniti apprezzano l'attenta considerazione della vicenda nell'ambito del sistema giudiziario italiano» ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato Usa Victoria Nuland, poco dopo la lettura della sentenza di assoluzione di Amanda Knox.
L’onorevole del Pdl Rocco Girlanda, presidente onorario della Fondazione Italia Usa, che sin dall’inizio si era schierato a favore della yankee, parlando con i giornalisti Ansa, aveva lasciato intendere che, Amanda Knox, sarebbe partita con un volo di linea per gli Stati Uniti. E così è accaduto, l’americana è partita per tornare a casa, passando – casualmente - per Londra. Sicuramente i legali della famiglia di Meredith Kercher ricorreranno in cassazione ma c’è il rischio che, la Knox, non faccia più ritorno dalla sua lussuosa dimora negli States. Cercando su internet casi simili a quelli di Perugia, mi sono imbattuto in un articolo uscito su Repubblica il 4 maggio del 2004, «Bruciano hotel a cinque stelle: libere» a firma di Massimo Lugli, dove due ragazze americane, Tracy di 24 anni e Rachel di 25, dopo aver provocato l’incendio al Grand Hotel «Parco dei Principi», a Roma, all’alba del 1 maggio e la morte di tre persone, sono tornate – senza neanche il processo - a casa. Il Pm Giuseppe Andruzzi aveva liquidato la questione con poche parole: «Non sono indagate, possono fare quello che vogliono, anche tornare nel loro Paese». Il caso di Perugia, come quello del maggio del 2004 a Roma, anche se piccoli, sono tasselli della nostra sovranità limitata. Le pressioni dello Zio Sam – anche questa volta - si sono fatte sentire, mentre i nostri politici, sottomessi da sessant’anni, continueranno a rimanere in silenzio.
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